Matteo Fato, Quadri come luoghi, installation view, Palazzo Oldofredi Tadini Botti, Torre Pallavicina (BG), 2023. Ph Michele Alberto Sereni

Quadri come luoghi

Quadri come luoghi, a cura di Davide Ferri con la collaborazione di Barbara Meneghel, è una mostra che riunisce il lavoro di 23 artisti contemporanei in 5 sedi espositive di grande fascino (non usualmente preposte alle mostre d’arte) sparse in alcuni luoghi del territorio bergamasco e bresciano in occasione di Bergamo Brescia Capitale della Cultura.

I confini del supporto pittorico definiscono lo spazio ideale attraverso cui permeare e manifestare la pluralità di modi di vedere e costruire ipotesi. Quei limiti, un tempo nettamente determinati, sono oggi, sempre più spesso, soglia fluida di scambio e dialogo tra il mondo tangibile e quello immaginato, interpretato.

A partire dalla capacità dell’opera pittorica di costruire un ambiente inedito con il suo ordine singolare e riconoscibile, di interagire con la realtà fisica fino a plasmarla, si delinea il progetto Quadri come luoghi, a cura di Davide Ferri, in collaborazione con Barbara Meneghel e con il coordinamento di Miral Rivalta. La mostra, visitabile fino al 29 ottobre 2023, si compone delle opere di 23 artisti allestite negli spazi di cinque sedi d’eccezione di altrettanti paesi delle province di Brescia e Bergamo, congiunte capitali italiane della cultura per l’anno in corso. Quadri come luoghi, titolo lapidario che pure ingloba una varietà ampia di riflessioni e molteplici sfumature di senso, conduce, così, ad esplorare le possibili accezioni attraverso cui interpretare il lavoro pittorico, nonché la pluralità di relazioni da esso generate. La stretta corrispondenza definita tra ambienti fortemente connotati dalla propria eredità storico-artistica e opere altrettanto singolari, manifestazioni della sensibilità di individualità differenti, garantisce un processo di contaminazione reciproca e continuità di narrazione nel tempo e nello spazio, dunque, un rinnovamento ininterrotto di pensiero e interpretazioni. Un accordo esclusivo si definisce in ognuna della cinque sedi a partire dall’incontro di voci eterogenee; si strutturano, così, cinque microcosmi indipendenti eppure aderenti al medesimo racconto, frammenti di un mondo instabile e mutevole.

I luoghi e la loro espressione si costituiscono origine e meccanismo propulsore di dialoghi complessi; tale consequenzialità è particolarmente evidente nella Chiesa di San Fermo, a Calcio (BG), dove architettura austera e rigorosa e natura sacrale inducono ad un atteggiamento di indagine intima e misurata dell’impenetrabile. Qui trovano il loro spazio d’espressione, costituendosi esse stesse come luoghi autonomi, tre sculture in cera di Gregorio Botta (Napoli, 1953); involti appena illuminati che, nella loro essenzialità e regolatezza, racchiudono la storia della ricerca spaziale, l’osservazione e la suggestione di uno sguardo profondo che allude al mondo pittorico senza farne parte esplicitamente. Nella medesima sede, due dipinti di Alessandro Fogo (Thiene, VI, 1992) mostrano figure inesplicabili e ambigue di un passato mitico, immagini archetipiche immuni al trascorrere del tempo che intrecciano un dialogo di allegorie ed emblemi con il lascito simbolico della tradizione cristiana.

