Com’è nato il progetto? Qual è il suo fine?
L’idea di questa mostra risale a qualche anno fa: entrambi gli autori fanno parte dell’Agenzia fotografica che ho il piacere di dirigere (GT Art Photo Agency, con sede a Milano) e insieme a loro ne ho ragionato a lungo. La nostra Agenzia si occupa da dieci anni di promuovere la fotografia d’autore e questi due lavori pluripremiati hanno in sé caratteristiche di eccellenza non solo per la loro fattura e la loro originalità ma anche per il messaggio forte e multiforme che riescono a veicolare. Da tempo desideravo dare loro spazio in una mostra importante che vedesse dialogare due mondi e due linguaggi e che portasse alla luce il valore autoriale di Franco Carlisi e di Francesco Cito su un tema che entrambi hanno affrontato con una poetica distintiva che ha portato loro successo, separatamente e in momenti e contesti diversi. Vederli adesso insieme per la prima volta ci regala un susseguirsi armonico e rivelatore di visioni e di dettagli che è già per sé stesso il fine ultimo del progetto: regalare emozioni, memoria condivisa e una proiezione vivida di dimensioni umane di palpabile intensità.
Quali pensi siano le differenze tra i due modi di raccontare di Franco Carlisi e di Francesco Cito? E in che modo emerge un dialogo tra i due lavori?
L’aspetto che accomuna maggiormente i due fotografi è certamente quello dell’approccio stesso al tema, centrato su una visione volutamente defilata e spoglia da ogni condizionamento esterno, libera da ogni mandato ufficiale. Tuttavia, si possono facilmente individuare due linee di ricerca differenti. Le fotografie di Carlisi si mostrano particolarmente suggestive, ricche di enfasi nei loro vividi contrasti, dense di pathos quasi come se fossero delle messe in scena cinematografiche (ma non lo sono affatto!) e centrate soprattutto sulle emozioni più spontanee tradite dai gesti, dalle posture e dai tantissimi ritratti “rubati” alle pose canoniche dei fotografi “ufficiali”. Le fotografie di Cito invece descrivono piuttosto il contesto scenografico e di rappresentazione tipico di un rito immerso in una cultura geografica particolarmente attenta all’apparenza e al folclore, alla necessità di ostentare, alla partecipazione corale e ad un certo gusto esibizionistico, per costruire un “evento” pieno di enfasi il più possibile fuori dall’ordinario e immerso in una cornice al limite del ridondante. In questo modo le emozioni più pure e spontanee, specchio di uno sconvolgimento interiore (personale, familiare e collettivo) sembrano dialogare costantemente con una forma di rappresentazione quasi teatrale che sembra negarne l’autenticità e la porta invece alla luce proprio attraverso la gestualità estrema e il contesto appariscente che rivelano un’intera cultura nella sua essenza. Le due chiavi di lettura, nel loro continuo duettare nelle sale espositive, sembrano così restituire – nel loro insieme – il ritratto complesso di un rito fondamentale per la nostra società nel quale si riversano identità e rappresentazione, intimità e apparenza, sentimento e ostentazione. Una danza di contrasti che non stanca mai e lascia senza fiato dalla prima sala fino all’ultima.
Come il mezzo fotografico utilizzato ha permesso un approccio diversificato?
Entrambi i fotografi si attestano sul codice linguistico comune di una fotografia in bianco e nero decisa e densa. Nell’attraversare il mistero dell’unione tra due persone, però, gli autori hanno assunto una “posizione” differente: se Carlisi ha privilegiato la visione ravvicinata ed emozionale, entrando “fisicamente” nelle scene fino quasi a farne parte, come ad essere uno specchio nascosto nelle stanze o un ospite che si aggira discreto e inosservato intorno al nucleo degli sposi, Cito si è tenuto ad una più significativa distanza da loro e dal flusso incombente degli eventi, allontanandosi forse più volentieri dall’emozione in sé e da una visione più prettamente intimistica per accomodarsi invece su una linea di visione più distaccata, più in prospettiva e più critica. Due osservatori attenti e sensibili quindi, capaci di racconti diversificati e complementari.
Quali sono le novità portate rispetto al genere attuale della fotografia di matrimonio? Si possono definire reportages?
I lavori di Franco Carlisi e di Francesco Cito rappresentano un modello alternativo e di ispirazione particolarmente interessante per tutta la fotografia classicamente definita “matrimonialista”. Entrambi escono completamente dagli schemi e dalle convenzioni classiche di questo genere fotografico nella sua accezione più comune – certamente preziosa ma legata a stereotipi di stile e di linguaggio al servizio di una committenza abbastanza omogenea – e si concentrano piuttosto su una ricerca defilata, spiazzante e in controtendenza. Se il reportage è un racconto per immagini che fornisce informazioni e documenta la realtà, questo progetto è sicuramente vicino ad un lavoro di reportage, ma non si limita a questo: sconfina anche nella fotografia di ritratto, nella documentazione socio-antropologica, nel racconto storico di un rito che si perpetua nello spazio e nel tempo. Spesso gli autori non chiamano a sé gli sguardi dei soggetti fotografati, si muovono in scioltezza lungo assi paralleli alla “scena principale”, si incagliano volutamente in dettagli rivelatori o rimandi simbolici fortemente evocativi, si concentrano sulla forza comunicativa delle immagini più che sulla loro pienezza estetica, si ispirano ad una ricchezza espressiva prima che a una bellezza formale. In questi termini, definirla una fotografia puramente di reportage risulta riduttivo.
