In quali anni si è occupato di scrittura asemantica/asemica? Dava al suo lavoro questi nomi, o nomi diversi? Quali erano quelli attribuiti dalla critica?
Il tema della “guida turistica” fu il pretesto per disegnare, ininterrottamente dalla metà di aprile alla fine di agosto del 1980, Di Capperi / La città fantastica, città ritrovata, il cui alfabeto sconosciuto compare già nelle prime due pagine del libro in forma di grandi sculture di pietra e nelle pagine successive inciso o a bassorilievo sui reperti archelogici.
Da quel momento in poi la scrittura “capperese” (così la chiamava Mirella Bentivoglio) non abbandonerà mai il mio lavoro di pittore semplificandosi però, fino a comporsi di soli quattro segni: la verticale, l’obliqua, il trattino orizzontale e l’arco di cerchio, e divenendo di volta in volta il finto testo che accompagna le pseudo illustrazioni dei libri dipinti a trompe l’oeil aperti su veri leggii in legno e vecchi banchi di scuola, o pareti di edifici su cui si aprono porte e finestre come nei miei innumerevoli legni dipinti, o frammenti di iscrizioni su pietre illusorie incastonate nelle realizzazioni di vaste decorazioni parietali, e infine pianure, mari, strade e piazze come nella recente serie dei “paesaggi asemici”.
Nei testi in catalogo delle mie (rare) personali e nelle recensioni critiche dei quotidiani locali la mia scrittura è detta di volta in volta: finta scrittura, scrittura indecifrabile, calligrafica, pseudo scrittura, criptica…
Mirella Bentivoglio la chiama “asemantica” nel 1998, in occasione della mostra da lei curata alla Cuba d’oro (Roma) e al Gabbiano (La Spezia): 5 Nuovi della scrittura.
Ho scoperto solo recentemente l’esistenza del termine “asemico” e, a parte il fatto che come suono a me piace molto più che “asemantico”, per il significato che gli artisti oggi gli attribuiscono mi sento di condividerlo pienamente.
Da qualche tempo anzi estendo il termine “asemico” dalla scrittura alle strutture narrative, alle prospettive e alle vedute, agli interni e alle pagine e doppie pagine. Molti artisti mescolano elementi figurativi alla scrittura. Possono dirsi “figurazioni asemiche” – penso – tutte le opere in cui sono presenti, oltre che la “scrittura senza parole” (segno inequivobile dell’opera asemica), segni pittografici e simboli che intenzionalmente non nascono per comunicare precisi significati ma per offrire al lettore la libertà di leggere-interpretare liberamente.
In effetti nel suo lavoro sono presenti spesso, accanto a glifi e tracce apparentemente alfabetiche, disegni e figure umane o animali. Come in una sorta di enciclopedia illeggibile (non così distante dal Codex Seraphinianus di Luigi Serafini, forse). Quanto è importante, rispetto al puro segno, la figurazione, nel suo lavoro? (In molti casi emergono giochi e paradossi interessanti: come mani-ombra che coprono la scrittura, o un “mano”scritto che è in verità – in quanto illeggibile – “non” scritto).
La mia ricerca è decisamente orientata nella costruzione di immagini che impastano simboli, immediatamente riconoscibili o no (ma sempre dal significato non chiaro) alla scrittura asemica.
A volte, è vero, la scrittura sembra fare da commento alle immagini o viceversa le immagini sembrano essere le illustrazioni di un testo asemico – un’operazione non troppo distante dal Codex di Serafini – ma il gioco che inseguo e più interessante per me è la costruzione di immagini in cui disegno e scrittura risultano essere davvero inscindibili. I “paesaggi asemici” sono forse tra i miei risultati migliori. Sono prove di coesistenza di diversi linguaggi: la scrittura asemica (che suggerisce una possibile lettura ed evoca un possibile sonoro), la prospettiva a volo d’uccello (che allontana la scrittura e allo stesso tempo la ingigantisce), le siluette umane (provenienti dall’alfabeto dell’Antico Egitto per indicare le azioni) e corpi a tutto tondo (volumi e “non volumi”) dalle dimensioni improbabili e che sembrano appartenere a tempi lontani, passati o futuri.
