Una Malinconia in cui l’Anima sembra ristorarsi. Intervista ad Elena El Asmar

“Almustafà, l’eletto e l’amato, come un’alba verso il suo giorno, aveva atteso dodici anni nella città di Orfalese il ritorno della nave che doveva riportarlo all’isola natìva”. Così si apre Il Profeta di Kahlil Gibran, un’opera luminosa. Un’opera eroica per dolcezza e profondità. Una vera Sacra Bibbia del Novecento, ammirata e amata dai lettori di tutto il mondo. Protagonista de Il Profeta è Almustafà che ritroviamo anche ne Il Giardino del Profeta, altro capolavoro letterario di limpida ed antica bellezza dell’autore libanese-statunitense. Proprio Il Profeta ed Il Giardino del Profeta divengono il criterio lirico cui mi sono attenuta in questo per me sentito dialogo con Elena El Asmar. Un filo d’oro che si dispiega gentile nelle forme dialogiche della nostra conversazione. Che sussurra un canto malinconico e prezioso.

Elena condivide con Kahlil le radici libanesi. Il rapimento della parola.  L’incanto. L’ultimo segreto del sentimento naturale. La chiamata ad essere artista. Gibran difatti , oltre ad essere poeta, scrittore, filosofo, fu anche intenso pittore e disegnatore. “Creatore di forme” amava dire di sé. Fu allievo del divino Rodin che lo definì “il William Blake del ventesimo secolo”. Ma rinviamo l’approfondimento di Gibran artista ad un momento più opportuno.

Ho il piacere di conoscere Elena El Asmar da lungo tempo. Una figura gentile. Un’artista gentile ed al contempo mirabile nella sua pienezza d’essere. C’è nell’opera di Elena un senso del lontano, dell’Inconnu. Una malinconia in cui l’Anima sembra ristorarsi, ritrovare il proprio balsamo, la propria essenza poetica. Per poi ripensare ciò in un ampliamento semiotico e semantico: risultato è una nota ancor più individuale il cui contrassegno si ha nell’incontro con ciò che l’occhio verifica quotidianamente nell’esperienza. Elena El Asmar si versa in svariati media -pittura, scultura, installazione, arazzo, disegno, acquerello- sempre con inesausta curiosità, con grazia, con coerenza. Nel suo percorso costruisce una melodia di iridescente bellezza, apre squarci di paradiso perduto, fonde nell’atto artistico le mai finite possibilità di un linguaggio che possiede  presenza spirituale e lucidità. Ho avuto il piacere di dialogare con Elena El Asmar.

E un mattino, quando il cielo era ancora pallido dell’alba, passeggiarono tutti insieme nel Giardino guardando verso Oriente, silenziosi dinanzi al sole che sorgeva.

Si esprime nelle tue opere un sentimento di lontananza, l’incanto della dissolvenza, la memoria essenziale ed intima di una terra d’oro. Un canto invisibile ed evocante che pare consentirti l’accesso ad antichi Frammenti d’Anima. Come le tue radici disegnano il tuo cammino d’artista?

Credo che un giorno, di qualche anno fa, abbia lucidamente deciso di smettere di collezionare troppi ricordi e nozioni. Quel giorno, ma forse era mattina, devo anche aver guardato gli alberi e la luce che si insinuava tra i rami, verdi, brillanti e mobili.

Quel giorno è diventato, poi, scuro e imbrunito e freddo, forse il sole era calato ed era piombata la notte e io, la notte, l’ho sempre passata un po’ sveglia e un po’ a sonnecchiare distrattamente, distesa in un letto tra l’ombra delle frasche di un altro albero e la luce, più o meno marcata, della luna proveniente da un’altra collina ancora.

Oggi anche mi sono affacciata alla finestra e ho visto come ogni albero sia in me la somma di tutti gli alberi goduti appieno finora, dei notturni e dei diurni, degli intarsi costruiti da quella luce sapiente e tagliente che affila i vuoti e li rende accessibili allo sguardo.

Parto dalla cima e dalle cime ascolto i racconti che giungono dagli spazi bui e nascosti dove le radici trovano dimora, e io non posso che proiettarmi, oltre che nel tronco, anche nelle foglie che si staccano per seguire le correnti e confondersi, nel paesaggio prima, su una tela poi, per depositarsi nello spazio che mi circonda.

Allora una sacerdotessa disse: Parlaci della Preghiera. E lui rispose dicendo: Voi pregate nell’angoscia e nel bisogno, ma dovreste pregare anche nella pienezza della gioia e nei giorni dell’abbondanza Poiché non è forse la preghiera l’espansione di voi stessi nell’etere vivente?

C’è nella tua arte una forma di preghiera, una meditazione, una coscienza poetica che riporta tutte le cose dell’universo alla loro essenza. Quale significato assume per te la forza consolatrice ed inesauribile della ritualità?

