Eric Tabuchi e Nelly Monnier, Grey sin, Groun Control

Les Rencontres de la photographie

“Les Rencontres de la photographie” di Arles nascono nel 1970 dalla collaborazione di tre personaggi, il fotografo di Arles Lucien Clergue, lo scrittore Michel Tournier e lo storico Jean Maurice Rouquette. A quei tempi la fotografia era considerata un’arte minore, del tutto distinta dall’arte vera e propria, un linguaggio riproducibile in sé e quindi di livello inferiore.

Nata come una serie di incontri tra appassionati di fotografia, la manifestazione ha acquisito negli anni importanza e popolarità, con una decisiva svolta intorno ai primi anni duemila grazie ad un vivo e sempre crescente interesse del pubblico non solamente francese.

Il programma del festival ha sempre più offerto uno sguardo contemporaneo offrendo nuovi spunti e visioni del mondo, con prospettive diverse, grazie anche ai contributi dei tanti curatori provenienti da backgroud differenti. Negli anni la fotografia ha dialogato con altri linguaggi quali il cinema, la musica, l’architettura portando in città visioni provenienti da differenti paesi. Altra particolarità interessante del festival è l’interazione con i diversi spazi nei quali vengono allestite le mostre, da luoghi recuperati dalle archeologie industriali, a spazi commerciali, a spazi quotidiani, spazi istituzionali, curando sempre in maniera molto attenta ogni singolo allestimento per valorizzare i diversi autori esposti.

La settimana di apertura del festival si è svolta quest’anno da lunedì 3 a domenica 9 luglio, tutta Arles ha vissuto immersa nella fotografia, divenendo luogo di scambio tra curatori, artisti, fotografi, attraverso visite guidate alle mostre, letture portfolio, conferenze, tavole rotonde, presentazione di libri. Nelle serate di martedì, mercoledì, giovedì e venerdì nella bellissima cornice scenografica del teatro antico si sono realizzate proiezioni, incontri con autori, assegnazioni di premi.

L’edizione 2023, attraverso gli sguardi eterogenei dei fotografi e degli artisti presenti nelle oltre 40 esposizioni aperte fino al 24 settembre, ci aiuta a vedere e percepire la contemporaneità e le traformazioni che stiamo vivendo. Alcuni sono i temi ricorrenti che vengono esplorati dai diversi autori: le trasformazioni ambientali e il cambiamento climatico, l’identità personale messa spesso in relazione con quella famigliare e con le proprie origini, l’importanza degli archivi e del mantenere viva la memoria, il femminile e le transizioni di genere, lo sguardo che si fa introspettivo.

Quest’anno il Discovery Award Louis Roederer Foundation ha selezionato 10 progetti fotografici presentati in un’unica esposizione, curata da Tanvi Mishra alll’Église des Frères-Prêcheurs che mostra la scena emergente in uno dei luoghi simbolo del festival. Durante la settimana di apertura, una giuria ha assegneto il Discovery Award Louis Roederer Foundation, che prevede un’acquisizione del valore di 15.000 euro, all’artista Isadora Romero e all’organizzazione Magnum Foundation per il suo lavoro dal titolo “Fume. Root.Seed” sull’agrobiodiversità che proviene dalla storia familiare dei suoi nonni, mentre il pubblico ha votato per il Public Award il lavoro dell’artista Souma Sankar Bose dal titolo “A discret exit through the darkness”, incentrato sul tentativo di ricostruire l’incidente legato alla scomparsa di sua madre che porta con sé un’acquisizione del valore € 5.000. 

Di particolare valore la mostra di Saul Leiter “Assemblages” al Palais de l’Archeveche, che fa dialogare fotografie e opere pittoriche restituendoci il suo mondo, piccoli frammenti di immagini giustapposti e congiunti, accumulando e formando vasti campi in continua espansione.Questo pittore e fotografo non riconosceva limiti. Se, nel silenzio del suo studio, il suo movimento pittorico inscriveva sulla carta impercettibili piccole abbreviazioni ritmiche, il suo sguardo fotografico penetrava nel tumulto della città, New York, sfidando ciò che attirava lo sguardo e scrutando ciò che non si vedeva.

Un altro aspetto dell’America emerge con Gregory Crewdson, che utilizza la tecnica cinematografica per creare immagini di un sogno in disintegrazione, l’America in crisi. È il culmine di un lavoro durato 10 anni. È il noir di Edward Hopper, Jean-Pierre Melville e il poliziesco che va a finire male, come in alcuni film di Wim Wenders, del quale è presente una mostra esposta nello Espace Van Gogh, già esposta a Torino, che secondo il regista si è ispirato alle sue polaroid con Dennis Hopper e Bruno Ganz.

Due mostre celebrano l’artista da poco scomparsa Agnes Varda  facendo dialogare spezzoni di film con fotografie e provini. In mostra lavori della fine degli anni ’40, quando Varda tornò a Sète dopo aver trascorso lì l’occupazione e fotografò la vita del quartiere popolare La Pointe Courte, scenario, qualche anno dopo, del suo primo lungometraggio, “La Pointe Courte”, con Philippe Noiret e Silvia Montfort.

Interessante la mostra “Scraptbook. Inside the imagination”” che unisce la tradizione dell’album fotografico con il diario per assumere una forma profondamente cinematografica. L’esposizione allestita presso l’Espace Van Gogh mette in mostra alcuni dei migliori album di registi, che incontriamo qui come fotografi, poeti e illustratori. Presenta un viaggio alle origini creative nascoste dei loro film, fornendo accesso a documenti privati e svelando il mondo interiore al centro del processo creativo.

