FOTO/INDUSTRIA 2023. GAME. L’industria del gioco in fotografia

La Fondazione MAST di Bologna, in concomitanza con i suoi primi 10 anni di attività, ha declinato la sua Biennale di Foto / Industria sul tema dell’industria del gioco e le sue mostre sono in proroga sino al prossimo 8 dicembre.

Quel che chiamo ‘il gioco serio dell’arte’ prende forma alla VI Biennale FOTO/INDUSTRIA realizzata dalla Fondazione MAST di Bologna, giunta al decimo anno di attività culturale incentrata sulla fotografia. La Biennale, imperniata sull’universo che lega Industria, Lavoro e Fotografia, diretta da Francesco Zanot, propone per l’edizione 2023 – in proroga sino all’8 dicembre – in undici luoghi di Bologna, dodici mostre contraddistinte da una prospettiva singolare: ‘GAME. L’industra del gioco in fotografia.’

In che modo, dunque, il gioco entra nel nostro immaginario e lo trasforma, modella, declina? In una miriade di istanti, sin dall’infanzia, l’attitudine ludica è un perimetro che accerchia il nostro tempo, scandendone armonie o disequilibri, processi sociali e dinamiche d’indole. Ma non solo. Negli anni, o meglio, nei secoli il gioco è cambiato in maniera incredibile, talvolta repentina, talaltra rivoluzionaria od anche mantenendo salve le proprie radici. Nel suo universo è gravitato tutto ciò che nel mondo reale è accaduto, rivelando parimenti i gap generazionali, l’avvento della tecnica prima e della tecnologia poi, traducendo, infine, spiragli che nulla o poco hanno a che fare con il reale, tentando, invero, di sostituirsi, ironicamente o pericolosamente ad esso.

Andreas Gursky, F1 Boxenstopp I, 2007

“L’indagine su un’attività universalmente diffusa come il gioco che non conosce limiti di genere, età, luogo, ha rivelato punti di vista complessi e articolati, finalizzati a diversi obiettivi: dall’intrattenimento all’apprendimento, dal riposo alla gratificazione”. 

Francesco Zanot, curatore Foto/Industria

Da qualche tempo il concetto di gamification è sempre più rilevante e addentratosi in una moltitudine di complesse dinamiche che afferiscono alla cultura ma non soltanto. FOTO/INDUSTRIA, per sua natura intrinseca, ha scelto di affrontare la relazione che lega il gioco con l’immagine, dando vita ad una serie di mostre che portano in scena una sorta di linea temporale che dalla fine dell’800 sino ai nostri giorni approfondisce tale indagine, attraverso la mediazione di artisti internazionali, emergenti e non, capaci di portare a noi una esplorazione ampia, divertente, stupente, ironica, mnestica ma anche perturbante in taluni casi. Il Gioco è composto di elementi plurimi, fenomenologie che rispondono ad esigenze commerciali, finalità che cercano una stilizzazione della realtà o un allontamento, o meglio, una sua idealizzazione, in una trasformazione continua di gusti, desideri, necessità, dimostrandosi un campo di sperimentazione continua.

Ed ecco che, in quelle che sono le settimane colme di spirito ludico e da balocchi che precedono il Natale, quale migliore occasione per scoprire le mostre di Foto/Industria 2023? Ericka Beckman, Olivo Barbieri Raed Yassin “esplorano alcune strutture tipiche del gioco cogliendone gli aspetti culturali, la dimensione simbolica e le relazioni con altri modelli sociali”, Heinrich Zille, Linda Fregni Nagler e Daniel Faust “sono orientati all’osservazione dello spazio del gioco, che nello specifico si estende dalla scala del luna park di Berlino alla fine dell’Ottocento ai playground che punteggiano le città contemporanee, fino a un’analisi quasi-tipologica di Las Vegas, dove il gioco ha determinato l’architettura e l’urbanistica di un’intera città”;
“il rapporto tra gioco, identità e relazioni sociali è invece al centro delle ricerche di Hicham Benohoud, Danielle Udogaranya ed Erik Kessels, i cui lavori spaziano dal valore pedagogico del gioco al suo ruolo nella formazione dell’immagine di sé, dalla maschera alla costituzione di un’esperienza sociale”; Infine, “nelle opere di Andreas Gursky – in mostra alla Fondazione – Cécile B. Evans e nella collettiva Automated Photography organizzata in collaborazione con l’ECAL/University of Art and Design Lausanne) si investiga il tema dell’invenzione della realtà, alla base dell’esperienza del gioco sia come puro esercizio della fantasia sia nel senso della costruzione di veri e propri universi virtuali alternativi, all’interno dei quali si svolgono le avventure dei videogame.”