Le sue prime opere che lei considera “asemantiche” rientravano in un clima largamente condiviso nella ricerca verbovisiva? Solo italiana? C’erano artisti e correnti in cui sentiva o avrebbe sentito possibile inserire il suo lavoro? Oppure i materiali che incontrava, di altri artisti, erano esempi isolati all’interno di un contesto che – al contrario – si esprimeva più spesso entro i margini di una poesia visiva e concreta interamente “semantica”?
Sono arrivato a una mia grafia attraverso la pratica e la necessità di dare un testo alle rappresentazioni pittoriche di cartigli e libri aperti su leggii. Molto alla larga, perciò, dalle ricerche verbovisuali.
Fu Mirella Bentivoglio ad aprirmi le porte della poesia visiva.
Questo accenno, così come una sua opera in particolare, la Lettera a Mirella Bentivoglio (lettera asemica, ora nella collezione Giuseppe Garrera), esposta fino a maggio a Ginevra nella mostra Scrivere disegnando [https://centre.ch/fr/exhibitions/scrivere-disegnando], a cura di Andrea Bellini e Sarah Lombardi, mi dà l’occasione per chiedere lumi sul dialogo artistico tra lei e Bentivoglio, appunto.
Mirella Bentivoglio è stata certamente la migliore amica della mia ricerca artistica: seguendola sempre, inserendo i miei lavori nelle mostre da lei curate e in archivi di poesia visiva, scrittura sperimentale e libri d’artista.
Presentò una selezione di pagine da “Di Capperi” e dei miei legni dipinti appena tre mesi dopo il nostro primo incontro a Palermo (in occasione della mostra Il Non Libro / Bibliofollia ieri e oggi in Italia alla Biblioteca Centrale della Regione Siciliana) nel 1985, a Roma, Sala 1, Centro di Sperimentazione artistica, diretto da Tito Amodei.
Da allora il mio curriculum espositivo è segnato in larga misura dalla sua presenza: come curatrice di mostre (Il Librismo, alla Fiera Campionaria di Cagliari, 1990; La carta dell’artista, Tre libristi a Palermo, Castello di Belgioioso/Pavia, 1991; 5 Nuovi della scrittura, La Spezia e Roma, 1998) e come collaboratrice a mostre (Far Libro, a Firenze, 1989; The artist and the book – Twentieth Century Italy, MoMA, NY, 1992; Lapsus Libri d’artista, Roma – dal 1994 varie edizioni…).
Venne a Palermo in varie occasioni, altre volte ero io che andavo a trovarla a Roma, o ci vedevamo in occasioni di mostre da lei curate.
La nostra “corrispondenza” era fatta di telefonate e lettere. In questa mia “asemica” oggi nella collezione Giuseppe Garrera mandavo a Mirella “raggi verdi”, altro modo per dire “in bocca al lupo”, un messaggio di felicità, di gioia, di auguri, sicuramente in occasione di una sua personale o di un suo progetto.
Rispetto al lavoro di una artista come Irma Blank, e a quanto ne scriveva Gillo Dorfles in questo articolo [http://gammm.org/index.php/2007/07/18/blank-dorfles/], qual era e qual è ora la sua posizione, la sua poetica? Si sente in sintonia con altri sodali, in questo senso?
Ho visto per la prima volta un’opera di Irma Blank, Self, alla mostra Il Non Libro. L’articolo di Gillo Dorfles l’ho letto anni dopo.
La definizione di scrittura asemantica data da Dorfles parla di illegibilità, non di “semantica aperta” o della possibilità di “ leggere liberamente” che invece è condizione esplicita nella poetica “asemic, asemica”.
In questo senso mi sento in totale sintonia con gli artisti sedicenti asemici.
