“Amate gli animali: Dio ha donato loro i rudimenti del pensiero e una gioia imperturbata. Non siate voi a turbarla, non li maltrattate, non privateli della loro gioia, non contrastate il pensiero divino. Uomo, non ti vantare di superiorità nei confronti degli animali: essi sono senza peccato (…). Questo il pensiero estremamente evoluto di Fëdor Dostoevskij. Come nasce il tuo rapporto speciale con gli animali?
Cara Serena, fin da bambina ho mostrato i segni di una spiccata curiosità e attrazione verso gli animali non umani. Passavo molto tempo con loro. In quel periodo avevo un’amica il cui padre era un fattore, e a casa gestivano molti animali, tra cui dei pony. La curiosità si era trasformata in passione, e spesso io e la mia amica trascorrevamo pomeriggi assieme, giocando con loro, e uscendo in campagna con un calesse. Sembrava un tempo sospeso, quasi fiabesco, certamente un sogno per ogni bambina, se non fosse stato per il modo spesso brutale con cui il fattore puniva questi minuscoli cavallini quando non gli obbedivano. E poi altri episodi hanno definitivamente posto fine alla mia infanzia: una sera d’estate, rientrando nella stalla, io e la mia amica ci trovammo innanzi a una scena atroce: uno dei giovani tori, legati con catene scorsoie a pali di ferro che andavano dal suolo al soffitto, si era impennato e la catena era rimasta incastrata in alto, impiccandolo: tra le grida degli uomini che provavano inutilmente a liberarlo, abbiamo assistito alla sua morte, mentre girava gli occhi a un cielo che non aveva nemmeno mai potuto vedere.
Un giorno, come nulla fosse, l’allevatore mi disse di salutare il pony più piccolo (un puledro ossuto di poco più di un anno) perché sarebbe stato macellato. Quando mia madre venne a prendermi, quel pomeriggio, io ero aggrappata al pony e non lo volevo lasciare. Piangendo le raccontai di ciò che il fattore aveva deciso per lui, ma le risultava difficile crederlo, perché i pony, così come i cavalli in genere, appartengono a quegli animali che consideriamo d’affezione (quindi ritenuti come parte della famiglia), ma che al contempo vengono uccisi per essere serviti sulle tavole sotto forma di sfilacci, bistecche di puledro, salumi o insaccati di carne mista. Sono tra quegli animali che, per il solo fatto di esistere, ci pongono di fronte alla nostra schizofrenica dissociazione, divisi tra il desiderio di non sentirci soli e l’insaziabile appetito di ingerire persino il corpo di chi accompagna i nostri passi.
Mia madre acconsentì quindi a salvare quel pony, Fulmine, di cui mi occupai per tutta la sua vita, e che 28 anni dopo morì tra le mie braccia.
Fin da piccolina capii quindi che volevo provare a comprendere i cavalli. Imparai non solo a montare, ma anche ad entrare in relazione con loro tramite delle tecniche che permettono, mediante un linguaggio non verbale, di divenire parte del branco. La mia famiglia aprì un maneggio, e da quando avevo 14 anni iniziai a insegnare, condurre le passeggiate, gestire gli stalloni alla monta, addestrare i puledri, far partorire le giumente, partecipare alle gare. Contestualmente però mi recavo dai commercianti che trattavano cavalli destinati al macello per salvarli, rieducarli, recuperarli fisicamente e immaginare per loro una seconda vita. Proprio per salvare un cavallo dovetti entrare in un mattatoio, e lì decisi che non avrei più voluto far parte di quell’inferno, che quell’orrore non mi apparteneva, e da allora non toccai più nè carne nè pesce.
Quel sentimento di sgomento però mi accompagna sempre, perché quando ci si rende conto che il dolore è così prossimo a noi, ovunque guardiamo, diventa difficile ignorarlo.
Ho avuto il piacere di accompagnarti e di curarti, insieme a Lorenzo Calamia, in occasione del tuo passaggio palermitano di ART_HISTORY che in quella circostanza specifica prendeva il titolo di ART_HISTORY/ Vucciria. Ricordo ancora le contrattazioni coi pescivendoli, la curiosità della gente del quartiere e dei turisti, le corse forsennate verso la Cala per permettere ai pesci di sopravvivere e di vivere, di tornare a nuotare nel loro mare. Un vero atto d’amore e dedizione. Un atto di riconoscimento della dignità e del diritto, quasi invocato, alla libertà di ogni creatura. Mi parleresti di ART_HISTORY?
