Il Bestiario nel Roseto: Banksy e Rosa Mundi

Si è tenuta lo scorso anno a Venezia Presso palazzo Donà dalle Rose Il Bestiario nel Roseto, una rassegna di Banksy e Rosa Mundi, artisti accomunati – oltreché dall’urgenza dei temi che affrontano come la guerra, l’immigrazione, la povertà – dal non rivelare il loro volto: una possibile risposta all’ansia di protagonismo di tanti artisti nostrani?

Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere. Se qualcuno non vuol dirti qualcosa, il movente è l’atto stesso del non dirla. Certo è possibile ipotizzare ragioni diverse, anche piuttosto plausibili. Un artista, ad esempio, che non riveli il suo nome, o si celi dietro uno pseudonimo, potrà farlo per operare in tranquillità, o per vezzo, o per non assumersi la responsabilità delle sue azioni. Banksy, ad esempio, a causa delle sue sagome apparse un po’ ovunque, rischierebbe, in taluni paesi, un processo per vandalismo, in altri per moventi politici o per lo sfruttamento di loghi commerciali. Tuttavia, a giudicare dalla sua forza, la scelta dell’anonimato va al di là di ragioni contingenti. Banksy non si svela perché questo è esattamente ciò che vuole. E in tale mistero, da eroe mascherato, risiede la sua prima e più brillante creazione. Ora, la scelta di rimanere nell’ombra è il primo, e il più evidente, punto di contatto tra Banksy e Rosa Mundi. Entrambi sanno benissimo, come scriveva su un Capriccio il vecchio Goya, che “nessuno si conosce”, che cioè ciascuno è un segreto per se stesso. Ma l’ignoranza, che per Goya era una colpa, per i due contemporanei è esperienza vitale: consapevolezza che ogni conquista estetica, ogni certezza morale, è un approdo provvisorio. Gli stencil di Banksy che ci osservano dalle pareti delle case o dai cartoni, o le sfere armillari di Rosa Mundi che rispecchiano visioni all’apparenza casuali, non sono semplici canali, strumenti di qualcos’altro: come il nome taciuto, sono il mezzo, ma anche il fine. Sono il luogo in cui l’ombra ritorna al corpo da cui si è staccata: quello di chi la creata, certo, ma pure quello di chi, osservandola, la rivive e la ricrea. Le loro storie sono anonime perché appartengono a tutti: non parlano di Banksy e Rosa Mundi, ma di noi.