Spesso ci si riferisce all’asemic writing come alla genitrice/generatrice di un vero e proprio movimento artistico, o corrente, cosciente di essere tale soprattutto dalla fine degli anni ’90 tra Stati Uniti, Canada e Australia (i nomi che giustamente si fanno sono quelli di Jim Leftwich e Tim Gaze). A lei sembra che – al contrario – in Europa in generale e in Italia in particolare ci fosse, ci sia stata, una corrente del genere anche prima, come sembrano dimostrare materiali risalenti agli anni Quaranta o Trenta, o addirittura precedenti? Ma è sensato chiamarla “corrente”, in questo caso, trattandosi di emergenze isolate, o in dialogo e connesse ma non percepite dagli artisti come omogenee, come partecipanti a un clima collettivo specificamente “asemic”? In questo senso non è forse allora opportuno riconoscere agli artisti che fuori d’Europa si occupano di asemic writing proprio il merito di aver diffuso la percezione di una “collettività asemica”, se così si può dire, e dunque di qualcosa che assomiglia (ora e non prima d’ora) a uno specifico connotato movimento o corrente?
Conosco e frequento solo da pochi anni i gruppi facebook in cui scrittura e/o figurazione asemica sono di casa. Sono luoghi virtuali d’incontro e di confronto (direi giornaliero) di decine e decine di artisti di tutto il mondo che lavorano, ciascuno a modo proprio, sul tema dell’asemic e nello stesso tempo sono straordinari archivi d’immagini e centri d’informazione. Dal numero crescente di adesioni, dall’impegno e dalla vitalità che esprimono oggi questi gruppi, mi viene difficile non definire “movimento” quello asemico.
Lascio agli storici la gioia di rintracciare gli inizi dell’asemismo.
La sua impressione è che – prescindendo del tutto dall’asemic writing – il percorso delle ricerche verbovisive (anche pienamente semantiche) si sia interrotto o fortemente ridotto, negli ultimi decenni, in Italia? Il riferimento è alla poesia concreta e alla poesia visiva, principalmente.
Si, “credo” di si. Credo si sia fortemente ridotto non solo in Italia ma anche fuori. Credo, perciò in totale assenza di prove certe.
Enzo Patti, Nato a Favignana nel 1947, risiede a Palermo dal ’64. Attualmente dipinge e disegna “manonscritti” e “paesaggi asemici” su legno e su carta che pubblica abitualmente sul proprio profilo facebook, in vari gruppi e su instagram.
Come in passato, talvolta dipinge legni trovati, seguendo le loro forme, trasformandoli in “oggetti” attraversati spesso da scrittura indecifrabile. Dal 1966 espone in personali e collettive. Dal 1985 partecipa a mostre collettive, locali, nazionali e internazionali, sul tema della scrittura e/o del libro d’artista. Mostre personali recenti: Paesaggi asemici, Museo del Disegno di Nicolò d’Alessandro, Palermo 2018; Non ho parole, libreria La stanza di carta, Palermo, 2019; Manonscritti, Accademia di Belle Arti di Palermo, Palermo 2020.
Libroinstallazioni: Il primo giorno di scuola, Banchetti in legno di scuola elementare della prima metà del Novecento, con libri dipinti sui ripiani: Made in Palermo, Galleria d’Arte Moderna di Palermo, Palermo 1988; Il Librismo, Fiera campionaria, Cagliari 1990; La carta dell’artista, Castello di Belgioioso, Pavia 1992 .
Ha realizzato decorazioni parietali in spazi sia privati che pubblici e scenografie per i teatri “Ai ruderi” di Gibellina e greco-romani di Segesta e Siracusa. È autore di libri sperimentali sfogliabili in copia unica e multipli numerati. Ha illustrato libri a carattere divulgativo sulle leggende e la storia delle mafie in Italia. Ha insegnato Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo, istituto con il quale collabora nella realizzazione della “Collezione libri d’artista dell’Accademia”, ideata e diretta da Toni Romanelli. È autore, insieme a Valentina Console, del “Progetto Rambla Papireto” nel quartiere palermitano Danisinni.