Una volta scoperto di saper dipingere, pensai a come usare la cosa, e iniziai a proporre miei dipinti in cambio dei cavalli che volevo salvare, perché mi pareva in assoluto il modo migliore di mettere a frutto le mie capacità. La scuderia e l’allevamento gradualmente stavano mutando volto seguendo la mia evoluzione: non allevavo più cavalli avendo compreso il dolore della forzata separazione tra madri e figli, né partecipavo più a competizioni o facevo attività di maneggio, dato lo sfruttamento degli animali. Il luogo era diventato un piccolo rifugio per animali salvati, quello che avrebbe dato vita al metaprogetto RAVE East Village Artist Residency, fondato con mia sorella.
Nel tempo mi resi conto che ciò che realizzavo con la mia pratica artistica e ciò che compivo con i miei gesti quotidiani, con la mia vita, coincidevano. Misi a fuoco quello che istintivamente stavo facendo da tempo, e diedi una formalizzazione compiuta a questa pratica, che avevo chiamato ART_HISTORY. In sostanza proponevo, e ancora propongo, a un commerciante, un allevatore o un macellaio, di darmi un animale destinato ad essere ucciso per scopi alimentari in cambio di un mio dipinto che ritrae proprio quell’animale e delle sue medesime dimensioni. Un contratto firmato da entrambi sancisce lo scambio. Si tratta proprio di una modalità per provare a porre quegli stessi quesiti che stavano accompagnando lo sviluppo della mia crescita, e della mia pratica allo stesso tempo: è possibile dare un valore economico a una vita? e un’opera? E quali sono i margini dell’arte, può spingersi a interagire con il reale, fino ad arrivare a salvare una vera vita?
Nel caso di Palermo si è trattata di un’esperienza molto particolare: mi avevate invitata a partecipare alla residenza che si teneva a Casa Spazio, nel cuore della Vucciria, in collaborazione con Casa Sponge. La Vucciria è uno dei due mercati storici della città di Palermo e, anche se i banchi si sono rarefatti, i pesci vengono ancora venduti nelle piazze. Quando i pescivendoli si recano al mercato, alcuni di questi animali sono ancora vivi. Avevo proposto quindi lo scambio a un pescivendolo, per il giorno seguente, fornendogli ossigenatori per aiutare i pesci a respirare nell’acqua dal momento in cui lui li prendeva al mercato fino al loro ritorno in mare, che doveva avvenire quindi nel minor tempo possibile. L’azione andò bene, e assieme al pescivendolo concordammo di ripeterla per diverse albe. I pesci già il primo giorno erano giunti sani e salvi nella baia di Sant’Erasmo dove avevo immaginato la liberazione, non lontano dalla foce del fiume Oreto, circondato dal mito.
Tu e Lorenzo mi avete seguita in questa performance, durante la quale per la prima volta per me è stato possibile restituire al proprio habitat degli individui che vi erano stati sottratti. Abitualmente quando salvo degli animali dal mattatoio o da situazioni di dolore, poi me ne prendo cura, fino al loro recupero completo fisico e psicologico, ed eventualmente alla loro possibile adozione. In questo caso invece ho potuto condividere con delle creature oppresse il momento esatto della loro liberazione totale, nel loro ricongiungimento con quel mare al quale appartenevano e appartengono.
È stato un momento potente, hai ragione: un canto d’amore. In particolare ricordo un polpo che aveva paura di lasciare il secchio, e con le ventose si aggrappava a quell’unica speranza che credeva di avere. Con cautela ho staccato le sue ventose dal secchio, e l’ho liberato. È scomparso veloce ed incredulo tra le onde.
In queste azione si mette in atto la speranza, che compie una sorta di miracolo, anzi più di uno: qualcuno che doveva morire invece vive. E non è poco.
Scrive la poetessa Christina Rossetti, da te tanto amata e sorella del celebre Dante Gabriel: “Dammi il posto più in basso: non lo merito lo so, ma tu sceglieresti di morire perch’io potessi vivere e godere la gloria dalla stessa parte tua. Dammi il posto più in basso, e se per me troppo alto fosse, un altro più in giù ancora, dove possa sedermi per vedere il mio Signore, e così amare Te”.
Dipartendo dai versi mirabili della Rossetti e dalla sua visione ardente e numinosa, con licenza ad ampliare la sua intenzione assoluta , mi sovviene un interrogativo. Hai scelto di tutelare i più fragili, quelli che in una concezione della vita e del cosmo assai superficiale si posizionano ” nel posto più in basso”, in quello che è il posto apparentemente più umile ma che è invece destinato ai puri di cuore (e qui torniamo a Dostoevskij). Come vivi questa sorta di investitura tua propria che è un onore ed un onere?
