IOSONOVULNERABILE. La conquista del diritto alla vulnerabilità.

Dal 30 settembre 2023 al 30 gennaio 2024, all’ExCarcere Pontificio di Velletri, “iosonovulnerabile, dunque vivo. Arte è amare la realtà!” a cura di Sergio Mario Illuminato. Una pratica performativa transdisciplinare all’exCarcere Pontificio di Velletri per esplorare la realtà e la vulnerabilità umana.

Vulnerabile agg. [dal lat. vulnerabilis, der. di vulnerare “ferire”]. -Che può essere ferito: Sigfrido era v. solo in un punto della schiena. Più com. in senso estens. e fig., che può essere […] ad alto rischio di estinzione, se non mutano le cause alla base del declino.

Da Treccani

Alla Vulnerabilità, alla sconcertante e lieve condizione di assoluta autenticità, in cui ogni creatura mostra la propria pelle e la offre in sacrificio, la offre Al sacrificio, è dedicato “iosonovulnerabile, dunque vivo. Arte è amare la realtà!” un progetto transdisciplinare a cura di Sergio Mario Illuminato, che abbraccia diversi linguaggi espressivi dell’arte. Significativa la scelta del luogo, topos esatto per escavare ed auscultare le umane fragilità: l’exCarcere Pontificio di Velletri, costruito nel 1861 e dimenticato da oltre trent’anni, vulnerabile anch’esso nell’essere interrotto, nell’essere corpo di pietra prestato alla pena. Più di 1000 mq ritornano in vita e vengono offerti alle arti e alle sue molteplici possibilità.

Vulnerabilità è la comprensione della propria condanna all’identificazione, alla finitudine. Ed è al contempo salvezza, è perdono, è  appartenenza ad un elemento fluido. 

Vulnerabilità è la percezione di un punto nevralgico. QUEL punto. Vulnerabilità è luna, è coraggio, è fioritura. È terribilità e meraviglia. È invocazione. Trovo veramente encomiabile “iosonovulnerabile, dunque vivo. Arte è amare la realtà” per scelta di tematica (scomoda), per esiti artistici ed estetici, e per dedizione alla realizzazione e al puro sentimento che la sostiene.

Ho avuto il piacere di dialogarne con Sergio Mario Illuminato.

Come nasce IOSONOVULNERABILE?

Nel risponderti, con molta umiltà nella citazione, vorrei usare le parole di Papa Francesco pronunciate proprio in queste ore: “…nel nostro mondo tristemente diviso e dilaniato dalle guerre, l’Arte ha il potere di favorire il riconoscimento della nostra comunità, di costruire ponti tra culture e popoli…”. IOSONOVULNERABILE nasce dal mio sguardo che vorrei non fosse tutti i giorni ingabbiato da immagini di guerre e disastri ambientali e sociali, immagini di una natura umana alle strette anche per sua stessa natura. Nello stesso tempo, vorrei che l’arte non trasformasse tutto in una bella giornata – direbbe lo scrittore La Capria; perché come dice Parmiggiani, uno dei pochi artisti italiani con voce internazionale: Cosa si può costruire oggi in arte, a partire dall’ottimismo offensivo, modaiolo e festaiolo di un mondo dell’arte al borotalco che, mentre tutto brucia, ci indica Disneyland come prospettiva?
In questo senso, la bella giornata a cui io invece voglio riferirmi è la vita che interviene sui nostri passi quotidiani, che s’infrange contro le nostre certezze e ci costringe all’abbandono. A prescindere da quanti anni tu abbia vissuto, quanta pelle della vulnerabilità tu abbia sgualcito e quante pieghe della tua fragilità abbia ripiegato: basta davvero una sola, bella giornata! Mentre sto indicando da una parte lacerazioni, ferite che non possono essere guarite, come la grande lezione del Qoelet biblico fa apparire sullo sfondo, con la mia arte vorrei invece parlare dell’evidenza invisibile, silenziosa, di emozioni, di esperienze che ci raccontano il mistero della realtà che ha saputo dare energia e positività alla vulnerabilità umana nel corso dei millenni del suo cammino. 

Perché la scelta dell’exCarcere Pontificio di Velletri?