Si prosegue nelle sale di Palazzo Adorni, a Capriolo (BS), in origine dimora signorile, dove la narrazione indugia sul rapporto simbiotico tra corpo e luogo. Il lavoro di Corinna Gosmaro (Savigliano, CN, 1987), pur configurandosi come opera pittorica, muove dalle pareti per occupare lo spazio fisico, rinnovandolo; l’artista introduce nell’ambiente una personale traduzione grafica dell’idea multiforme di paesaggio chiamando lo spettatore ad attraversarlo e occuparlo. Il corpo e la relazione incerta e mutevole che esso definisce con l’ambiente sono argomenti centrali anche nella ricerca di Beatrice Meoni (Firenze, 1960), nelle cui opere esposte si legge il tentativo di rimediare al disorientamento della materia organica, di riappropriarsi dello spazio e della stessa corporeità, attraverso una misurazione inevitabilmente imprecisa ma ostinata di passi. Nei lavori di Gabriele Picco (Brescia, 1974) l’atmosfera cupa dello spazio monocromo contrasta con il tono lieve attraverso cui l’artista rivela i suoi protagonisti; lo smarrimento e l’affanno che ne deriva sono, così, temperati da uno sguardo ironico, di leggera gravità. Gli ambienti rappresentati nelle opere di Marta Pierobon (Brescia, 1979) si mostrano come elaborazioni chimeriche di un repertorio di suggestioni e simboli ampio e intimo; il quotidiano è alterato dall’immaginario in un’amalgama grottesca e onirica di forme identificabili eppure aliene. Il segno pittorico di Farid Rahimi (Losanna, 1974)delinea, attraverso ampie campiture, luoghi paradossali, al tempo stesso rigorosi e immutabili, indefiniti e inafferrabili; l’artista genera, dunque, immagini ambigue di stanze impossibili che sembrano rifuggire la presenza umana ed esistere solo nella narrazione. 

Un ulteriore capitolo si dispiega presso la Cascina Castello di Mornico al Serio (BG), edificio dalla ricca eco storica il cui allestimento, non a caso, ragiona sul valore evocativo che un luogo, fittizio o concreto, può emanare. Le Selve di Mirko Baricchi (La Spezia, 1970) sembrano comprendere nella loro trama uno sguardo attento, di eredità romantica, sulla natura e un gusto da miniatore per il lavoro metodico; la traccia del gesto pittorico, ben visibile sulla superficie, plasma un paesaggio indeterminato, non rappresentazione naturalistica, bensì visione sensibile e indefinibile. In un confine labile tra il tangibile e l’inafferrabile si collocano le opere di Antonio Marchetti Lamera (Bergamo, 1964), ombre di architetture appena riconoscibili, emanazioni frammentarie dello spazio fisico sottratte alla ciclicità del tempo; l’ombra, nel suo processo inarrestabile di trasformazione e composizione, cesellando lo spazio ne genera un’immagine sempre rinnovata. Nel suo lavoro, Alessandro Sarra (Roma, 1966) definisce un tempo e un luogo unicamente pittorici, un ordine esclusivo proprio dell’opera che si svincola dal riferimento al reale; pur nella loro astrazione, le immagini sembrano seguire e allinearsi alle irregolarità della parete, dello spazio fisico, e stabilire, dunque, un legame tra due ordini differenti. La ricerca di Serj (Bergamo, 1985) trascende l’idea usuale di pittura attraverso l’utilizzo e la contaminazione di espedienti artistico-narrativi differenti; l’idea di luogo è mediato dall’immagine di bandiere – emblema della territorialità – oscure e indefinite, ma anche dall’elemento sonoro, un fruscio che si propaga nello spazio forgiandolo. 

