Lucio Del Pezzo, I segni ardoise, 1970, acrilici e collage su legno, cm 120 x 150

Lucio Del Pezzo: la poesia di oggetti recuperati al proprio tempo

Negli spazi espositivi di Palazzo Parasi a Cannobio, inaugurata il 7 maggio scorso, è visitabile fino al 26 giugno la mostra “Lucio Del Pezzo – anni ‘70”, curata da Vera Agosti.

La mostra, realizzata in sinergia con la Fondazione Marconi di Milano, presenta un nutrito numero di opere, alcune di grandi dimensioni, di quello che, a ragione, può essere definito un  periodo particolarmente ricco di  intuizioni creative e in cui l’artista, napoletano di nascita e milanese d’adozione, ha già elaborato un suo originale e inconfondibile lessico, una sua personale cifra stilistica. Essa offre ai  numerosi visitatori un coinvolgente percorso conoscitivo dell’articolato quanto affascinante universo espressivo di Lucio Del Pezzo, proponendo, oltre alle opere del periodo oggetto d’approfondimento analitico alcuni pezzi importanti del periodo precedente e di quello successivo, attraverso cui ricostruire, in  un dialogo temporale ed evolutivo, la sintassi innovativa e geniale della sua  ricerca. Esponente di spicco della neoavanguardia napoletana che lo vede tra i fondatori del “Gruppo ‘58”,in una prospettiva  più ampia, di apertura europea, instaura, insieme con alcuni artisti del  gruppo, intensi scambi culturali  con artisti milanesi  del “Movimento  nucleare” promosso da Enrico Baj che, nel 1960,  lo invita a trasferirsi a Milano. 

Del Pezzo, mosso dalla necessità di superare un informale ormai sfiatato, ridotto a vuota ripetizione accademica, in un contesto che vede l’ascesa della Pop Art, attraversa i fertili territori dell’iconografia popolare, sfiora stili e linguaggi( pop, surrealista, dadaista, metafisico) senza rimanerne imbrigliato, ma bensì imponendo, con  il suo gesto, sicuro e determinato, un ordine(o disordine) caratterizzato da infinite declinazioni e variabili,  una propria visione artistica gioiosa e ludica, permeata da una sottile vena di ironia al limite con il divertissiment, ma soprattutto da quel sentire poetico che, attraverso il gioco, libera l’immaginario del bambino come dell’artista. Di questo periodo, tra le altre in mostra, l’opera  Quadro per Paride  Accetti  ben  traduce gli elementi di matrice surrealista e dadaista che, nel suo linguaggio,  si fondono  a quelli di derivazione pop. Tra la metà degli anni Sessanta e gli inizi dei Settanta l’artista soggiorna lungamente a Parigi dove, oltre ad entrare a contatto con i luoghi   e le atmosfere  delle prime avanguardie del secolo, assiste all’affermazione della neoavanguardia “Nouveau Réalisme” teorizzata da Pierre Restany che influenza in modo profondo  la sua ricerca. “La riappropriazione del reale” propugnata dal movimento francese, il recupero dello “scarto”, del rifiuto della società di massa non restano senza conseguenze nella sua dimensione creativa. Il suo lavoro, in bilico tra pittura e scultura, tra elementi architettonici e assemblaggi, è un continuo rimodulare  e manipolare gli oggetti del quotidiano, sottraendoli al loro destino di significare a tutti costi, liberandoli   dalla catena dei significati e affidandoli ai cammini magici e misteriosi dell’arte. Al suo repertorio di forme geometriche si aggiungono oggetti decontestualizzati, collocati su  mensole; oggetti, talvolta molto colorati, quali, birilli, uova di legno, manichini, bersagli, steli ;”resti” familiari, trasposti in un territorio di assoluta purezza e poesia.  In mostra La Vela fondo oro coniuga la sacralità del fondo oro con  oggetti plastici dipinti.

Per identificare le sue composizioni che si sviluppano su diversi piani, dal piano dell’immagine alla tridimensionalità plastica dell’oggetto, Del Pezzo conia  la definizione “ Visual box”. Nel suo prezioso deposito di oggetti rottamati, sottratti alla funzione per cui sono stati realizzati, egli crea una specie di segnaletica senza segnali identificativi, di classificazione che non classifica, ma avvicina  e assimila l’uno oggetto all’altro in risposta alla sua scelta soggettiva d’artista, incasellati seguendo una sequenza  modulare che, teoricamente, potrebbe non finire mai e che ne accentua l’ambiguità e il fascino.  Nascono così i famosi “ Casellari”, di cui è esposto Casellario 40 elementi, costruiti secondo una   struttura rigorosa  in cui ogni casella contiene un elemento, un oggetto senza gerarchia, senza relazione di significato con la sua forma, che non rinvia altro che a se stesso, riconosciuto nella sua essenza di oggetto manipolato, ridefinito in quanto tale dal suo  gesto creativo. E tra le spazialità espositive lo sguardo affascinato  insegue ancora  piramidi e ziggurat per sfidare il cielo, arcobaleni che  accendono di luce lo sguardo curioso, labirinti senza uscita, frammenti oggettuali, simboli di un alfabeto che si offrono ad un’infinità di percorrenze interpretative e che,  così come i  suoi “Teatrini”  e le sue “Sculture”,  introducono al tempo sospeso del suo forziere di sogni e di segni .