Cammino di giorno, di sera, quando piove e quando c’è il sole, se fa caldo e se fa freddo, cammino anche se sto ferma e a ogni passo ricalibro me stessa e il mio pensiero lungo il paesaggio che accade d’intorno, costruisco un ritmo nuovo che mi permette di rendere praticabili quelle porzioni di mondo a me, in parte, sconosciute.

Fumo sempre, da quando il mondo ha iniziato ad appassionarmi più di quanto mi appassionassero i miei pensieri contorti, proiettata negli anfratti dei pulviscoli terreni, divento un tutt’uno con questo paesaggio, pianeta, cosmo, difficilmente pensabile e penetrabile per intero.

Il rito reiscrive l’effimero in un registro più ampio, muove e allunga la durata del pendolo che oscilla tra le cose caduche, laddove pensare l’eterno e affidarsi alle idee immutabili è una tensione in contrasto con ciò che solletica i temi dell’umano sentire che si forma, e ci forma, nell’esercizio continuo e nello spostamento.

E un discepolo che aveva servito nel Tempio lo supplicò e disse: Insegnaci, Maestro, così che le nostre parole siano come le tue parole: un canto e un incenso per la gente.

E Almustafá rispose e disse: Voi v’innalzerete sopra le vostre parole, ma il vostro percorso resterà un ritmo, una fragranza; un ritmo per gli amanti e per tutti coloro che sono amati, e una fragranza per quanti vogliono vivere la vita in un giardino.

Quale valore ha la parola nella tua disposizione creatrice, nel tuo fare poietico?

Ci sono libri che ho letto e riletto, altri che invece ho letto una volta sola.

Ci sono racconti che portano con sé il peso delle immagini, alcuni li ho trovati in libreria mentre altri mi hanno trovato anche in luoghi dove non sapevo di essere.

Ci sono parole che hanno volti e suoni e odori e che ogni tanto danno una tregua all’inquietudine che mi perseguita e in quei brevi attimi di consolazione riesco a scendere le scale e guardare al di là dei tetti, delle finestre, sedermi a una tavola apparecchiata e godermi un po’ di sole.

Io sono, e vivo, nella parola scritta, in quella ascoltata, volentieri poi cantata, dopo suonata, strappata, a volte anche distorta, spesso amplificata, memorizzata, sussurrata, sognata, immaginata, fantasticata, guardata, trovata, ricordata, giocata, abitata, disegnata, dimenticata, mutata e raccontata.

E un Poeta disse: parlaci della Bellezza.

E lui rispose: Dove cercherete e come scoprirete la Bellezza, se essa stessa non vi è di sentiero e di guida? E come potrete parlarne, se non è la tessitrice del vostro discorso?

Eccoti un interrogativo che sono solita porre spesso nei miei dialoghi con gli Artisti: Elena, cos’è per te la Bellezza?

Una volta, dopo un lungo viaggio, tornai a casa e ritrovai le rose, le campanule e le viole.

Poi spalancai una porta perché avevano bussato e un paesaggio, ricordo, si accese all’improvviso, quando lo vidi pensai che assomigliasse a degli inchiostri rossi, cremisi e vermiglione che mi erano stati regalati e non ai colori dei fiori che erano stati piantati lì intorno, prima. Non assomigliava neanche alle luci che sostavano fuori dalla porta di casa.

Chissà cosa sarebbe potuto diventare, quel paesaggio, se qualcuno lo avesse immortalato prima che sparisse dietro lo scivolo della sera.

Questa domanda mi perseguita tutti i giorni e ogni risposta che non riesco a dare è ciò che più si avvicina a quella mia timida idea di Bellezza.

Quali sono i prossimi progetti di Elena El Asmar?

Sto progettando di frequentare il mare più di quanto abbia fatto negli ultimi anni, camminare più lontano e bere dei buoni Martini. È una bella prospettiva.

Oggi ho intrapreso un sentiero

e ho lasciato indietro la neve

che muta – mi muta

a ogni passo scolpito

sopra – il sepolcro dei vecchi candori

idoli immagazzinati nelle urne

di un qualche pensarsi

come uomini in giallo

che sfidano il tempo delle stagioni

per ricongiungere gli sguardi impazienti

dove le parole hanno volumi che si sottraggono alla nostra pesa

e cercarti è un po’ morire

come fanno gli orizzonti, nel silenzio, il mare

Milano, febbraio 2023

Immagine in evidenza: Elena El Asmar, L’esercizio del lontano 2010-2021, reti, calze, vetro, plexiglas, 3 lampadine, 7 basi in ferro, dimensioni variabili dell’installazione, sul fondo Arioso Operoso, 2019, scoloritura e acrilico su raso di cotone, 300×200 cm circa

Serena Ribaudo

Serena Ribaudo vive tra Palermo e Firenze. È saggista, storico dell'arte. Si occupa dell'organizzazione e del coordinamento curatoriale, scientifico e tecnico di mostre d'arte contemporanea presso organismi pubblici e privati. Ha dedicato la sua attività più recente alla curatela di mostre ed eventi artistici all'interno di sedi storiche al fine di una maggiore valorizzazione del dialogo tra arte contemporanea e patrimonio artistico-architettonico del passato