Come è stato pensato l’allestimento a Spazio Field? Perché è stata scelta questa location? Come il luogo si sposa con il progetto?
L’allestimento della mostra si sviluppa nello spazio di 3 grandi sale dello storico Palazzo Brancaccio, ove Spazio Field ha trovato dimora per ospitare eventi espositivi e d’arte di grande risonanza. A queste sale si aggiunge un’ultima stanza dedicata ad una performance audio-video. All’interno delle 3 sale espositive abbiamo concepito un’installazione artistica coerente con la mostra, che intende esaltarne il significato con dei richiami simbolici puliti ed eleganti. I visitatori si sentono progressivamente coinvolti in un’atmosfera avvolgente, attratti dalle scene che incontrano fino quasi a farne parte, senza per questo essere distratti dalle fotografie, che rimangono il cuore pulsante di un evento immersivo ed emozionante. Il principesco Palazzo Brancaccio è particolarmente adatto ad accogliere il nostro progetto in quanto rappresenta una delle luxury location più importanti di Roma, molto richiesto proprio per i ricevimenti di nozze di particolare spicco, oltre che per altri importanti eventi di grande spessore culturale o sociale (mostre, esposizioni, presentazioni, convegni, sfilate, eventi aziendali e altro ancora), Tra l’altro, il Palazzo è stato spesso scelto più volte come location set per girare celebri pellicole del cinema italiano e internazionale (si può citare sopra tutti “Vacanze Romane” del 1953, con Audrey Hepburn e Gregory Peck).
I testi di Michele Smargiassi e di Andrea Camilleri sono editi o inediti?
Sono entrambi testi editi: quello di Michele Smargiassi costituisce l’introduzione al libro “Matrimoni napoletani – Neapolitan Weddings” di Francesco Cito, mentre quello di Andrea Camilleri è uno dei testi introduttivi del libro “Il valzer di un giorno” di Franco Carlisi. Le fotografie in mostra costituiscono una selezione delle fotografie presenti nei suddetti libri fotografici.
Rispetto al canonico romanzo all’italiana, si possono cogliere dei momenti che tradiscono lo stesso titolo?
Questa interessantissima domanda richiederebbe di fare molte riflessioni. In termini generali, possiamo dire semplicisticamente che la caratteristica principale del “romanzo” sia quella di imitare e riflettere il mondo reale finendo per deformarlo e sognarlo diverso. In questi termini, mi sento di dire che la fotografia in sé – in generale – rappresenta uno strumento privilegiato per scrivere romanzi per immagini, essendo essa in grado di decodificare il dato reale che appare allo sguardo per poterlo restituire diverso dopo il passaggio critico che si compie sulla nostra retina, nelle pieghe della nostra sensibilità e per il mezzo del nostro apparecchio fotografico. Le nostre fotografie sono sempre il risultato filtrato e riletto dalla nostra umana capacità di sentire (prima) e di comunicare (poi) ciò che vediamo. Questo progetto, nel suo insieme, è una lettura critica di un mondo reale con cui gli autori dialogano e si confrontano: il titolo della mostra intende proprio dispiegare questo slancio trasformativo, questa ricerca curata e assidua da parte dei fotografi che ci catapulta emotivamente nel sogno e nella trasfigurazione di un mondo rivisitato attraverso una tempesta perfetta di stimoli simbolici e proiettivi che permettono di raccontarlo. La cerimonia del matrimonio porta con sé moltissimo materiale emozionale, tante aspettative di futuro condiviso, suggestioni forti in tutte le persone che vi prendono parte ed emozioni che restano spesso indelebili nei ricordi per anni. Così la lettura fotografica di questo momento così particolare si fa romanzo: racconta, descrive, e poi ispira, svela, suggestiona, provoca, sorprende, commuove. Al contempo, il progetto espositivo rivela molti spunti di romanticismo, di musicalità, di malinconia, di struggimento e di intensità vicini piuttosto al genere della Poesia. E, per altro verso, il forte realismo di alcune fotografie in particolare sembra davvero avvicinarci ad un genere molto poco “romanzato” e più vicino ad un documento socio-antropologico di valenza storica. Tuttavia, tradire in parte il titolo in ragione di altri possibili percorsi di lettura che se ne discostano non significa negarne la forza espressiva o mettere in discussione la coerenza del progetto con il nome che gli è stato dato. Significa semmai riconoscere a questo lavoro ulteriori e più ampie potenzialità e letture e lasciare al fruitore delle fotografie il piacere di visitare la mostra cogliendo per sé messaggi e significati di valore e scegliendo liberamene di leggerli in prosa oppure in versi.
ROMANZO ITALIANO – Franco Carlisi e Francesco Cito
a cura di Giusy Tigano
dal 12 ottobre al 5 novembre 2023
dal martedì al sabato, dalle ore 19.00 alle ore 23.00 (prima delle ore 19.00 su appuntamento: +39 064873177)
Spazio Field – Palazzo Brancaccio, Viale del Monte Oppio 7, Roma
Organizzata dalla milanese GT Art Photo Agency in collaborazione
con SMI Technologies& Consulting Srl e on il patrocinio del Municipio I Roma
info@gtartphotoagency.com
Tel. 02. 36551643