In gioco è qui il rovesciamento non solo di Platone, ma del Platonismo facendo dell’immagine non ciò che salva dall’erosione del tempo, ma il testimone più diretto di questa erosione. Per questo abbiamo preferito lavorare nell’ombra, nella polvere, nella preghiera dell’exCarcere Pontificio di Velletri, così come ci rivela l’allestimento e la fruizione della Sezione 1 e della Cappella-Cinema del Carcere che produce uno choc che rompe il legame abitudinario con i nostri mondi quotidiani usurati. Gli spazi delineati nel loro candore essenziale, tra contraddizioni poco risolvibili, nel cuore di una cultura gianotipica (da Giano, il Dio che guarda il passato e il futuro), diventano luoghi in cui traspare un ribaltamento di ruolo tra figura (opera) e sfondo (ambiente) e si sviluppa un processo di relazioni senza uguali che può rivelare un lessico condiviso tra artisti e partecipanti.
Il legame irrisolto tra architettura, funzione d’uso e simboli rende l’exCarcere Pontificio un contenitore ideale come Cattedrale Contemporanea della Vulnerabilità per la nostra pratica performativa transdisciplinare di pittura-scultura a carattere site-coexistence in cinema-danza-musica-fotografia. ‘iosonovulnerabile’ è l’ultima testimonianza di questo patrimonio storico che da qui in poi sperimenterà una trasformazione attiva versò nuove identità. Proprio per questo essere riuscito a far partire da questo (tra qualche mese) ‘nonspazio’ la mia ricerca transdisciplinare nata nel 2020 significa innanzitutto ringraziare i responsabili del Movimento VulnerarTe, dell’Accademia di Belle Arti di Roma, ed ancora della Regione Lazio, della Città Metropolitana di Roma Capitale e del Comune di Velletri a cui rivolgo tutta la mia gratitudine per aver osato il supporto ad un’iniziativa straordinaria come questa, unica nel suo genere. 

Cosa è la Vulnerabilità?

Oltre al corpo, ciò che contraddistingue l’individuo e lo rende incredibilmente umano, emotivo e consapevole di sé e del mondo circostante, al di là dell’impulso di sopravvivenza, è la sua intrinseca VULNERABILITÀ.
L’essere umano è costitutivamente vulnerabile. Non solo dal punto di vista biologico o psicologico, ma anche intellettualmente e moralmente vulnerabile, nella sua natura più intima. Ed è proprio questa vulnerabilità che, paradossalmente, rende l’individuo umano estremamente forte e resiliente, capace di generare qualità, benessere e sicurezza nella propria esistenza a livelli sempre più elevati.
Un segno promettente dell’aumento di questa sensibilità, che introduce il tema della vulnerabilità nella prospettiva di una concezione più avanzata della dignità umana e del bene comune, può essere trovato nella Dichiarazione di Barcellona del 1998, redatta con la collaborazione di ventidue esperti provenienti da diverse discipline nel campo della bioetica, su iniziativa della Commissione Europea e sotto la coordinazione del Centre for Ethics and Law di Copenhagen.
In questo testo, non solo la vulnerabilità viene menzionata per la prima volta come parte integrante dei principi regolatori della bioetica universale (autonomia, integrità, dignità, vulnerabilità), ma viene anche esplicitamente collegata al riconoscimento della finitezza costitutiva della condizione umana e all’urgente richiamo alla responsabilità morale della comunità umana.
Il segnale proveniente da questa integrazione, che richiede una certa audacia propositiva, è sicuramente incoraggiante. È incoraggiante perché, nel pensare al presente, si tende sempre di più ad associare il concetto di vulnerabilità a qualcosa di estremamente debole e poco resistente. Tuttavia, la fragilità va ben oltre il semplice contrario di forte e indistruttibile. La fragilità è la capacità di essere vulnerabili e sensibili al di là di ogni misura: significa comprendere la molteplicità delle emozioni, delle scelte e delle tensioni a cui l’uomo si confronta quotidianamente e sentire tutto ciò sulla propria pelle.
L’uomo non è fatto di acciaio, non è indistruttibile o impenetrabile, ma è di vetro: vacilla e può rompersi, scheggiarsi, ferirsi e rovinarsi un po’. Spesso non siamo pronti ad ammettere la fragilità delle cose e di noi stessi e preferiamo tenerla nascosta, perché siamo spinti dalla vita quotidiana a associarla a una concezione negativa, come fattori di degrado personale e comunitario, da emarginare e curare.
Questa società, nonostante tutti i suoi innegabili progressi, fallisce nella sfida della vulnerabilità: non solo perché non riesce a generare risorse di significato per una vita che appare imperfetta e fallibile, ma anche perché si dimostra inadeguata nella cura e nella protezione delle persone più fragili e deboli, come se fossero inevitabilmente prive di dignità e ragionevolmente sacrificabili.
Il recente passaggio attraverso la sconvolgente pandemia di un virus sostanzialmente sconosciuto ha dimostrato, al di là di ogni previsione, quanto disorientamento, incertezza e impotenza le nostre società civili, anche le più tecnologicamente ed economicamente avanzate, hanno mostrato in poche settimane, facendo sprofondare il nostro delirio di onnipotenza.
Questa consapevolezza rappresenta forse la parte migliore, al momento, della nuova sensibilità antropologica che sta maturando in questo confuso e contraddittorio cambiamento d’epoca. La coscienza collettiva del profilo affatto speciale della vulnerabilità costitutiva dell’essere umano – la sua inclinazione a essere ferito anche nell’anima dall’oppressione altrui e dalla propria impotenza – è un aspetto nuovo della nostra evoluzione culturale.
Tutto lascia pensare che la necessaria riscoperta della vulnerabilità umana, avviata dalla riflessione antropologica e imposta dal contesto epocale, debba svolgere un ruolo centrale, e non marginale o accidentale, nella ricostruzione di un progetto umanistico e civile all’altezza della nostra disposizione intrinseca ad essere umiliati e persino travolti nella nostra dignità di esseri umani.

