Gabriele Massaro

Palagonisch. Gabriele Massaro

Si è inaugurata il 23 marzo scorso a Palermo presso l’Haus der Kunst dei Cantieri Culturali della Zisa la mostra Palagonisch, neologismo coniato da Goethe nel suo Viaggio in Sicilia per descrivere il disgusto misto a fascinazione che gli suscitò la visita di Villa Palagonia a Bagheria. La mostra, a cura di Michael Kortlaender del Verein Dusseldorf Palermo, visitabile sino all’11 maggio prossimo, vede protagonisti i siciliani Giuseppe Agnello e Gabriele Massaro e il tedesco Stefan à Wengen. Abbiamo intervistato Gabriele Massaro su alcuni aspetti del progetto

L’accostamento di opposti – dolcezza e orrore in una sola musica, avrebbe detto Montale – è una delle chiavi dell’estetica barocca. Ti senti davvero un po’ barocco, o l’effetto straniante delle opere in mostra è da addebitare più che altro all’accostamento del tuo lavoro con quello dei vicini?

Non sento il mio lavoro in alcun modo barocco, se con questo termine intendiamo la morfologia, le soluzioni formali, di un’estetica stravagante, eccessiva, stridente. Barocco piuttosto potrebbe essere il pensiero, il principio che organizza la mia opera: una contraddizione, un movimento che va dal razionale all’irrazionale. Lo strutturare la pittura attraverso un rigore processuale e progettuale, e il suo opposto, la foga animale del prendere e manipolare i materiali e la materia, moto istintivo, intestino. Questo movimento tra estremi implica una sorta di pentimento continuo, di reazione e rivoluzione interna a un pensiero. Costruzione e schianto di un ragionamento. Mutamento e irrequietezza. In questi termini posso sentire il mio lavoro come barocco.

Barocco, prima che una categoria, è un concetto storico, legato a doppio filo a un periodo di grazia per Palermo e la Sicilia. Pensi che il barocco siciliano ti abbia in qualche modo influenzato?

Palermo, la mia città, in generale la Sicilia, direi che corrompe più che influenzare. La sua impronta è indelebile. Non sono tanto le chiese barocche con il loro tripudio decorativo ad impressionare, ma piuttosto l’entrare e uscire da questi luoghi e vederne la viva rovina. A Palermo manca l’ordine, la chiarezza e la pulizia del classico. In questa città di contrasti e contraddizioni, la bellezza si sposa all’orrore, alla morte, che permane sotto il cielo azzurro di luce intensa che modella spazi seducenti. Questo “barocco” siciliano mi ha corrotto: Irrequieto, spasmodico, può sembrare inutile, e forse lo è, ma è sicuramente contagioso.

Nel suo commentare i mostri di Palagonia, Gothe palesa forse, più che ammirazione, disprezzo per un’arte degradata a stilismo. Non temi il lato oscuro delle nozze tra i contrari?

Procedo attraverso la contraddizione, tendo a rivalutare spesso le mie opere, a distruggerle fisicamente a volte. Una ricerca forse di esasperata e continua metamorfosi. Questo sentimento ambiguo verso il mio fare, questa insoddisfazione, seppur faticosa, è molto costruttiva. Non temo il contrasto né l’ambiguità e nemmeno lo stilismo che non penso mi appartenga. Reputo che se sincero e non artificiale, lo stilismo è presentazione pura di una personalità, di una idea, di una visione chiara e decisa.

In un mondo turbato dalla sopraffazione e dalla guerra, quale ruolo attribuisci alla tua arte?

Il ruolo penso sia quello di prendere e far prendere una posizione. Non parlo di prendere posizione rispetto a specifiche tematiche o rispetto ad argomenti d’attualità. Parlo di un effettivo posizionarsi fisico nello spazio e nel tempo: io per primo assumo una postura rispetto alla materia pittorica che

manipolo. Una volta completato, l’oggetto-opera occupa uno spazio. L’osservatore prende una posizione nei confronti dell’opera. È il porsi del corpo e dello sguardo, è il tempo necessario che

richiede la visione, è il posizionarsi e riposizionarsi del pensiero. Questo posizionarsi genera un confronto, l’aprirsi, e poi una riflessione, il chiudersi. Un movimento a fisarmonica che genera

un cambio di prospettiva, l’acquisizione di una nuova possibilità interpretativa, l’apertura di un ventaglio di scelte. Il ruolo è essere veicolo di partecipazione, coinvolgimento, confronto, prospettiva e alterità.

Gabriele Massaro (Palermo, 1989), tra gli esponenti della nuova generazione di artisti siciliani, formatasi nella fucina di talenti dell’Accademia di belle arti di Palermo, si concentra sulla pittura in sé stessa: come mezzo, forma e contenuto, a cui affianca un pensiero intuitivo e simbolico. Stimoli provenienti dalla poesia, dalla filosofia, dalla musica o direttamente dalla realtà di tutti i giorni penetrano nella costruzione delle sue opere, le consolidano e definiscono, congiuntamente ad un programma analitico. Massaro ha fondato nel 2021 a Palermo, insieme ai colleghi Davide Mineo ed Enzo Calò, lo spazio espositivo “La Siringe”, tra i più attivi della mappa italiana degli spazi indipendenti.