Valeriana Berchicci, Lo Spiracolo di Santa Rita, a cura di Anita Calà & VILLAM, Roma, Settembre 2021, ph. Monkey VideoLab

Valeriana Berchicci e il nutrimento della luce

Valeriana Berchicci ha presentato a Roma ‘Lo Spiracolo di Santa Rita’, opera immersiva, a cura di Anita Calà e VILLAM, trasformando la Sala Santa Rita in una immensa camera oscura e riconnettendo i visitatori con la dimensione dello sguardo e della percezione di ciò che non riconosciamo più.

Guardare il mondo trovandosi nel mezzo di una camera oscura. Ribaltare i punti di vista. Lasciarsi guidare, nel buio, dalla fiducia riposta nelle idee di una artista. Fidarsi dell’architettura ideata da Carlo Fontana, nel Seicento e ricostituita per anastilosi. Tendere la mano ai propri sensi e ritrovarsi, a Roma, al centro della costruzione di una immaginifica ma tangibile quanto surreale versione del mondo, ‘ascoltare lo sguardo’ – chiedo scusa per il paradosso – e ‘toccare le parole’ di Valeriana Berchicci e del progetto curato da Anita Calà e VILLAM, ‘Lo Spiracolo di Santa Rita’, ideato per lo spazio espositivo Sala Santa Rita, già Chiesa titolata alla santa in Campitelli.

Il progetto aperto al pubblico lo scorso settembre, vincitore di un bando nell’ambito della rassegna “Polo dell’arte e della cultura contemporanea” che restituisce la Sala Santa Rita alla Città attraverso l’arte, è stato un salto nella comprensione ‘per maraviglia’ da cui è tratta questa intervista.

Lo Spiracolo di Santa Rita © Valeriana Berchicci

Azzurra Immediato: ‘Nutrirsi della luce’. Valeriana, questa sorta di motto è il filo che guida il tuo progetto ‘Lo Spiracolo di Santa Rita’. In che modo i nostri occhi, le nostre menti e le nostre anime hanno necessità di riscoprire la luce?

Valeriana Berchicci: Cara Azzurra, è difficile questa domanda perché non posso rispondere a nome degli occhi, delle menti di tutti. Provo con semplicità a spiegarti come sono arrivata al “nutrimento della luce”.

È da gennaio che studio per questo progetto, nasce insieme ad altri due che sto ancora sviluppando. Ero a Berlino, al tempo, e una delle cose che ho un po’ sofferto era la temperatura, la forma, e l’intensità della luce del giorno. I primi mesi sono stati duri sotto questo punto di vista perché la luce era di un bagliore freddo, per usare un paragone, era come una lampadina a neon. Ad ogni modo, dopo qualche mese, mi sono abituata a quella luce che diventava molto affascinante e abbagliante. Da gennaio ad aprile ho approfondito e sviluppato in forma teorica il progetto definito “Lo Spiracolo” avendo scambi di riflessione con Enrico Cocuccioni e Nicola Giuseppe Smerilli, due fotografi lontani l’uno dall’altro: il primo con un’impronta lacaniana, il secondo d’impronta affettivo/emotiva. Al mio ritorno nella mia casa di Roma, ho adibito una stanza a Camera Oscura e, per circa 20 giorni, ho vissuto lì dentro. Questa intensa esperienza mi ha permesso di capire molte cose e allo stesso tempo ha generato in me molti quesiti, anche a partire dai ragionamenti di Cartesio, Simone Weil, Leonardo Da Vinci in merito, solo per citarne alcuni. Quindi ho scelto di far ruotare tutta questa prima fase di sperimentazione del progetto esclusivamente intorno al “nutrimento della luce”.

La fotografia è “Scrittura di luce” ma in questa prima fase di sperimentazione per me ha assunto il significato di “Pittura di Luce”.

Entriamo nel dettaglio. Attraverso il semplice principio fisico della Camera Oscura ho generato una immagine proiettata che si presenta rovesciata, ma per rispondere alla tua domanda, in questo caso, parliamo solo delle sue caratteristiche fisiche: la proiezione è fatta di luce del giorno, non è una proiezione artificiale generata da un proiettore, non è un’immagine stampata su carta, non è un’immagine retro illuminata come quella di TV, Computer, Smartphone. È un’immagine di luce e quindi «l’Ente fisico cui è dovuta l’eccitazione nell’occhio delle sensazioni visive, cioè la possibilità, da parte dell’occhio, di vedere gli oggetti».

Quando si entra all’interno della Camera Oscura con il proprio corpo, questo assimila le particelle di luce presenti nella sala, il nostro corpo costruisce poi con gli occhi, tarando in un tempo variabile la quantità di luce all’interno, l’immagine. Da qui lancio il discorso dell’estrema importanza del “corpo”, perché è solo con il corpo che riusciamo a vedere l’immagine di luce naturale proiettata della Camera Oscura. Sembra strano perché ci rendiamo conto che gli occhi lavorano molto al buio all’interno di quello spazio svolgendo un ruolo cruciale, ovvero il loro compito di senso, quello che il corpo ha predisposto, e ordinato per loro, in un modo naturale.

