giovanni gastel
Screenshot del sito giovannigastel.it

Addio al Maestro della fotografia Giovanni Gastel: l’ultimo dandy dell’arte

Una vita dedicata all’arte quella di Giovanni Gastel, maestro della fotografia italiana tra i più noti a livello internazionale ma anche poeta, elegante e impeccabile – nei modi e nell’abbigliamento – di grande cultura e gentilezza.

Le persone che lo hanno conosciuto vi diranno della sua umiltà e di come riusciva a dedicare sempre anche pochi attimi del suo tempo, un gentiluomo di quelli come non ce ne sono più. Dagli anni dell’Alexandra Studio, aperto nel 1977 arrivando all’odierno spazio in Via Tortona, quindi i primi still life sulla rivista “Annabella” e poi la collaborazione con “Vogue Italia” e “Harper’s Bazaar” sino alle campagne pubblicitarie per Versace, Missoni, Tod’s, Trussardi, Krizia e Ferragamo, e tanti altri. Figlio spirituale di Richard Avedon e Irving Penn, la sua attitudine verso la ricerca della bellezza e il rispetto per le figure femminili, lo porteranno a dimostrare sin dagli anni ottanta quanto il mondo della moda, molto spesso autoreferenziale e autogratificante potesse essere invece suggestivo e significativo. 

Ci lascia per complicazioni da Covid nel pomeriggio del 13 Marzo all’alba dei suoi 65 anni, tuttavia rimane l’immortalità dei suoi scatti e il suo ricordo vivido: “Io sono quello che sono, la mia creatività è generata da quello che io sono non da quello che vorrei essere”

Se penso a Gastel penso a Milano, anzi a una certa Milano d’altri tempi: ultimo di sette figli, nato da Giuseppe Gastel e da Ida Visconti di Modrone, nipote di Luchino Visconti, si dedica alla poesia sin da giovanissimo, un ragazzino di dodici anni che al Jamaica di Brera, quando i caffè erano davvero i caffè e ci si andava per scambiare idee, si immaginava già adulto ad ascoltare i grandi personaggi della letteratura. Finiti gli studi classici, lavora per la prestigiosa casa d’aste londinese Christie’s e poi il punto di partenza della sua carriera creativa, un atto che definisce “di sentimento”, la fotografia. “La somma di piccoli difetti fa la vera bellezza” afferma mentre racconta della sua visione artistica, un’intensa produzione che inevitabilmente richiama la storia delle arti figurative e della pittura rinascimentale, in cui la bellezza era costituita dalla personalità di chi veniva ritrattato o dipinto.
Da fotografo ad artista, un incontro nel novantasette che rivoluziona la sua vita, quello con il critico e storico dell’arte Germano Celant, amico, mentore e curatore delle sue mostre antologiche, la più rappresentativa alla Triennale di Milano nel 1997 e poi al Palazzo della Regione del 2016, che lo consacrano definitivamente tra i maestri dell’immagine visiva: “Tu hai davvero uno stile e questo ti permette di vedere tutto l’universo da un’angolatura distonica dagli altri” gli aveva ribadito Celant e da lì il mettersi alla prova in completa libertà e verità.
Solo alcuni giorni fa si è conclusa al MAXXI di Roma una mostra dedicata agli iconici ritratti di persone provenienti dal mondo della cultura, del design, dell’arte, della moda, della musica, dello spettacolo e della politica che dal 2000 aveva iniziato a realizzare, dal titolo “People I Like”. Le persone che lo hanno colpito e che lo hanno incontrato nel corso dei suoi quarant’anni di carriera: da Barack Obama a Maradona, da Ettore Sottsass a Bebe Vio, da Monica Bellucci a Miriam Leone, e tanti altri. Un percorso intimo attraverso duecento volti, un caleidoscopio di fotografie arricchite da testi letterari, poesie e brani prediletti dal fotografo, che descrivono la personalità emotiva dell’artista e che accompagnano i ritratti delle persone che gli hanno toccato l’anima.
La scrittrice Susan Sontag in uno suo celebre testo On Photography scrive: “Mentre nel mondo persone reali uccidono se stesse o altre persone reali, il fotografo, dietro il suo apparecchio, crea un nuovo minuscolo elemento di un altro mondo: il mondo delle immagini, che promette di sopravvivere a tutti noi”, e allora sì, salutiamo l’uomo, il fotografo e il poeta, ma non la sua arte che cristallizza il corso del tempo.