©Mustafa Sabbag ResArtistica

Il corpo sfuggente e il nero di Mustafa Sabbagh al PhEST di Monopoli

Il 23 agosto è venuto a mancare il filosofo francese Jean-Luc Nancy. Si è fermato il suo corpo, con il quale a lungo aveva combattuto nelle forme intrusive della malattia e sul quale aveva elaborato una parte importante del suo pensiero, cercando di sondarne l’estraneità e interrogando attraverso essa l’esistenza intera. I corpi secondo Nancy sono “l’atto stesso dell’esistere, l’essere” e sicuramente al suo libro Corpus, del 1992, pensa Mustafa Sabbagh nel momento di dare il titolo a una delle due mostre che lo vedono, dal 6 agosto al 1 novembre, tra i protagonisti della VI edizione di PhEST – See Beyond the Sea (www.phest.it), festival internazionale di fotografia e arte che occupa le strade del bel borgo marinaro di Monopoli, in provincia di Bari. Il corpo è il tema scelto quest’anno dal direttore artistico Giovanni Troilo e dalla curatrice fotografica Arianna Rinaldo e Corpus Fugit è il titolo dell’affascinante progetto realizzato in loco dal fotografo italo-palestinese, nato in Giordania ma residente a Ferrara. Nel periodo di lavoro trascorso a Monopoli per la preparazione della sua mostra, l’artista usa il mare Adriatico che fa da fondale alla città vecchia come ambientazione per realizzare una serie di ritratti che vengono esposti all’aria aperta, lungo le mura del Porto Vecchio, faccia a faccia con i passanti che passeggiano.

Proprio il ritratto è il soggetto preferito dei suoi racconti immaginifici. Fotografie che si spingono lungo le rotte dell’esplorazione del corpo nella sua nudità o che, all’opposto, studiano il suo mascheramento e il suo nascondimento dietro superfetazioni di orpelli vestimentari, inseguendo le mille variegate espressioni e difformità nelle incarnazioni dell’umano e la fludità dei generi. Così, nella ricerca fotografica di Sabbagh, lo scarto tra nudità e vestito mostra con seducente forza tragica la costruzione culturale dell’idea di corpo, le possibilità della sua rappresentazione, i suoi tabù, il superamento dei limiti, in un crogiuolo di stimoli multiformi e complessi riferimenti visivi.

Stavolta il fotografo concentra la sua attenzione sul racconto dell’adolescenza, su quella regione ignota nel quale la corporeità accelera improvvisamente i suoi processi trasformativi e i sentimenti, le passioni, le pulsioni, i contrasti si fanno vivi con un’intensità spasmodica e dolorosa per chi la vive e per chi la osserva. Mentre si trovano a varcare quella che è da considerare una delle soglie più importanti nella vita di un individuo e un passaggio simbolico essenziale per la vita sociale nel percorso che dall’infanzia conduce alla vita adulta, Mustafa Sabbagh incontra un manipolo di ragazze e ragazzi che hanno eletto a loro punto di ritrovo le adiacenze dello skatepark di Porta Vecchia e con loro si confronta. Sono adolescenti del posto e turisti, tra i tanti che affollano questa assolata località balneare, e la fotografia nasce dal dialogo con i soggetti ritratti. Nel fulgore della stagione estiva, Sabbagh utilizza il suo obiettivo come uno scandaglio per sondare le profondità cosmiche di un buco nero, quello dell’identità in divenire, di cui il corpo sfuggente è espressione e nascondimento, metafora e castone. I ragazzi si offrono allo sguardo amoroso e impietoso del fotografo stando semplicemente in costume da bagno, in piedi, senza bisogno di arzigogoli, con tutte le imperfezioni straordinarie che li caratterizzano. Sono monumenti minimi, fermi nella luce irreale che spesso si soffonde nelle composizioni orchestrate dall’artista, ma siamo certi che siano pronti a scattare, a scappare, a farsi avanti ciascuno con il proprio passo e la propria velocità.

©Mustafa Sabbagh ResArtistica

Un buco nero, questa adolescenza preziosa e tremante, dove ogni dolore è superbo e imponderabile a modo suo, dove tra pregiudizio e omologazione si può sempre trovare la via della bellezza feroce, di quello che non si può sottomettere né comprare ma è da negoziare graffio dopo graffio, bacio dopo bacio, di un tremore che ferisce nella sua autenticità e irriducibilità. Nero, come il colore che domina l’altra mostra di Sabbagh, un allestimento di grande impatto visivo costruito nelle sale barocche di Palazzo Palmieri. Il colore più difficile da rendere in fotografia, carico di significati simbolici e culturali, è il magma vitale che Mustafa Sabbagh padroneggia con maestria assoluta. Nella serie di scatti Onore al Nero, tra realtà e finzione si cesella in pieno l’immaginario erotico, onirico e scultoreo della fotografia di Sabbagh: un tripudio del corpo, ancora una volta, che mostra tutto il suo potere visionario e maliardo in un’alterità disarmante, quando ogni possibilità di luce tace.