La poetica di Flora Deborah indaga i diversi modi di percepire la realtà, lavora cioè sull’idea di empatia e su come ci relazioniamo ai diversi punti di vista. Tale analisi è rivolta non sono agli esseri umani, ma anche alla percezione che hanno della realtà gli altri organismi viventi, dalle piante fino alle colture di batteri.
Flora si muove tra diversi materiali e tecniche, approfondendo tematiche archetipiche, mitologiche e religiose, cercando di comprendere in che modo l’uomo ha storicamente giustificato i suoi atteggiamenti le sue idee e le sue scelte in opposizione alle altre esistenti.
Nata in Francia nel 1984, a due anni arriva con la sua famiglia in Italia, dove resta fino all’età di 23 anni. In seguito al conseguimento della laurea triennale in Comunicazione alla IULM, sente l’esigenza di partire per andare a studiare fotografia.
Alice Ioffrida: Come mai hai deciso di andare a Londra per studiare fotografia e non hai scelto un’accademia Italiana?
Flora Deborah: Quando vivevo in Italia per me ‘fare arte’ era tabù, la storia è talmente ricca che non mi sentivo all’altezza. Ricordo di aver visitato l’Accademia di Brera alla fine del liceo e lì, circondata dalle sue statue imponenti, rientrai a casa intimidita. Feci così un’altra scelta, meno adatta a me.
A.I.: Oltre al senso di inadeguatezza che la solennità del nostro patrimonio culturale ti trasmetteva, credi di esser stata motivata a partire anche dalla mancanza o carenza di libertà nella sperimentazione artistica?
F.D.: Sicuramente anche questo ha influito. Inoltre, la scuola italiana non aiuta nella scelta del percorso di studi. Ad esempio, io ho deciso di fare il liceo scientifico senza possibilità di comprendere prima quali fossero le mie attitudini, quindi ho scoperto solo nel corso del tempo che per me non fosse adatto. Ho sempre disegnato, filmato, cucito, creato sin dalla tenera età, ma non mi è mai stato consigliato un percorso artistico; non era un’opzione. Penso che la scelta in Italia venga imposta quando non siamo ancora abbastanza consapevoli.
A.I.: Com’è stata la tua esperienza londinese? Quali sono state le condizioni che ti hanno permesso di iniziare la tua ricerca e quindi poi la tua carriera da artista?
F.D.: A Londra l’università ha un approccio totalmente diverso da quello che c’è in Italia. Lì ho avuto un rapporto informale e di parità con i docenti, potevo parlarci e incontrarli insieme ai colleghi al bar dopo le lezioni, penso sia un ambiente più sociale e anche sperimentale. Ma soprattutto trovarmi in un posto in cui nessuno mi conosceva mi ha reso più facile capire chi ero e chi volevo diventare.
A.I.: Cosa hai trovato a Londra? Cosa offre a chi vuole intraprendere la carriera artistica?
F.D.: La mia esperienza a Londra è quella di aver trovaro una comunità di artisti molto grande ed eclettica con voglia di fare e di proporre iniziative. Inoltre, c’è molto da vedere con espressioni artistiche di ogni tipo come gallerie, musei, spazi pop-up, fiere. Penso che Londra offra sia stimoli utili per la ricerca artistica che la possibilità di raggrupparsi, incontrarsi e creare qualcosa insieme, dallo scambio di riflessioni alla messa in opera di eventi.
Londra mi ha aiutata a sentirmi artista e a conoscere persone simili a me, mi ha permesso di fare le prime mostre senza troppe preoccupazioni, in autonomia, senza curatore, senza la necessità di essere aiutati o spinti da istituzioni pubbliche o private.
A.I.: La permanenza a Londra ha avuto un termine, adesso vivi in Israele. Cosa ti ha spinto a cambiare, considerando l’esperienza positiva?
F.D.: Mi sono trasferita a Tel Aviv nel 2016 per fare un master in Fine Art, alla Bezalel Academy of Arts and Design. Non potevo permettermi un master a Londra e inoltre, dopo 7 anni in Inghilterra, sentivo il bisogno di un cambiamento. I miei genitori si sono conosciuti in Israele e così ho deciso di provare Tel Aviv, di trasferirmi al sole, ed è andata bene.
Durante il mio primo anno a Bezalel il direttore era l’italiano Nicola Trezzi, ora al CCA di Tel Aviv e grazie a lui vi erano diversi studenti provenienti dall’estero. Il gruppo di artisti che si è formato lì era ed è ancora molto affiatato, sono stati due anni molto belli ed intensi.
A.I.: Come mai non sei rientrata in Italia o tornata a Londra una volta conclusa l’esperienza formativa?
F.D.: Vivo qui ormai da 5 anni, sono rimasta perché ho trovato una comunità molto legata all’interno di una piccola città che però è ricca di eventi ed attività culturali. Frequento spesso gli studi dei miei colleghi, ci supportiamo e facciamo mostre insieme. A Londra c’era più varietà espositiva ma penso che la comunità artistica qui a Tel Aviv, essendo più piccola, sia più unita.
A.I.: La realtà di condivisione e incoraggiamento che hai trovato nei luoghi in cui hai vissuto è stata basilare per intraprendere la carriera artistica. Nonostante ciò, ti piacerebbe tornare in Italia?
F.D.: Sì, ci penso spesso. Sono partita da ormai 13 anni e anche se mi trovo bene all’estero mi piacerebbe poter tornare. Purtroppo però la maggior parte dei miei contatti lavorativi sono a Tel Aviv e prima di potermi trasferire a Milano ci vorrà del tempo. Non conosco l’ambiente e, soprattutto, vorrei trovare una comunità di artisti e frequentarla come accade oggi quotidianamente a Tel Aviv.
A.I.: Attualmente di cosa ti occupi? Quali sono i tuoi recenti progetti e quali quelli in progress?
F.D.: Attualmente lavoro in studio sui miei progetti per la maggior parte della settimana, mentre il restante dei giorni sono l’assistente di un artista affermato qui a Tel Aviv. Mi occupo anche di fotografia, per lo più di ritratto e documentazione d’arte. Il mio progetto più recente si chiama “Una per Tutte, Tutte per Una” commissionato dal MEIS, Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara. Si tratta di una serie di 72 piastrelle in ceramica smaltata incise e dipinte, raffiguranti una versione della storia biblica secondo la quale alle donne venne offerta la Torah prima che agli uomini ai piedi del Monte Sinai.
Per quanto riguarda i nuovi progetti, in questo momento lavoro su una nuova serie di disegni e sculture e anche su un piccolo ecosistema acquatico, ma é ancora molto presto per parlarne.
Flora Deborah ha lasciato l’Italia per riuscire ad esprimersi liberamente, svincolandosi dall’oppressione del bagaglio culturale in cui è cresciuta e si è formata. La libertà espressiva trovata in Inghilterra e Israele le ha permesso di lavorare alla sua poetica e di aprirsi verso nuovi orizzonti comunicativi che le hanno permesso di inserirsi sulla scena artistica internazionale. Vorrebbe portare le sue conoscenze ed esperienze in Italia, paese che non dà le stesse opportunità, soprattutto quando si parla di Bioarte e si fa meno attenzione all’estetica di un’opera.