Paolo Romani
Rome 10, Italy, 2014

Roma altrimenti di Paolo Romani

Vedere e guardare, si sa, hanno significati differenti. Il primo verbo significa semplicemente percepire. Il secondo, come asseriva Paul Klee, secondo cui compito precipuo dell’artista è insegnare a guardare, vuol dire al contrario soffermarsi su qualcosa (o qualcuno) sino a coglierne il segreto. A guardare Roma, la sua città d’elezione, si è di recente dedicato Paolo Romani in un progetto, Roma altrimenti, che, dopo Rijeka, in Croazia, è stato di recente esposto in una mostra organizzata dall’Associazione Aurea Phoenix APS presso la -1 Art Gallery dell’Acquario Romano Casa dell’Architettura, noto spazio espositivo della capitale.

A quale Roma pensa Paolo Romani? Alla sua, e a nessun’altra. Roma altrimenti non è infatti uno studio alternativo delle periferie o delle zone disagiate di Roma capitale; è la stessa città-cartolina che tutti abbiamo attraversato, vuoi perché ci siamo nati, vuoi perché la abbiamo visitata. Ma vista in un modo differente, secondo un approccio costato al fotografo eterni ritorni. Un conto è, infatti, immortalare una località esotica – Romani è un ottimo fotografo di viaggio – dove tutto è una sorpresa, un altro ritrarre una sua vecchia amica, di cui gli sembra di conoscere ogni cosa. Di questo itinerario tra strade e piazze insolitamente vuote, ferite dal grigiore di un’ombra o al limite ostruite da un turista di passaggio, l’autore ci offre immagini che prediligono gli attimi, le emozioni fugaci: l’esatto opposto del “momento decisivo” di Hernri Cartier Bresson. Piuttosto foto che, come i capolavori del grande André Kertész, offrono tracce che rimandano a noi stessi, ricordandoci quanto sia vasto il nostro inconscio. E senza mai perdere di vista l’universo circostante, che non smarrisce il suo carattere di oggetto percepito. Certo è difficile di questi tempi imbattersi in foto originali; tanto più se la tecnica è il bianco e nero in analogico e il soggetto è la città probabilmente più fotografata al mondo. Paolo Romani ci è riuscito anche grazie a Holga, la macchina-giocattolo fatta di plastica dalla testa ai piedi, che rilascia scatti sporchi, bruciati, sovraesposti, costringendo chi la impiega a mettere da parte le più elementari norme compositive. Romani, per dirne una, non può fare a meno di scegliere inquadrature centrali: le uniche in grado di restituire, tra una sfocatura e l’altra, un’impressione regolare. Bene, nelle visioni di Romani il limite si trasforma in occasione: le sfocature entrano in calcolato contrasto con le geometrie esatte predilette dal fotografo. Gli scorci di Roma, anche i più noti, risultano contaminati da un senso di ordine e, insieme, di incertezza e sospensione. Non dunque solo Roma, ma Roma altrimenti. Dove la realtà finisce inizia il sogno.

Per le opere dell’artista https://www.romaniphoto.it/