A.I.: Attraverso ‘Lo Spiracolo di Santa Rita’ sei tornata alle origini della visione fotografica e, via via, sempre più a ritroso, sino al concetto della camera oscura, costruendone una in cui immergersi. Raccontaci come è nato ‘Lo Spiracolo di Santa Rita’ e quale è stato il suo valore dialogico con i visitatori.

V.B.: Bene, grazie per questa domanda. Articolo il discorso in due parti, aggiungendo al lettore possibili scenari sulle mie ricerche, vorrei introdurre due metafore per descrivere lo spazio che ho creato.

Parte I.

Prima di descriverle riporto qualche mia nota riguardo questo ritorno alla “visione fotografica”. La fotografia che conosciamo è quella stampata, impressa, digitalizzata, scansionata ecc., appartiene alla generazione dei lettori, alla nostra. Il mio tentativo è quello di indagare il tipo di sguardo che viene prodotto dal dispositivo Camera Oscura oggi nell’osservatore contemporaneo, aprendo un confronto sui media che hanno caratterizzato la trasformazione del regime scopico. Come hai anticipato nella domanda, ho creato nello spettatore uno spazio immersivo, una delle caratteristiche dell’immergersi, nel buio, prevedeva che il pubblico prima di poter vedere l’immagine doveva attendere dai 4 ai 6 minuti. Questo è un tempo a cui noi non siamo abituati per poter vedere un’immagine di oggi, anzi le immagini sono ovunque nel nostro quotidiano, e sono immediate. Questo è stato per il pubblico un momento molto importante nella prima fase di accesso nella Sala. All’interno, dopo un massimo di 6 minuti di buio, emergeva, stagliata sui volumi architettonici della sala, un’immagine di luce naturale che proiettava tutti gli oggetti, cose, persone, auto immeditatamente fuori dall’edificio, in Via Montana, al suo interno. Quindi si assisteva in diretta alla vita, a un piccolo pezzo di mondo con il passaggio e la piega della luce attraverso un semplice foro, praticato sul portone frontale della Sala Santa Rita. Nel foro, una linea di confine tra esterno ed interno, la luce passa e si piega, all’interno riveste come una seconda pelle i volumi ad intrusione ed estrusione “dipingendo di luce” quello che accade fuori. La prima metafora è legata al funzionamento del nostro occhio: stare all’interno de Lo Spriracolo di Santa Rita è come stare all’interno del nostro bulbo oculare; nella posizione del foro, c’è la pupilla; nella parete in cui si staglia la luce, la retina. La seconda metafora è legata a Santa Rita da Cascia, la Santa con una spina (proveniente dalla corona di Cristo) conficcata al centro della fronte. Si narra che la Santa si tolse la spina e per 15 anni le rimase questa ferita aperta, un buco in cui penetrava la Grazia di Dio. Inoltre, è chiamata la Santa dell’Impossibile e fu nota per aver ridato la vista ad un cieco.

Parte II.

Riguardo il valoro dialogico con lo spettatore per me è stato un po’difficile. L’unica cosa non calcolata con cui mi sono dovuta confrontare è stata la mia presenza obbligatoria. In fase di allestimento mi sono accorta che il pubblico aveva bisogno di una guida, di una voce che l’accompagnasse nel buio; la mia presenza è stata indispensabile per traghettare le persone all’interno. Infatti, la sala, appena varcata la soglia d’ingresso, si presentava completamente al buio, piuttosto traumatico e a tratti spaventoso per lo spettatore; solo dopo 4 o 6 minuti che gli occhi si abituavano alla quantità di luce presente, si palesava l’immagine che, carica di luce, riusciva ad illuminare la Sala. Questo essere presente e traghettare gli altri mi ha posto come figura di fiducia, ma anche in opposizione, figura di disturbo. Ovviamente per me è stato un modo per osservare i comportamenti del pubblico, ma in un possibile nuovo esperimento non userò questa modalità. È stato molto interessante vedere le reazioni del pubblico, mi hanno anche fatto conoscere nuovi punti di vista all’interno dello spazio, facendo delle osservazioni di aspetto affettivo legato alla memoria, ma ritengo che con un lavoro così, l’autore debba stare in disparte. Per questioni organizzative, per motivi di sicurezza, la mia presenza è stata d’obbligo.

A.I.: Un progetto senza dubbio particolare, straniante ed affascinante, che ha trovato nella curatrice Anita Calà ed in VILLAM il giusto habitat maieutico. Quale è stato il percorso dall’ideazione alla realizzazione?

