Luigi Presicce a Contemporary Cluster a Roma

L’esposizione “Le storie della Vera Croce” tenutasi lo scorso anno al Mattatoio di Roma, in cui Luigi Presicce (Porto Cesario, 1976) ha presentato tutte insieme le performance realizzate nel decennio precedente, ha segnato una virata nella sua attività creativa oltre che espositiva. In quel momento l’artista stava già lavorando ad altro da più di un anno. I frutti di questa nuova stagione sono oggi visibili nella mostra “La bigiotteria della Terra” presso Contemporary Cluster, a Palazzo Brancaccio a Roma, in via Merulana, fino all’11 marzo. Un nuovo punto fermo nella sua produzione, segnato nuovamente e non casualmente nella capitale, luogo in cui meglio si dispiega il suo pensiero visionario e sincretico.

Dai tableaux vivants ad una figurazione espressionista e allucinata, dalla performance, individuale o collettiva, ad una pittura psichedelica, imbastita da colori acidi e segni scattanti e continui: potrebbe essere questa la sintesi estrema della ricerca che ha interessato Presicce negli ultimi tre anni, se non fosse che nella sua nuova pittura è possibile rintracciare una moltitudine di riferimenti, forse non tutti direttamente considerati dall’autore, ma assimilati nel suo sfaccettato immaginario. Fonti alte e basse, assunte indistintamente, eludendo ogni gerarchia, inevitabilmente anacronistica in un presente fluido sotto molti aspetti.

Va detto innanzitutto che la pittura per Presicce non costituisce una novità ma un ritorno alle origini, a quando poco più che ventenne, conduceva un’indagine introspettiva contraddistinta da atmosfere bluastre e ritratti lividi di ragazze truccate da clown; una pittura annebbiata e fantasmatica, in cui, a ben guardare, erano già presenti in nuce alcuni dei motivi della successiva fase performativa. In quest’ultima Presicce ha riscoperto il fascino della storia e del colore, delle credenze e dei riti, in una figurazione vivente in cui si combinano finzione e realtà, passato e presente; composizioni sceniche di grande fascino, al centro delle quali l’artista ha posto spesso la sua figura, sempre mutevole, ora artista, ora mago, ora santo. Opere fondate sul travestimento, sull’ecclettismo, sul camouflage a tratti carnevalesco, che insieme ad un’allucinata visionarietà costituiscono i tratti salienti anche della nuova produzione pittorica.

Paesaggi impossibili, nudi privi di una sessualità definita, qualche creatura fantastica e tanti volti caratterizzati da lunghi nasi appuntiti e ricurvi, menti pronunciati, grandi labbra, zigomi sporgenti, acconciature folte e rigonfie a protezione di escrescenze coralline poste sulla fronte, in queste opere Presicce medita sull’utilizzo innaturale del colore da parte dei fauves, riportando all’attualità, attraverso la scelta di tinte fluo, il significato e la forza del loro gesto dirompente, ma recupera anche le mutazioni biomorfiche di Ernst, con tutta la loro inquietante bellezza, in una dimensione da posthuman atecnologico. Non a caso “Homo Sapiens Sapiens Sapiens” s’intitola significativamente questo nuovo ciclo, ad indicare ipoteticamente un nuovo grado dell’evoluzione umana. Opere nate da una crescente consapevolezza dell’autore nei confronti del destino della razza umana, della sua estinzione, delle forze naturali che agiscono catastroficamente su di essa. Non va dimenticato d’altronde che i tre anni di produzione coincidono con il sorgere e il diffondersi della pandemia, circostanza che se da un lato, con tutte le restrizioni imposte, ha complicato il protrarsi della ricerca performativa, rendendo quasi inevitabile il riavvicinamento dell’artista alla pittura, dall’altro ha sollevato interrogativi a livello collettivo sul futuro della specie umana. Ma tornando allo specifico della nuova pittura di Presicce, se l’esasperazione di pose e tratti fisiognomici e la natura del segno rievocano il fare dei caricaturisti, le esagerazioni fisiche e cromatiche sembrano riattualizzare la tradizione manieristica, non solo presente in alcune delle sue forme più potenti a Firenze, città in cui l’artista ha scelto di vivere e lavorare, ma anche così viva nel suo animo, sinceramente eccentrico. E ancora, la reiterazione ossessiva di volti e figure, spesso tratti dalla rete e perciò ignoti a Presicce, maschere del presente da guardare con distacco e rigore, richiama alla memoria il fare seriale, a tratti stereotipato, di Andy Warhol, “con particolare riferimento alla serie ‘Ladies and Gentlemen’ del 1975” suggerisce il gallerista Giacomo Guidi.

Presentata fino ad oggi in singoli episodi, la nuova produzione è ora proposta per intero nella nuova mostra romana. Il titolo, raccolto per strada dal farfugliare ad alta voce di un senzatetto, già rivela il fare erratico, rabdomantico dell’artista. Oltre cento opere di piccolo e medio formato si susseguono nelle sale espositive in un allestimento mutevole, che conferma Presicce abile orchestratore. Dialoghi con gli sparuti elementi di arredo, spazi riempiti con serie che si curvano e finanche strabordano dai muri, puncta posizionati tanto in alto da rendere ardua la visione, l’artista vede oltre il supporto della tela, concependo la pittura nel suo insieme, elemento capace di occupare e definire lo spazio liberamente, al pari della scultura. Anche per questo la sua pittura è approdata oggi alla ceramica, a sculture che prendono le mosse dalle ceramiche antropomorfe di Paolo Condurso, il grande ceramista di Seminara apprezzato persino da Picasso, ma anche dalla rivisitazione delle terrecotte rustiche pugliesi, connotate da un modernissimo dripping su tonalità verdi o brune.

Una mostra efficace con cui l’artista ancora una volta si dimostra capace di assimilare e rielaborare con notevole disinvoltura suggestioni eterogenee, colte da più parti ma restituite in uno stile sempre indipendente ed individuale. 

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