Gabriele Perretta | Il sensore che non vede. Sulla perdita dell’immediatezza percettiva

Nelle prime pagine del suo Il sensore che non vede. Sulla perdita dell’immediatezza percettiva (pagina uno, 2023) Gabriele Perretta scrive che il lettore si troverà dinnanzi a una critica allo sguardo che si ostina a non vedere.

In Instagram, ad esempio, le immagini si pongono in bilico tra il senso e il non senso e le rappresentazioni fotografiche appaiono prive di un referente reale. Un processo che aveva preso origine con la storia stessa della fotografia si è esteso enormemente in seguito all’uso delle reflex, al prevalere del digitale sull’analogico e alla diffusione dei social media nei nostri giorni. Ciò ha prodotto una inflazione di immagini, che appaiono del tutto omologate. A questo corrisponde uno sguardo anestetizzato, che non è spesso in grado di esprimere una tonalità emotiva rispetto a quel che osserva distrattamente.

In tale condizione, in cui ci si può sentire dappertutto e in nessun luogo, in uno spazio omogeneo in cui ogni differenza sfuma nell’indistinto, Perretta coglie la cifra estetica di una organizzazione sociale e politica segnata dal primato dell’economia e della finanza su scala globale. Alla fungibilità del danaro corrisponderebbe così una fungibilità delle immagini. I passi sulla fotografia di Walter Benjamin accompagnano costantemente questa analisi del presente.

La critica serrata mossa da Perretta alla pervasività del modello neoliberale e i frequenti riferimenti a Marx mettono però in luce una visione del tutto esente da un approccio ideologico. Il messaggio di Marx è mediato infatti dalla figura eretica di Erst Bloch, la cui prosa, creativa e insieme teoretica , riecheggia in molti passi del suo libro. Il progetto  utopico del socialismo ha assunto spesso la forma di un incubo, quando si è preteso di imporre l’uguaglianza e quando la libertà è stata sacrificata sull’altare di una teologia secolarizzata.

Karl Löwith ha scritto in proposito, in Significato e fine della storia, che Vico, come Hegel, Marx e Comte, hanno un comune orientamento teologico, riconducibile ad Agostino o a Gioacchino da Fiore. Ecco perché il messaggio del Manifesto del partito comunista risiede, per Löwith,  non nel suo “materialismo cosciente”, ma nello “spirito religioso del profetismo”. L’alienazione, prima che un concetto sociale ed economico, rappresenterebbe così un peccato originale e il materialismo storico potrebbe  esser letto come “una storia della salvezza espressa nel linguaggio dell’economia politica”. La classe operaia diviene allora il popolo eletto, che dovrà salvare l’umanità intera guidandola verso la Terra promessa del socialismo. Ma la dialettica, in Hegel come in Marx, pur rivolgendosi al passato, innesca un processo che muove sempre verso il futuro. Ed è su questa linea che si snoda la lettura di Perretta, tracciando un itinerario di ispirazione marxiana che lo conduce a condividere con Bloch, Il Principio Speranza, inteso come utopia possibile. Il mondo liberato dalla dimensione anestetica di un Sensore che non vede non ha nulla in comune, infatti, con le utopie realizzate in forma distopica nei “Socialismi reali”.

Alla cecità non si sottraggono gli artisti, che vengono meno al loro compito di comunicare nel momento in cui, adottando una forma di coazione a ripetere, riprendono spesso in modo superficiale le idee di Duchamp. Dimostrano infatti di non comprendere che nell’accademismo concettuale viene meno la funzione radicalmente innovativa delle prime avanguardie.

La comunicazione è per Perretta fortemente connessa alla pratica artistica, così come si può realizzare in una installazione o nel montaggio cinematografico. Al linguaggio artistico è connaturata una dimensione sinestetica, che Perretta riconosce in Baudelaire. In Correspondances leggiamo infatti che la natura è per l’uomo una foresta di simboli e che i suoni rispondono ai colori, come questi rispondono ai profumi. Questo sentire e queste immagini non possono allora trovare espressione in forme artistiche che privilegiano in modo assoluto l’aspetto concettuale. Tali tendenze impediscono all’arte di avere incidenza sul reale e di coniugare la ricerca estetica con un compito in senso lato politico.

All’occhio che non vede sfugge la complessità e la capacità di guardare oltre, come accade all’io del sogno notturno. Perretta si riconosce invece nell’io del sogno diurno che riesce, scrive Bloch, ad anticipare utopicamente il futuro senza pretendere di imporre una visione del mondo.

Il vedere è dalle origini del pensiero filosofico legato alla riflessione teoretica e un occhio che non vede esprime un pensiero ristretto in angusti confini, che possono talora essere delimitati dai recinti di società chiuse e opprimenti. Il messaggio libertario del libro di Perretta muove dall’esigenza di prospettare un non-ancora, vicino al Dio ineffabile della teologia negativa e all’ Ateismo nel cristianesimo di Bloch, che possa consentirci di coltivare la speranza, prendendo congedo dalle illusioni del secolo delle ideologie.