Susana Pilar, Empatía, 2024 vedute generali Galleria Continua San Gimignano 20/01/2024 - 31/03/2024 Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA Photographer: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Susana Pilar e Adel Abdessemed da Continua

Una nuova inaugurazione a Galleria Continua di San Gimignano, la mostra personale di Susana Pilar titolata “Empatía”, allestita alla Cisterna e la presentazione del video di Adel Abdessemed “Jam Proximus Ardet, La Dernière Vidéo”, proiettato all’Arco dei Becci.

I due eventi espositivi si aggiungono alle mostre aperte a settembre 2023 e ancora visitabili fino al 30 marzo, quali “Tensione Continua”, la collettiva a cura di Carlo Falciani dedicata al concetto di “tensione” su più livelli ed ambiti, con artisti scelti fra quelli rappresentati nel corso degli anni da Continua e altri esterni alla galleria, nonché la personale “InCerchi” di Alicja Kwade, artista polacca che vive a Berlino e che nel suo lavoro di indagine percettiva sullo spazio, il tempo e la scienza non “ vuole dimostrare nulla”, ma – secondo quando dichiara- presentare solo “ipotesi materiali, senza pretese di prova”.

Pilar, artista cubana nata nel 1984 e residente in Olanda, che annovera nel suo curriculum numerose partecipazioni a prestigiose rassegne internazionali, espone per la prima volta negli spazi di Galleria Continua. Il suo lavoro è basato su vari aspetti: sia su eventi performativi che interagiscono con gli spazi scelti e con la storia del luogo dove si tengono, delle performance in situ connotate dalla intensa partecipazione corporea ed emotiva dell’artista, dalle connessioni di memoria o culturali con il contesto, testimoniate da documentazione video; sia su opere realizzate con vari mezzi, tra cui la fotografia, la scultura e il disegno che si ispirano al vissuto personale prima che ad una riflessione di carattere più ampio, concernente la vasta gamma di temi sottesi alla sua pratica artistica. 

Fondamentale nell’attività di Pilar è il corpo come archivio e deposito di memorie e di dolori, in particolare il suo, che diventa mezzo, luogo e testimonianza di esperienze artistiche, un ‘luogo’ simbolico e reale di accadimenti. La sua riflessione si concentra sulla violenza, sulla schiavitù e sul razzismo, subiti, tra l’altro, dalla popolazione africana cui appartengono i suoi antenati, i quali provengono principalmente dalla Sierra Leone e dal Congo e hanno vissuto sulla loro pelle la deportazione nelle Americhe e la relativa devastazione delle loro vite e famiglie. Uno dei motivi basilari del lavoro di Pilar, prima di essere anche una denuncia sociale, è la rivisitazione della storia dei suoi progenitori fatta attraverso il suo corpo, come se anch’esso recasse traccia del male sofferto; il suo lavoro diventa così fortemente autentico per l’adesione alle radici, sublimate con l’amara poesia del linguaggio artistico, che agisce, forse, anche come riscatto.

Tra le opere esposte, “Intercontinental Drawing” del 2017 documenta attraverso delle foto in bianco e nero l’azione che Pilar ha effettuato alla Biennale di Venezia di quell’anno, in cui la barca da lei tirata faticosamente su terra rievoca drammatici “viaggi”. Notevole è l’istallazione titolata “Black Stories” del 2019, con origami in carta nera realizzati dall’artista con i piedi, in memoria della mutilazione delle mani inferta agli schiavi. La performance tenutasi in Belgio nello stesso anno, quasi a voler ricordare le responsabilità che quel paese, assieme ad altri, ha avuto nei confronti della schiavitù, è documentata con un video nel quale si vede la realizzazione degli origami, che rievocano oggetti rubati e confiscati alle popolazioni in Africa: case, animali e strumenti vari; al contempo esprime, nella presenza di origami a Galleria Continua, in numero ridotto rispetto all’originale, disseminati al suolo in una saletta apposita dello spazio di Cisterna, la resilienza e la resistenza che generazione dopo generazione si sono tramandate e che si manifestano oggi nell’azione artistica .