La suggestione esercitata da un luogo e la sua risonanza sono indagate anche negli spazi di Villa Presti, Ospitaletto (BS), in un intreccio di influenze reciproche tra le opere e l’edificio. Quella di Linda Carrara (Bergamo, 1984) è un’indagine lirica che osserva, reinterpretandoli, i modi d’espressione della natura e del paesaggio; attraverso una ricerca di astrazione, i lavori dell’artista restituiscono la plasticità della materia organica componendo morfologie inedite e recondite. Nella pittura di Marco Neri (Forlì, 1968),il paesaggio urbano subisce un processo di sintesi e astrazione come subordinato ad uno sguardo fugace nella velocità della corsa cittadina che pure individua e definisce un ordine rinnovato; l’architettura della città diventa materia prima per la codificazione di un equilibrio nuovo ed essenziale di campiture. Federico Pietrella (Roma, 1973) delinea, nelle sue opere, uno spazio dal tempo indefinito, dall’ambientazione limpida eppure enigmatica; i segni di pittura impressi, come un sistema di simboli, evocano una dimensione nostalgica, un trascorso appena avvenuto e già inafferrabile, misurandosi con lo sguardo e la percezione dell’osservatore. Nazzarena Poli Maramotti (Montecchio Emilia, RE, 1987) guarda alla tradizione pittorica affrancandosi da essa con un atteggiamento di curiosità e desiderio d’osservazione; gli elementi raffigurati non sono immagini mimetiche del reale quanto, piuttosto, emanazioni sensibili di esso mediate dal tratto vibrante a suggerire una lieve e continua tensione. Il concetto di luogo è rappresentato, nell’indagine di Davide Rivalta (Bologna, 1974), dall’animalità, da un ordine estraneo a quello umano; il lavoro esposto raffigura un’aquila i cui tratti, seppure precisamente riconoscibili, lasciano permeare un’interpretazione personale di vita palpitante, l’impressione di una natura materica e ferina. Immagine di un’esistenza feroce e fosca sono, ancor più esplicitamente, le opere di Nicola Samorì (Forlì, 1977) dalla cui superficie pittorica emergono figure ed elementi come concrezioni di un passato arcaico, simulacri vessati e frementi in uno spazio oscuro e impenetrabile.

Negli spazi di Palazzo Oldofredi Tadini Botti, a Torre Pallavicina (BG), connotati da ricchi affreschi rinascimentali, emerge il carattere narrativo del luogo e l’inevitabile influenza sugli elementi che ne entrano a far parte. Attraverso il lavoro di Simone Berti (Adria, RO, 1960) si entra in una sorta di quinta teatrale, interpretazione di ambiente naturale che accoglie l’immaginifico; le opere dell’artista si configurano come un accordo di simboli ed emblemi, immagini paradigmatiche di una sensibilità peculiare e di una narrazione mitica e personale. Le opere di Matteo Fato (Pescara, 1979) si pongono in stretto dialogo con l’apparato decorativo dell’ambiente, rimandando ad un immaginario epico, ripreso e stravolto dallo sguardo e dalle necessità espressive contemporanee; si distinguono la radicata eredità iconografica e la mediazione necessaria di un gesto e di una matericità del tutto rinnovati. La stratificazione di materia e lavorio pittorico, espressa, con sensibilità archeologica, da Franco Guerzoni (Modena, 1948) coincide con la sovrapposizione di affreschi delle stanze del Palazzo, generando, così, l’urgenza di una doppia indagine tanto nella dimensione fisica del luogo quanto in quella ipotizzata e accennata dalla pittura dell’artista. Maria Morganti (Milano, 1965), nelle sue Sedimentazioni, definisce una sorta di lavoro archeologico inverso, che è anche allusione all’idea di conformazione e trasformazione del paesaggio, in un processo di accumulo di materia; in mostra anche un’opera riproduzione dello studio dell’artista, luogo d’origine di ogni azione creativa. Il lavoro di Alfredo Pirri (Cosenza, 1957) è tra le poche installazione interpellate in questo discorso sulla pittura; nonostante l’apparente dissonanza, l’opera risulta portavoce e sintesi puntuale della ricerca spaziale dell’artista, nonché testimone essenziale di un’idea ampia e multiforme del concetto di opera pittorica e del suo riecheggiare. Sono, infine, presenti due elementi del progetto Mura Aureliane, indagine ampia e ossessiva di Michele Tocca (Subiaco, RM, 1983), in cui il piano pittorico diventa strumento di osservazione di altre superfici, fenditura su luoghi differenti, in una sintesi organica di storia, materia, spazialità e ricerca formale.

Quadri come luoghi
Sedi varie, Bergamo e Brescia
A cura di Davide Ferri
In collaborazione con Barbare Meneghel
Con il coordinamento di Miral Rivalta
24 settembre – 29 ottobre 2023