V.B.: A giugno a seguito dal bando indetto dall’Azienda PalaExpo per la Sala Santa Rita, con coraggio e forse ancora non proprio pronta, ho pensato che l’edificio fosse perfetto come primo spazio di sperimentazione della Ricerca. Una sorta di base di partenza per concentrami, magari per qualche anno, su strutture preesistenti per cambiarne la loro identità in quella di Camera Oscura. Anita Calà la conosco dal 2018, quando vedendo il mio portfolio mi ha invitata ad esporre in una sua Mostra a Venezia. Da brava curatrice si tiene aggiornata sui miei progetti con passione ed interesse, così ho proposto a lei di curare e presentare il progetto. Anita è la Presidente di Villam, un’associazione di cui valori, metodologie, obiettivi sono da me condivisi. Lei conosceva, dalle mie parole e dai miei racconti, questo progetto e con me si è presa un grande rischio presentando la candidatura. Credo sia stata anche un po’ folgorata dal mio atteggiamento piuttosto esaltato e ossessivo in questo studio. Un rischio perché abbiamo partecipato al bando con un progetto folle e anche la commissione che ha valutato la domanda, ha avuto coraggio e si è presa questo rischio. Nel mese di luglio io e Anita, per un altro progetto, siamo state per qualche giorno nella zona di Pistoia. Durante questo periodo ero invasa da pensieri legati all’evento, all’allestimento, e da quando ho saputo della vincita ho guardato il meteo tutti i giorni, ne ero ossessionata. Per cui ho gettato il seme delle negatività nella Calà, la quale cede anche lei. Ci sono stati lunghi mesi di attesa prima di poter riuscire a fare una prova, prima di capire se i miei calcoli sulla struttura era stati fatti bene, vivevo tra l’ansia del meteo, l’ansia di questioni tecniche, ma durante la notte sognavo l’immagine. Con l’aiuto professionale dello studio di scenografia Ambramà, le questioni tecniche le abbiamo evitate poiché il lavoro, da parte loro, è stato impeccabile. Con una struttura leggera a cantinelle e tessuto oscurante di scena, siamo riusciti ad ottenere quell’immagine che io ho sognato.

A.I.: Lo spiracolo, ovvero il foro che lega indissolubilmente il buio e la luce, si è trasformato, grazie alla tua ‘proiezione intellettuale’ in una ‘proiezione prospettica sul mondo’ capace di insegnare a guardare la realtà in una differente maniera. Cos’è, per te, oggi, la realtà?

V.B.: Grazie Azzurra, hai scritto delle belle parole in questa domanda, ma farò come Mao e alla domanda “Cos’è, per te, oggi, la realtà?” rispondo “boh!”

Valeriana Berchicci, Lo Spiracolo di Santa Rita, a cura di Anita Calà & VILLAM, Roma, Settembre 2021, ph. Monkey VideoLab

A.I.: Questo progetto afferisce alla tua ricerca per molti motivi e ne riporta degli echi riconoscibili. Data la brevità de Lo Spiracolo, la domanda è d’obbligo: progetti per il futuro?

V.B.: Si, ci sono progetti futuri. Intanto iniziare una ricerca di luoghi preesistenti su cui poter lavorare, anche molto connotati da un punto di vista architettonico, sia nella città di Roma ma anche altrove.  Il progetto “Lo Spiracolo” non prevede solo questo, ma costruirò! Utilizzerò anche altri tipi di “oggetti” o luoghi a disposizione. In programma il prossimo oggetto “abitabile” che userò sarà una carrozza trainata da cavalli, e come luoghi prevedo di creare un percorso itinerante di “vedute” nella città di Roma a casa di persone selezionate. Un ringraziamento speciale, poi, a Simone, Valerio e Alessio dei Monkeys VideoLab, autori delle fotografie che accompagnano questa intervista.

Valeriana Berchicci, Lo Spiracolo di Santa Rita, a cura di Anita Calà & VILLAM, Roma, Settembre 2021, ph. Monkey VideoLab

Cosa è accaduto in Sala Santa Rita dal 4 al 15 settembre 2021 è apparso come un artifizio barocco pur essendo, al contrario, la visione del reale secondo la percezione retinica e dei sensi, nel ribaltamento di cui, come la camera oscura mostra, necessitiamo per reimparare a guardare il mondo dalla giusta prospettiva, dal giusto ‘spiracolo’.

Azzurra Immediato

Azzurra Immediato, storica dell’arte, curatrice e critica, riveste il ruolo di Senior Art Curator per Arteprima Progetti. Collabora già con riviste quali ArtsLife, Photolux Magazine, Il Denaro, Ottica Contemporanea, Rivista Segno, ed alcuni quotidiani. Incentra la propria ricerca su progetti artistici multidisciplinari, con una particolare attenzione alla fotografia, alla videoarte ed alle arti performative, oltre alla pittura e alla scultura, è, inoltre, tra primi i firmatari del Manifesto Art Thinking, assegnando alla cultura ruolo fondamentale. Dal 2018 collabora con il Photolux Festival e, inoltre, nel 2020 ha intrapreso una collaborazione con lo Studio Jaumann, unendo il mondo dell’Arte con quello della Giurisprudenza e della Intellectual Property.

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