Claudio Strinati col suo libro uscito nel marzo 2020

Il giardino dell’arte: Claudio Strinati

Ho letto con piacere e gusto insoliti Il giardino dell’arte di Claudio Strinati (Salani, 2020): un viaggio di formazione alla scoperta delle bellezze d’Italia dove la realtà e la finzione, l’interpretazione e la suggestione si intrecciano mirabilmente, tracciando una mappa dell’arte nel nostro paese precisa e al tempo stesso aperta, sempre sul punto di venire aggiornata da uno spunto originale. Un libro che – e questo è forse il suo aspetto più intrigante – pur privilegiando la conoscenza dell’arte del passato, non rifugge dal confronto sul presente, senza passare sotto silenzio i condizionamenti che determinano la creazione artistica: gli stessi riguardo a cui il sistema, più che felice di discutere di questioni generali, non tollera il minimo rilievo. Perciò ho rivolto a Strinati alcune domande. Le sue succinte risposte rivelano, a chi sappia intendere, ben più di trattazioni articolate. Per il resto si rimanda volentieri alla lettura del Giardino.

l protagonista del suo libro visita una monumentale esposizione dedicata al Manierismo: una mostra storica, scientifica ma che, come le mostre di artisti contemporanei, dovrebbe anche essere godibile, piacevole a vedersi. Qual è secondo lei il perfetto ingrediente per la riuscita di una mostra?

Che sia frutto di ricerca.

Si apre anche, tra una digressione e l’altra, un dolceamaro siparietto sul mondo delle aste. Come si spiega che un’opera di Hirst – come quelle attualmente in mostra presso la Galleria Borghese – venduta all’asta abbia quotazioni enormemente superiori a quelle di un capolavoro del Rinascimento?

Non è così. Un capolavoro del Rinascimento vale quanto e più di Damiem Hirst. Però non tutte le opere del Rinascimento sono capolavori.

Una parola andrebbe spesa – lei del resto non le lesina – sulle consorterie e le mafie culturali. Una voce del suo libro notava giustamente come accanto a Leonardo, Michelangelo e Raffaello vi fossero personalità ingiustamente trascurate. E lo spiegava, più che coi demeriti dei secondi o con l’insindacabile giudizio della storia, con la capacità dei primi di farsi espressione del potere dominante.

Sì è così. Lo è sempre stato e sempre lo sarà.

Quindi il sistema dell’arte è nato ben prima dell’Ottocento, e il primo artistar è stato Giotto?

Sì.

Alcuni dei suoi paragoni sono davvero illuminanti, come quando sostiene che i writer contemporanei non sono poi così diversi dai pittori compendiari …

Fanno lo stesso mestiere e con gli stessi intenti.

… O che l’arte – l’affermazione è riferita alla Cappella di Sansevero – ha sempre avuto a che vedere con gli effetti speciali, perché ti fa vedere qualcosa che nella realtà non esiste in quel modo.

Confermo. Non ci sarebbe alcun motivo di produrre arte se essa non fosse un andare oltre.

Il direttore del Museo della Cappella di Sansevero si è di recente dimesso dalla sua carica in disaccordo col green pass, nella convinzione che l’arte non debba discriminare nessuno. D’altro canto, il museo non dovrebbe essere un luogo “educativo”, dove si promuove il senso civico?

Il museo è un luogo educativo. Però la decisione del direttore della Cappella Sansevero non rientra nella dinamica museale in senso stretto ma nell’ideologia socio-politica che non giudico.

Lei che per tanti anni ha diretto il polo museale forse più grande del mondo, cosa pensa dei musei italiani?

Nulla. C’è caso e caso e non concepisco un giudizio che faccia di ogni erba un fascio.

Più nello specifico, pensa che essi debbano aprirsi al privato, come sembra intenzionato a fare il direttore degli Uffizi o come suggerisce – parlo di un’esperienza che mi riguarda da vicino – la cosiddetta Carta di Catania della Regione Sicilia?

I musei statali italiani sono già aperti al privato dal tempo della legge Ronchey.

Concludo. Nel Giardino dell’arte non manca un omaggio, neanche tanto criptico, al Gillo Dorfles critico. Mi pare però lei apprezzasse anche l’artista. Che cosa pensa degli artisti italiani moderni (altrimenti non avrei citato Dorfles) e contemporanei? La sua Italia è solo il grande museo evocato nel suo libro o è ancora una fucina creativa?  

Sì, credo che l’Italia sia ancora una fucina creativa. Ma anche in questo caso non concepisco un giudizio globale sugli artisti italiani, impossibile a formularsi.