Sin dalla comunicazione che presentava Foto/Industria 2023, lo scorso ottobre, appare chiaro uno degli intenti di questa edizione: la molteplicità di un tema come quello del Gioco entra a pieno titolo in una sorta di visore antropologico e sociologico in grado di farci osservare il nostro tempo – e quello precedente e quello futuribile – tramite suggestioni che sostano in un limbo a cui tutti possiamo fare riferimento, trovando riconoscibile l’alveo in cui il Gioco vive, stratificandosi nelle esistenze umane.

Fino a che punto? Se le immagini proposte da Heinrich Zille raccontano il mondo del Gioco come universo urbano collettivo, alter ego di un passato in cui l’estenuante tempo dettato dalla rivoluzione industriale offriva nei parchi a tema e nelle giostre attimi di divertimento, in quello che sembra soltanto un mondo lontanissimo, agli albori del ‘900, il progetto di Linda Fregni Nagler che era in Palazzo Boncompagni, narrava di luoghi simili cristallizzati nel silenzio della notte, in cui le distorsioni spazio temporali avevano il potere di mutare l’allure ludica in qualcosa di sinistro ed inquietante.

Una inquietudine che, forse, è possibile rintracciare, secondo una forma altra, in quella che è la Città del Gioco: Las Vegas, ritratta – in maniera differente – da Daniel Faust e un video di Olivo Barbieri. Las Vegas sin dalla sua fondazione ha avuto un obiettivo preciso da un punto di vista sociale, incarnando appieno l’apice dell’American Dream, rivelatosi, altrettanto spesso, un incubo. Le immagini di Faust e le riprese di Barbieri si incontrano a metà strada di ciò che ognuno di noi ha nella propria memoria visiva di quella città, in cui illusione e realtà sopravvivono in continua commistione.

Olivo Barbieri, nella prima parte della mostra a lui dedicata, ci porta indietro nel tempo, con uno dei suoi primi lavori riguardante un deposito abbandonato di flipper che ha fotografato nella maniera più varia possibile, delineando un archivio immenso e prezioso, nonostante si tratti spesso di frammenti, elementi non più funzionanti, ma dai quali emergevano, ed emergono oggi come nel 1977, iconici emblemi di una cultura eclettica, lontana e sognante per certi versi. Gli innesti culturali sono anche quelli ricercati da Ericka Beckman: il suo lavoro rimanda a giochi da tavolo popolari in cui, tuttavia, sono i modelli sociali del capitalismo a essere assurdi protagonisti di uno spostamento di senso tale da trasformarsi, per scelta formale e grammaticale foto e videografica, in una sorta di inquietante vivere sociale in cui, come in un gioco dai confini allotropici, siamo pedine senza scampo, seppur in un ludico ambiente. La dimensione simbolica personale, invece, che rimanda a quella del gioco, è quanto presente nelle opere di Raed Yassin. In relazione con la sua memoria d’infanzia, il karaoke con cui cantava insieme con sua madre durante le feste religiose in Libano, si propone come simulacro di qualcosa che è al tempo stesso perdita, memoria e restanza e la fotografia ne attesta la continuità, legandosi ad attimi ludici e strettamente connessi a dinamiche familiari. Dinamiche che d’improvviso diventano quelle d’altri, in una alternanza straniante in cui l’illusione del gioco resta l’unica via di fuga.

L’esperienza sociale, personale o collettiva è al centro dei lavori, estramente diversi eppur riconducibili ad una certa attitudine di ricerca, di Hicham Benohoud, Danielle Udogaranya ed Erik Kessels. La mostra di Benohoud insiste sul valore pedagogico del Gioco quale elemento formativo e che mediante la fotografia ha offerto a piccoli studenti del Marocco la possibilità di dar origine ad una sorta di teatro umano, secondo i dettami di una giocosa quanto seria e profonda esplorazione del sé capace di mostrare in fieri la generazione del futuro. La questione generazionale è al centro del lavoro di Danielle Udogaranya, content creator e gamer 3D, che prende in prestito dalla fotografia pura la possibilità di tradursi in costruzione di universi digitali alteri, in cui i protogonisti sono avatars, in un universo interamente simulato, sulla scia di quel che è il famigerato The Sims. Nonostante la simulazione, la nuova realtà creata ridefinisce, paradossalmente, quegli stessi stereotipi ed ecco che l’artista genera delle alternative in cui i suoi ‘personaggi in cerca d’autore’ possono trovare un riconoscimento.
L’esperienza sociale è, in altro modo, quanto proposto dal lavoro di Erik Kessels. La mostra bolognese si pone quale ulteriore capitolo della sua ricerca archivistica e della sua ricontestualizzazione. Questa volta ad esser soggetto di questo gioco identitario è una coppia emiliana che nei suoi tanti viaggi ha scattato un numero immenso di fotografie, una sorta di puzzle privo di scrematura, una instancabile costruzione del presente da conservare per il futuro che, non senza un pizzico di ironia, Kessels propone per Foto/Industria 2023.