Arte è Amare la Realtà. Tematica che mi è particolarmente cara. Riannodare arte e realtà in questo momento storico e culturale può essere oggi più che mai uno strumento di luminosa comprensione di ciò che ci circonda. Come può l’arte esprimere la necessità di raccontare, e di raccontarsi, i fatti della vita?

Partiamo innanzitutto dai dispositivi artistici. Non sono consunti dal tempo, non sono affatto l’idea degradata della luce dell’Idea dell’Arte, non è una mera apparenza destinata semplicemente a dileguare, come considero buona parte dell’arte contemporanea nel suo sistema visibile. Gli Organismi Artistici Comunicanti intervenuti nel processo di Velletri hanno molti strati; una chiave di lettura ma anche una polisemia fluttuante, sono universo plurimo di significazioni, ogni volta mai compiuto, inesauribile, intraducibile delle INTELLIGENZE UMANE che hanno costruito questo appuntamento: Sergio Mario Illuminato (Pittura-Scultura), Rosa Maria Zito (Fotografia, Scenografia), Roberto Biagiotti (Cinema), Patrizia Cavola, Ivan Truol e Camilla Perugini, Nicholas Baffoni (Danza), Andrea Moscianese (Musica) e Davide Palmiotto (Suono). 
In particolare, ho chiamato i miei dispositivi di pittura-scultura allestiti nelle celle Organismi Artistici Comunicanti proprio perché non hanno una forma fissa e conclusa, ma sono composti da un “Tessuto-Trama-Cosmica” in continua evoluzione, dove tutto è in uno stato di cambiamento: reazioni chimiche, fermentazioni, alterazioni cromatiche e degrado.  Questo nome rafforza l’idea che l’arte sia un processo strettamente legato alla vita come materia prima e coinvolga una natura interpretativa attiva e inclusiva tra artisti e partecipanti, da cui amare la realtà è arte!

Prossimi progetti di Sergio Mario Illuminato?

Il tema è proprio questo. Raggiungere una dimensione pubblica del processo artistico da me curato fuori dai gruppi di sistema formalmente riconosciuti che hanno prosciugato la partecipazione. Dopo Velletri, la prossima tappa sarà Roma nell’appuntamento “VULNERARE DUNQUE FALLIRE” e a seguire, Milano e Torino. Quindi un evento speciale per il Giubileo del 2025 che stiamo già costruendo. La nostra vocazione ora è anche raggiungere i giovani nelle scuole, i detenuti nelle celle, e allargare l’onda lunga del nostro universo narrativo su più luoghi e piattaforme trans-media. Il cinema innanzitutto.

Chiudo riportando una domanda che davvero ho sentito innumerevoli volte nella preparazione di IOSONOVULNERABILE: Perché devo entrare nel processo artistico aperto e continuo che state realizzando? Cosa mi devo aspetto di vedere? Io rispondo che potrebbe esserci qualcosa da voler mettere in salvo. Qualcosa che parli a te. Ai tuoi desideri.

Serena Ribaudo

Serena Ribaudo vive tra Palermo e Firenze. È saggista, storico dell'arte. Si occupa dell'organizzazione e del coordinamento curatoriale, scientifico e tecnico di mostre d'arte contemporanea presso organismi pubblici e privati. Ha dedicato la sua attività più recente alla curatela di mostre ed eventi artistici all'interno di sedi storiche al fine di una maggiore valorizzazione del dialogo tra arte contemporanea e patrimonio artistico-architettonico del passato