Celebrando il centenario della nascita di Diane Arbus, LUMA Arles presenta “Constellation”, una mostra “immersiva” con un allestimento che permette di entrare nel lavoro di questa grande autrice in maniera del tutto originale, senza un percorso prestabilito e cronologico, ma lasciando al visitatore la libertà di fruire le immagini secondo una propria modalità. Assumendo, appunto, la forma di un’installazione immersiva, la mostra è costituita dal set completo delle prove di stampa di 454 immagini (alcune delle quali ancora inedite) realizzate da Neil Selkirk, suo allievo e unica persona dalla morte della fotografa autorizzata a stampare dai suoi negativi.

Il progetto fotografico “Aam Aastha”, prodotto in India dal 2019 al 2022, fa parte della serie di Charles Fréger sulle mascherate nel mondo, è esposto alla Chapelle Saint-Martin du Mejan. In India, il fotografo è andato incontro a un pantheon dai mille volti: le divinità sono legioni, incarnate in rappresentazioni sacre nei templi, nei teatri e per la strada.

La mostra “Contemporary nordic photography” presso l’Eglise Sainte Anne riunisce 17  fotografi con sede in Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia ed esplora lo stato sociale da una prospettiva femminile. Spesso indicato come “il modello nordico”, questo sistema è caratterizzato da un settore pubblico che fornisce a tutti i cittadini servizi di sicurezza sociale e assistenza sociale, inclusi asili nido e istruzione e ha apportato miglioramenti significativi alle condizioni di vita e di lavoro. I valori fondamentali alla base del modello sono l’apertura, la tolleranza e la convinzione che tutte le persone siano uguali. Il progetto rende visibile questo modello mettendo in discussione alcuni aspetti, sfruttando la fotografia per indagare l’attrito tra il soggettivo, il collettivo e il politico che si svolge all’interno del welfare state. Quest’anno, l’artista finlandese Emma Sarpaniemi ha realizzato il manifesto del festival con il suo autoritratto.

Sul tema della riscoperta degli archivi da citare assolutamente è il lavoro di Jean-Marie Donat sullo Studio Rex, uno studio fotografico a conduzione familiare fondato a Belsunce due generazioni fa e chiuso nel 2018. Luogo di passaggio tra la stazione ferroviaria e il porto, questo quartiere iconico di Marsiglia ospitava temporaneamente l’immigrazione appena arrivata. Dieci anni Jean Marie è entrato in possesso di questo ricchissimo fondo fotografico composto da decine di migliaia di fotografie scattate tra il 1966 e il 1985. Combinando, selezionando e compilando queste “immagini-record”, è emerso un archivio fotografico su larga scala, che collega la documentazione da personale a storica, costruita attorno a tre tipi di fotografie. Circa 700 stampe portafogli sopravvissute al viaggio attraverso il Mediterraneo per essere utilizzate dallo studio per realizzare montaggi, abbandonate a causa di veloci partenze a seguito di una tanto attesa promessa di lavoro. Circa 10.000 negativi fotografici in formato 13×18, originariamente destinati ad essere utilizzati come documenti ufficiali in Francia. E infine, oltre un centinaio di foto in studio, destinate a essere rispedite a casa a testimonianza della possibilità di successo nel paese ospitante. Di questa ondata cosmopolita non rimane né il nome, né la data, né la storia. La mostra cerca di dare sostanza a questi individui che la storia ha reso invisibili, grazie a queste fotografie, che sono testimonianza, traccia e memoria, si apre un dialogo tra le due sponde del Mediterraneo. 

Le storie e le vicende che hanno attraversato altri due paesi e popoli sono raccontate nelle mostre “Between Our Walls” di Sogol & Joubeen Studio racconta la storia dell’Iran dagli anni Cinquanta a oggi, mentre la presenza della diaspora iraniana sulla costa occidentale degli Stati Uniti è resa visibile da “Soleil of Persian Square” di Hannah Darabi

Nel 2004, due antiquari hanno scoperto 340 stampe e fotografie polaroid degli anni ’50 e ’60 in un mercatino delle pulci di New York. Queste immagini raccontano la storia non detta di un’altra America, quella di Casa Susanna, di una minoranza che rischia costantemente di perdere il proprio posto nella società. Queste fotografie sono nate da un’intimità segreta, rappresentando uomini vestiti da casalinghe, come le casalinghe erano valorizzate dall’America vittoriosa del dopoguerra. Queste immagini testimoniano l’essenzialità della fotografia per uno dei primi network della comunità LGBTQIA+. In mostra all’Espace Van Gogh.

Nella bellissima sede dell’Abbaye de Montmajour, appena fuori Arles, è celebrata la rivista Libération che quest’anno compie 50 anni. Da cinquant’anni il quotidiano segue e sfida i tempi. Dagli avvenimenti di Larzac e l’elezione di Mitterrand alla marcia degli arabi, alla guerra in Cecenia, Metaleurop, Gilets Jaunes e Ucraina, passando per Libération, il mondo si racconta per immagini. Le fotografie in mostra sono state commissionate o pubblicate dalla rivista a partire dalla fondazione del giornale nel 1973, selezionate all’interno di un’ampia raccolta, sono state ripescate  facendoci rivivere, mezzo secolo di storia recente, come un film della nostra memoria privata e collettiva. Le fotografie di Liberation segnano una rottura con le convenzioni, usano la  fotografia controcorrente, mostrano un punto di vista diverso, una voce singolare, anche se questo significa uscire dall’inquadratura o tagliare teste.