Il Gioco, sin dagli albori, è non già e non solo simulacro del reale ma anche suo sconfinamento narrativo, sino all’avvento dei videogames, quando tale travalicamento ha assunto valenze percettive. Una sovversione evidenziata dal progetto di Cécile B. Evans, caratterizzato da una grande videoinstallazione narrante un esperimento estremo portato avanti da studenti il cui tentativo è appropriarsi del mondo reale e trasformarlo radicalmente secondo principi di estrema indipendenza. Tuttavia ad essere continuamente messa in discussione, secondo un plot che rimanda all’universo dei reality shows, a quello dei social media e delle nuove generazioni, è la realtà stessa, fagocitata da alternative virtuali talvolta indistinguibili e che ha incerte, stranianti e pericolose ricadute psicologiche, cognitive e sociali. L’invenzione della realtà è nodo centrale anche della collettiva Automated Photography organizzata in collaborazione con l’ECAL/University of Art and Design Lausanne e che vede esposti progetti di Robin Bervini, Emidio Battipaglia, Emma Bedos, Alexey Chernikov, Mattia Dagani Rio, Clemens Fisher, Benjamin Freedman, Nikolai Frerichs, Gohan keller, Philipp Klak, Amandine Kuhlmann, Augustin Lignier, Simone C. Niquille, Alan Warburton, Yumo Wu – Qui l’analisi dell’esperienza di gioco innesca la nascita di universi virtuali capaci di sostituirsi al mondo reale ma all’interno dei quali si delineano processi propri dei videogames.

Dopo aver interagito, in qualche maniera, con l’interpretazione fotografica del Gioco, secondo linee ironiche, distopiche, storiche, futuribili, la VI Biennale FOTO/INDUSTRIA delinea in modo netto non i confini tra reale e surreale ludico, quanto, piuttosto, la loro labilità di cui tutti, in un modo o nell’altro, siamo parte, consciamente o meno. Non esiste, difatti, una dimensione che, ad oggi, non appartenga ad ognuno di noi ed anche quando crediamo di essere estranei od impermeabili a qualcosa, ci sbagliamo. Ed è per questo che, il medium fotografico di_mostra, attraverso i prodromi della cultura visuale, quanto sia sempre necessario conoscere per prendere parte, con il proprio ruolo, al grande gioco che è la vita.

Ericka Beckman, Taps, Industrial Series, 1986,
©Ericka Beckman, courtesy of the artist and Galerie Francesca Pia

FOTO/INDUSTRIA 2023
A cura di Francesco Zanot
Bologna
18 ottobre – 26 novembre 2023 | proroga 8 dicembre 2023
www.fotoindustria.it
FONDAZIONE MAST
via Speranza, 42
Bologna 
www.mast.org
Ufficio stampa:  
Fondazione MAST press@fondazionemast.org tel +39 051 6474406 
Alessandra Santerini alessandrasanterini@gmail.com 

Azzurra Immediato

Azzurra Immediato, storica dell’arte, curatrice e critica, riveste il ruolo di Senior Art Curator per Arteprima Progetti. Collabora già con riviste quali ArtsLife, Photolux Magazine, Il Denaro, Ottica Contemporanea, Rivista Segno, ed alcuni quotidiani. Incentra la propria ricerca su progetti artistici multidisciplinari, con una particolare attenzione alla fotografia, alla videoarte ed alle arti performative, oltre alla pittura e alla scultura, è, inoltre, tra primi i firmatari del Manifesto Art Thinking, assegnando alla cultura ruolo fondamentale. Dal 2018 collabora con il Photolux Festival e, inoltre, nel 2020 ha intrapreso una collaborazione con lo Studio Jaumann, unendo il mondo dell’Arte con quello della Giurisprudenza e della Intellectual Property.