mde

Il trionfo delle meraviglie. Con Mattia Preti e Bernini, dopo Tblisi e Sofia, la mostra sul Barocco romano e il ‘600 fa tappa a Catanzaro

Sono molte le ragioni del successo del Trionfo delle meraviglie, garantito non soltanto dal numero di prestiti (46 opere) e dalla selezione degli artisti (Bernini, Preti, Baciccio, Gimignani) ma anche dalla cura nell’allestimento e la ricchezza di contenuti di approfondimento.

Si chiude in bellezza, con diverse migliaia di visitatori, “Il Trionfo delle Meraviglie. Bernini e il Barocco Romano” al Complesso Monumentale del San Giovanni. La preziosa mostra, a cura di Francesco Petrucci, Conservatore di palazzo Chigi di Ariccia, organizzata da Andrea Perrotta ebag e 4culture Srls di Simona CristofaroAntonio Alessio Vatrano, è frutto di un vivace scambio culturale tra il piccolo capoluogo calabrese, Catanzaro e Ariccia, la località dei Castelli Romani, che racchiude un minuto prodigio architettonico a firma di Gian Lorenzo Bernini, Palazzo Chigi (1644-72).

Al di là del titolo dato, errato, sono molte le ragioni del successo a nostro avviso, garantito non soltanto dal numero di prestiti (46 opere) e la selezione degli artisti (Bernini, Preti, Baciccio, Gimignani, ecc.) che ripercorrono con tematiche e stili differenti tutto il secolo, ma anche dalla cura nell’allestimento e la ricchezza di contenuti di approfondimento (tra cui, il 14 febbraio, l’incontro con Giuseppe MantellaSante Guido, restauratori di Mattia Preti, e il 28 dello stesso mese con Cecilia Perri, vice direttrice del Museo diocesano di Rossano e Antonella Salatino) nonché dagli apparati multimediali, tutti impaginati per rendere un percorso espositivo il più possibile dinamico, volto a stringere meglio il nodo tra parole chiave come didattica, tecnologia e innovazione. Tre concetti che sempre più motivano i progetti di mostra, ma che spesso non sono garanzia di qualità. Soprattutto qui, in una regione, considerata fanalino di coda in termini di innovazione e risorse economiche. Allora a maggior ragione, prezioso è stato questo coraggioso progetto benché porti quasi in blocco una collezione perché, se ha portato da Palazzo Chigi di Ariccia una brezza di Barocco romano, non poteva trovare migliore collocazione nella terra di Mattia Preti. Taverna, la città natia del “cavaliere calabrese” è a pochissimi km dai colli di Catanzaro. E Mattia Preti è solo uno dei primi grandi interpreti del ‘600 figurativo e della mostra. Proprio dell’artista, centro del dibattito è l’opera, “Scena di pestilenza”, (esposta insieme alla tela mozzata,“Campapse”, alla mostra a Wiesbaden sul Barocco napoletano) dove il linguaggio si è ulteriormente sviluppato, andando in una direzione più luministica, e perdendo quindi quella dimensione tecnica chiaroscurale e caravaggesca, che connoterebbe certa produzione pittorica di Mattia Preti. In realtà, lo sappiamo anche da Spike, il suo massimo esperto, Preti durante tutta la sua carriera ha attraversato diverse fasi di cambiamento, stimolato com’era dalle scuole pittoriche che man mano conosceva, Venezia, Roma, Bologna. Dal soggiorno romano, che la critica recente ha spostato agli anni venti, anticipandola di un decennio almeno, Preti prenderà visione della pittura di Nicolas Poussin e di Andrea Sacchi, restandone influenzato, così come a contatto con la scuola bolognese, lo sarà anche da Guercino e Lanfranco. Ma per raccontare il Barocco non c’è solo Mattia Preti e Bernini, di cui per altro si propongono numerose opere “minori”, non solo quadri (come il medaglione che celebra le imprese del papa Alessandro VII durante la peste a Roma del 1656/57, quello in bronzo dorato con la Collegiata di Ariccia, una applique per carrozza e il parato liturgico chigiano in seta damascata rossa) ma anche artisti poco noti come Giacinto Brandi esponente della corrente “tenebrosa” romana, che in “Loth e le figlie”, ci consegna una armoniosa coniugazione tra enfasi barocca teatrale e classicismo emiliano.

Dett. SCENA DI PESTILENZA DI MATTIA PRETI 

Ci sono inoltre opere che tratteggiano il tema delle rovine con Jean Lemaire e soggetti mitologici come la seducente tela “Venere e Adone” di Giacinto Gimignani o ancora temi biblici come “L’ebbrezza di Noè” per mano di Andrea Sacchi. Di Gimignani è singolare nella tela, il manto agitato della dea Venere, oltre che il drappo tenuto dai puttini come fosse un sipario, elementi che aprono verso una sensibilità tutta barocca e che contrastano armoniosamente con l’aria classicheggiante di fondo. Bella e dipinta coi moduli raffaelleschi la “Santa Lucia” del Sassoferrato; di Carlo Maratta invece con “Ascesa al calvario” c’è un saggio della sua vasta produzione, a riprova della frequentazione del tema devozionale e religioso, uno dei principali filoni dell’estetica barocca. Non dimentichiamo infatti che nel 1582 il cardinale Paleotti a Bologna aveva anticipato il linguaggio barocco con i suoi dettami che indicavano in “Movere” e “Docere”come finalità dell’arte. La Chiesa cattolica dopo lo strappo luterano doveva recuperare terreno attraverso la propaganda e l’arte, per vincere contro le eresie che minacciavano il suo primato. Il Barocco come si evidenzia tutto sommato bene in mostra, con un nutrito numero di opere, con un video piuttosto funzionale, altri apparati multimediali, intermezzi musicali, viene raccontato in tutta la sua arrogante genialità.

Non resta che chiedersi se davvero come voleva Milizia sia ancora da considerarsi come la “peste del gusto” o se piuttosto il critico non abbia bollato ingiustamente con questi termini una porzione di secolo che ha invece recepito tanto dagli stimoli del tempo e ha informato, con i suoi caratteri e in forme inedite, tutta la cultura europea del tempo e oltre.

Il Trionfo delle Meraviglie. Bernini e il Barocco Romano.
Opere da Palazzo Chigi in Ariccia

Fino al 29 febbraio 2020
www.berninicalabria.it
Complesso Monumentale del San Giovanni
Piazza Garibaldi 1 – CZ