Gerhard Merz
Dizionario Lucio Fontana

AA.VV., Dizionario Lucio Fontana

Un’operazione in un certo senso sorprendente è la pubblicazione del Dizionario Lucio Fontana, a cura di Luca Pietro Nicoletti (Quodlibet 2023), in collaborazione con la Fondazione Lucio Fontana.

Nella nota introduttiva del curatore, si sottolineano alcuni aspetti rilevanti della genesi del volume: “Il progetto è nato da un’idea di Enrico Crispolti nei primi giorni di gennaio 2017. Imbattutosi in quel periodo in un’edizione del Dictionnaire Picasso di Pierre Daix, Crispolti aveva colto fulmineamente le potenzialità di uno strumento di consultazione di quel genere – capace di contenere sia un livello informativo sia uno di ricerca – dedicato a un artista cruciale per la storia dell’arte del Novecento come Fontana” (p. 11). [Sia consentito notare che quindi questo Dizionario risulta essere anche un omaggio indiretto al grande Enrico Crispolti].

Già le prime righe della presentazione editoriale indicano l’ampiezza del volume, “Composto da più di trecento voci redatte da oltre sessanta studiosi di diverse generazioni”; “le voci, configurate come brevi saggi critici, sono dedicate a singole opere, a serie e a cicli, ma anche a progetti mai realizzati, […] ad artisti, amici, scrittori, critici, collezionisti, collettivi, movimenti, luoghi di incontro e di socialità mondana che si intrecciano a vario titolo con la sua storia […]” e insomma a una molteplicità di temi e situazioni, contestualizzando la figura umana e artistica di Fontana in termini che possono apparire perfino esaustivi.

Per la sua peculiarità di testo molteplice, in bilico fra un impulso centripeta e una necessità per così dire centrifuga d’ampliare la contestualizzazione, Dizionario Lucio Fontana permette di individuare voci informative (segnalo ad esempio quelle dedicate a due figure centrali come Michel Tapié de Céleyran e il meno noto Beniamino Joppolo) e voci dal carattere storico-critico (ad esempio Gesto, Barocco, Primordio, o quelle dedicate alla questione degli Ambienti). Ma è l’intero ponderoso volume a restituire la cifra multiforme, sfuggente eppure chiarissima e inconfondibile, di un artista che “conteneva moltitudini”: anzi, la sua straordinaria polivalenza stilistica sembra accordarsi naturalmente con l’insolita formula del “dizionario”. Occorre infatti dare conto di uno degli artisti più orientati alla pratica, per così dire, dello sconfinamento: insigne ceramista “figurativo”, straordinario inventore di soluzioni percettive e ambientali, sottile analizzatore delle ragioni più profonde del Futurismo e dell’Astrattismo, acuto interprete d’una libertà espressiva dichiaratamente neobarocca. 

Noteremo comunque che in Fontana (come in Kandinsky o in Malevic) la prassi dello “sconfinamento” si connetteva con qualcosa che, non del tutto adeguatamente, potrebbe definirsi spiritualità laica. Fontana, del tutto padrone dei mezzi tradizionali dell’arte, intendeva usare “i mezzi nuovi, come la radio, la televisione, la luce nera, il radar e tutti quei mezzi che l’intelligenza umana potrà ancora scoprire” (la citazione è dal Terzo manifestoProposta per un regolamento del Movimento Spaziale, del ‘50). In altri termini, per Fontana il luogo dell’immagine balenava là dove la capacità di dare forma alla materia intercettava la facoltà d’interpretare ciò che quella forma nascondeva allo sguardo meramente empirico. Fontana sapeva che l’opera è pur sempre materia, cioè spazio; ma gli era anche noto che “nel rogo finale dell’universo […] non resterà memoria dei monumenti innalzati dall’uomo”.Effimera come una nuvola, “l’opera d’arte è distrutta dal tempo” (prima frase, quasi un titolo, del Secondo manifesto spazialista del ‘48, da cui è tratta anche la citazione precedente); eppure in certo senso l’opera ferma il tempo, o lo accelera, smaterializza la materia e ne esibisce una dimensione ulteriore. Compito dell’artista è porsi all’altezza di tale “astratta” dimensione, situandosi al più alto livello delle facoltà umane: “la nostra intenzione è di riunire tutte le esperienze dell’uomo in una sintesi, che unita alla funzione delle loro condizioni naturali costituisca una manifestazione propria dell’essere”, si legge nel Manifesto bianco del ‘46. La metafora operativa per tale “sintesi” è lo spazio

Anche nell’uso di questa metafora si mostra peraltro il singolare naturalismo/spiritualismo di Fontana. Per sua stessa ammissione, l’insistenza sulla nozione di spazio celava infatti anche una riemersione del ricordo della sconfinata pampa; e d’altra parte i Concetti spaziali materializzavano smaterializzandola l’apparenza del cielo stellato. E così le sue Attese sintetizzano secoli di ricerca prospettica; ma si tratta essenzialmente d’una sintesi emozionale, così come una pura emozione pittorica è raggiunta nella stesura monocromatica, che talvolta induce lo sguardo a sprofondare nello splendore inusitato di certi verdi o certi gialli, al punto da far dubitare l’osservatore d’aver mai visto davvero, prima, un giallo o un verde. 

Consapevole che in arte il mero intellettualismo non paga (“La posizione degli artisti razionalisti è falsa […] La ragione non crea”, dice il Manifesto bianco), Fontana affidava la meditazione sullo spazio, e sul suo trascolorare in tempo, alla più effimera delle capacità: il legame quasi impercettibile fra la sensazione e la comprensione del suo possibile senso diveniva così la vera questione sottesa alle sue opere. Un legame momentaneo, eppure in certo senso sottratto al tempo, e che per essere compreso necessita del tempo lungo della concentrazione, dell’attesa; un astrarsi (un tirarsi-fuori) dalla materia e dallo spazio che empaticamente attende un’intermittenza del cuore, un battito di ciglia in cui l’immagine si mostri per quello che è, cioè altro da sé.