L’azione finale inedita, tenutasi il giorno stesso dell’inaugurazione, ha coinvolto direttamente gli spettatori, mediante l’invio ad alcuni di essi, da parte di Pilar stessa, di biglietti di carta contenenti messaggi di speranza: un invio fatto con una fionda e in modo apparentemente casuale. 

Nell’evento sta il senso dell’empatia, come recita il titolo della mostra e della comunicazione tra pubblico e artista, ribadito dalla grande tela bianca esposta “Wall of all together” del 2024, dove ognuno dei presenti è invitato a scrivere una parola relativa a una propria virtù, in un’azione interattiva e partecipata. 

Adel Abdessemed, nato in Algeria nel 1971, residente a Parigi, noto internazionalmente, presenta per la prima volta negli spazi di Galleria Continua il video titolato “Jam Proximus Ardet, La Dernière Vidéo” del 2021. 

È strutturato in un unico piano sequenza a seguire il movimento di una nave in fiamme che domina lo schermo e mette a fuoco l’ incendio che divampa fin sul ponte di essa, dove vi è un solo passeggero, riconoscibile nell’artista stesso: egli guarda in avanti ed è impassibile nei confronti di ciò che sta avvenendo dietro di lui. 

Fiamme, fumo, rombo del motore sono elementi visivi e sonori che creano una visione di forte impatto emozionale ed eloquente; fuoco ed acqua sono nel contesto causa di pericolo e di tragedia ed emanano risonanze legate al mare e all’idea del viaggio attraverso il Mediterraneo, un tempo più sereno come nel mondo classico, cui rimanda il titolo del video, quando vi era una destinazione certa e raggiungibile, mentre oggi l’obiettivo dell’arrivo è incerto e il più delle volte svanisce drammaticamente anzitempo.

L’opera di Abdessemed, come spesso si riscontra nel suo lavoro, collega due aspetti dicotomici: da una parte la bellezza della realizzazione artistica, dall’altra la coscienza della tragedia come simbolo universale del dolore e della violenza. 

L’artista, inserito nella collettiva Tensione Continua, con una grande istallazione collocata sul palco dell’ex cinema teatro di Galleria Continua e titolata “Otchi Tchiornie” del 2017, costituita da ventisette figure maschili, allineate in tre file su un tappeto rosso, uomini posti frontalmente e impegnati nel canto ma dall’espressione inquietante, fa dialogare anche in questo contesto aspetti antitetici di cui l’opera si fa portatrice.

Proprio nel connubio di stupore e amarezza, di morte e di vita, di dramma e di speranza, con un linguaggio che utilizza vari mezzi, tra cui scultura, video, fotografia, lo spettatore è coinvolto in una riflessione profonda che dal passato arriva all’oggi.

Per l’artista che ha vissuto la fuga dal suo paese per la guerra civile e per le atrocità commesse, “ l’indignazione è una necessità” – secondo quanto afferma lo scrittore Kamel Daoud – “piuttosto che un’estetica”.

Di fatto anche nella conversazione tenutasi nel pomeriggio inaugurale con Carlo Falciani, Abdessemed ribadisce, in un dialogo ricco di motivi e di riflessioni, stimolate dall’uno e ampliate dall’altro, quanto sia importante la consapevolezza individuale del male che attanaglia l’uomo in questo tempo. 

La condizione umana è il denominatore comune di tutta l’arte di Adel Abdessemed che emerge sia nella realtà attuale, sia nel corso della storia, espressa attraverso un linguaggio originale che spazia dalla dimensione specifica a quella universale dell’uomo, nella coscienza che l’etica venga prima della bellezza, benché quest’ultima, anche se amara, non possa proprio mancare.

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