Christina, una donna artista in un periodo complesso come il Vittorianesimo, pur nella sua condizione di fragilità fisica, è riuscita a trasformare quello che avrebbe potuto essere il suo ruolo di mera modella e musa in quello di una solida poetessa e disegnatrice. E’ stata capace di attraversare il proprio tempo e prendervi parte attiva all’interno della Confraternita Preraffaellita, e contestualmente di anticipare la necessità di decostruzione di quell’antropocentrismo nel quale siamo ancora, purtroppo, immersi.
‘…And other eyes than our’s
Christina Rossetti, ‘To what Purpose Is This Waste?’
Were made to look on flowers,
Eyes of small birds and insects small:
The deep sun-blushing rose
Round which the prickles close
Opens her bosom to them all.
The tiniest living thing
That soars on feathered wing,
Or crawls among the long grass out of sight,
Has just as good a right
To its appointed portion of delight
As any King…’
Per me non è stata una decisione quella di difendere chi non ha difese, quanto una necessità. Quando assisti a un terribile sopruso ci sono due possibilità: o lo normalizzi, secondo quelle dinamiche di accettazione della ‘banalità del male’, oppure, nel momento in cui metti a fuoco l’oppressione, la tua lettura degli eventi non può più rimanere la stessa, non può più essere neutrale. E se i focolai di dolore sono prossimi a te, e ovunque, non è possibile volgere lo sguardo altrove: il velo di Maya rimane sollevato, sempre, e una parte di te resta sempre lì, in quel dolore. Il riconoscimento dell’altro e dei suoi diritti al di là delle barriere di specie viene definito antispecismo.
L’antispecismo è il primo movimento di liberazione a favore di specie diverse dalla nostra.
Si tratta di un pensiero che si muove tra la più alta poesia volta all’ideale assoluto e la pratica, fatta di piccoli e grandi forme di resistenza: dalla cura quotidiana degli animali salvati, dal veganismo, dalla diffusione di un pensiero diverso alle battaglie sul suolo dei rifugi, come ci hanno mostrato i recenti fatti di Sairano in provincia di Pavia, dove attiviste e attivisti da tutta Italia erano accorse per difendere i maiali ospitati nel rifugio minacciati da un provvedimento di soppressione. Il 20 settembre 2023 all’alba dieci camionette della polizia hanno abbattuto il cancello di ingresso del santuario Cuori Liberi, picchiando, manganellando e trascinando nel fango compagne e compagni inermi che si erano incatenate per impedire l’uccisione dei fratelli e sorelle animali. 9 maiali sono stati barbaramente ammazzati sotto gli occhi di chi li considerava parte della famiglia.
Questi terribili eventi mostrano come, pur in una crescente coscienza antispecista e intersezionale, la società sia ancora molto lontana dal riconoscere come lecita questa battaglia.
È necessario rifondare gli immaginari, esercitare lo sguardo verso spazi e modi inesplorati. Proprio per la grande fiducia che ripongo nell’arte a questo dedico ogni mio giorno, con la mia pratica artistica e con il metaprogetto RAVE, dove a partire dalla condivisione di spazio e tempo con alberi e animali salvati immaginiamo insieme ad altre artiste e artisti, scienziati, curatrici, architetti, giornaliste, zoologi… possibilità di coesistenza che ancora non esistono.
Sosteneva Salvador Dalì: “il disegno è l’onestá dell’arte. Non vi è alcuna possibilità di barare. O è buono o è cattivo”. Il disegno è realmente sfacciatamente sincero. È padre e madre di ogni Arte e di ogni Occasione Artistica.
Tiziana, ti muovi con agilità e coraggio tra vari media artistici riuscendo a rimanere fedele al tuo stile narrativo ed alla tua disposizione poetica. Altresì ti ho visto più volte disegnare. Nel tuo disegnare c’è un tuo splendido dono, un palpito. Qual è il tuo rapporto con il disegno?
Se la pittura sottende lo stupore dell’esito anche per l’artista che la crea, il disegno insegue la linea perfetta, tra le infinite possibilità, ricerca quella imprescindibile.
È vero che il disegno non mente, ma è vero anche che corrisponde esattamente al momento creativo. Rappresenta l’attimo, dà forma a uno spaccato anche temporale rispetto ai moti dell’anima, alle pulsioni che lo hanno generato.
Hai ragione: io uso ogni medium che ho a disposizione. Sono curiosa di capire i miei limiti, sempre seguendo quella necessità che mi rappresenta nei diversi linguaggi. Mi immagino plurale, e nell’arte cerco anche me stessa, di restare aderente a ciò che mi corrisponde.
Il mio percorso parte dalla letteratura, e forse è proprio il disegno la pratica che più si avvicina alla ricerca della parola, alla tensione verso la descrizione di un intero mondo da tratteggiare, sul foglio bianco.
Ma spesso i protagonisti dei miei disegni sono indivui che hanno provato a rompere le barriere costruite dall’uomo, per spezzare la linea oppressiva e fatale del destino che qualcun altro aveva tracciato per loro. Nella mia serie The Broker Linele storie rappresentate sono tutte vicende di resistenza. I soggetti sono scomposti, le linee si seguono e si annodano nei muscoli tesi, nei volti segnati. E anche quando i disegni ritraggono animali non umani salvati, si tratta di sopravvissuti all’industria di sterminio legalizzato, che ha capitalizzato i loro corpi e le loro vite. In questo senso ciò che hai percepito penso sia quel senso di fragilità che accomuna ogni vivente, ma che per alcuni è già condanna prima ancora di essere venuti al mondo.
Prossimi progetti di Tiziana Pers?
Cara Serena, si è appena conclusa la mostra La lunga estate calda alla Galleria Nazionale di Roma, curata da Claudio Libero Pisano. Io e mia sorella Isabella abbiamo presentato un progetto congiunto, HOLY-DAY, che coniuga le nostre due ricerche. La mostra infatti era una collettiva di opere audio, e in questo contesto il nostro lavoro attraversa fisicamente dei paesaggi sonori centrali nelle nostre sensibilità: un vento attraversa le fronde di un pioppo della memoria, ma si può fare spaventosa tempesta, come nell’ultima estate friulana, quando non sapevamo più cosa aspettarci da un clima in mutamento. Dalla campagna dei ricordi e della paura l’audio si sposta sul piazzale di un’autostrada, dove all’interno di un camion alcuni maiali faticano a respirare: le loro vere voci, riprese dagli attivisti di Essere Animali durante le investigazioni, raccontano di un ultimo viaggio senza acqua con temperature che all’interno del cassone sfiorano i 50 gradi. Gli esiti del riscaldamento globale e le cause antropiche legate agli allevamenti si alternano in un loop dove emergono le vite ‘altre’ coinvolte nella nostra corsa senza senso. Mi piacerebbe quindi sviluppare questo lavoro in un passaggio successivo, sempre a quattro mani.
In questo periodo io e Isabella siamo parte del progetto di residenza Grand Tour en Italie che prende vita nella città di Napoli e che ha come fulcro lo stimolante spazio di Super Otium. Si tratta di un percorso condiviso con stupende compagne di viaggio, a partire dalla curatrice Susanna Ravelli. Durante la residenza sto sperimentando una modalità del tutto nuova che riguarda ART_HISTORY: la possibilità di aprire la pratica in un’azione condivisa e plurale. A breve verranno calendarizzati gli eventi espositivi conclusivi, e potrò raccontare di più.
Contestualmente RAVE ha visto la nascita di un volume che raccoglie tutta l’esperienza del metaprogetto mediante una lunga intervista che i curatori del libro, Daniele Capra e Nico Covre, hanno fatto a me e a Isabella. L’Altro RAVE, prodotto da Vulcano agency ed edito da Quodlibet, è stato presentato per la prima volta il 10 gennaio alla Triennale di Milano. Durante la serata, in dialogo con me, Adrian Paci, Daniele Capra, Giovanni Marta di Vulcano, il curatore della Triennale Damiano Gullì e con la partecipazione del presidente Stefano Boeri, sono emersi temi che hanno a che fare con il rapporto tra gli animali non umani e le arti visive, con la genesi di RAVE, con le opere realizzate dal 2011, con il ruolo delle mostre nelle dinamiche del reale e con il significato del termine autoctono in un mondo in continuo migrare e divenire.
Da ottobre poi è iniziato Koinotes. Comunità germinative, un progetto di residenza curato da Olga Gambari e rivolto ai collettivi presso la Casa degli Artisti di Milano. Come RAVE abbiamo vinto insieme a Osservatorio Futura e stiamo presentando, con altri interessanti collettivi, un programma condiviso. In questa sede, anche simbolicamente rilevante per la sua storia (il luogo da sempre è stato sede di atelier di artiste e artisti, e quindi spazio concreto per la vita artistica milanese da oltre un secolo) stiamo pensando di presentare anche un progetto al quale sto lavorando dal 2020: ha avuto origine infatti proprio nei mesi del lockdown. Ci tengo in modo particolare a questa progettualità perché avrà a che fare con una performance collettiva, democratica, reale. E perché mira a uscire dagli ambiti riservati all’arte contemporanea per confrontarsi con qualcosa che accomuna tutte e tutti noi, nel momento, intimo o condiviso che sia, del pasto. Con la speranza che questo lavoro prenda la forma per cui è stato concepito e, quindi, vada oltre me, il mio tempo, e il mio stesso fare arte.