L’estetica della geografia e la scomparsa del paesaggio nell’arte contemporanea

Si parla tanto di paesaggio, ma non della sua (corretta) percezione. Come se ciò che appare di un territorio sia più importante di ciò che contiene. Questo testo, poco tenero con l’arte, apre una serie di domande che rimarranno irrisolte.

Non mi permetterei mai di mettere il dito in campi scientifici che non mi appartengono, né la per siderale distanza ideologica che da essi mi separa, né per la vergognosa mancanza di conoscenza personale. Tuttavia un suggerimento, che mi auguro venga considerato ironico, desidererei proporlo. Chiederei agli storici dell’arte di occuparsi dei motivi per i quali il paesaggio, e la sua rappresentazione, non sia più oggetto di studio dell’arte contemporanea. Sì, è chiaro: una fotografia, un quadretto sparsi qua e là in una galleria, in una mostra, in una fiera o in una grande manifestazione artistica ci sono e ci saranno sempre. Perché? Beh, perché il paesaggio è “facile”. In fondo è il paesaggio che fa l’artista, e non il contrario. E tutti vogliono diventare artisti. Ma ciò che intendo dire è differente.

Un dato da ricavare per la ricerca qui sopra avanzata (che mai sarà effettuata, ne sono certo) è se questa scomparsa ha delle attinenze con l’educazione alla sensibilità ambientale ed artistica. Le domande che formulerei sono: tale educazione viene svolta davvero?, hanno o no funzione i programmi didattici di oggi?, e, se non ce l’hanno, perché non mutarli e indirizzarli (investendo) in una direzione più utile? Un altro dato potrebbe essere il seguente: per quale motivo, malgrado si scriva tanto di paesaggio, non venga riscontrata una buona percezione (in altre parole, il paesaggio è sempre lì a morire). Dovremmo comprendere se, umanamente, la devastazione ecologica s’è trasformata anche in una devastazione morale, priva di alcuna “restaurazione”. E allora sarebbe meglio rassegnarsi e gettare nelle fogne del pianeta la pedagogia insieme alla speranza. (Quest’ultima parte, pura provocazione, è retorica e mi affligge moltissimo. Eppure, pian piano, mi convinco che le cose stiano in questo modo.)

Mi spiego meglio; anzi, mi spiego banalmente. Identificare e consolidare semioticamente il paesaggio in cartoline per affascinanti set di moda o cinematografici, oppure per il pascolo della borghesia annoiata, e, ancora, per sedersi in caratteristici vicoli urbani o angoli enogastronomici all’interno dei quali, chessò, assistere a una ridicola recita locale, bere un buon vino e mangiare un buon formaggio (ecc.) è umiliante per chi partecipa, è umiliante per il luogo che in sé ha molto più da offrire che qualcosa da mostrare e consumare (nessuno capirà a cosa mi riferisco), ed è umiliante per tutti quegli studiosi che del paesaggio ne hanno fatto materia filosofica e artistica con una serietà concettuale non dissimile da una qualsiasi disciplina scientifica. Iniziare a studiare il paesaggio seriamente, visto l’andamento del clima e di un milione di altri problemi, gioverebbe moltissimo e (così come parlerebbe un burocrate) permetterebbe altresì di farci «risparmiare» prima che sia troppo tardi.

Ovviamente pure l’arte ha le sue colpe. Il contributo della Land Art, per esempio, è una parentesi ludica, e a tratti amaramente divertente, che andrebbe riletta e criticata in modo aspro. Sarà stata sicuramente un’esperienza artistica che, in qualche rarissimo caso, ha proposto ricerche degne. Queste, però, non hanno apportato granché. Le relative opere sono state in grado di distruggere, nel pubblico, la capacità di interpretazione profonda dei temi, confondendo l’accezione del sostantivo “arte”, il quale non ha mai goduto di buona salute o di condivisione accademica.

È come se tali opere avessero evitato di concentrarsi sulle aggressioni antropiche, la mutevolezza e la memoria [R. Assunto] “seminata” in una porzione [G. Simmel] di terra e di mare che, tragicamente, ha perduto i suoi significati poiché cancellati da una storia civile inenarrabile e da politiche scellerate. Questi elementi, non attentamente meditati, ci hanno lasciato di fronte a quell’appiattimento culturale che è ferita aperta la quale diviene spesso sede di una patologica speculazione economica, il cui scopo è l’abbattimento della “biodiversità” ambientale e sociale. Se così non fosse, prego il lettore di contraddirmi.

In realtà il percorso che l’arte pare avere assorbito da qualche anno rema contro l’ambiente e l’arte stessa. Con la Street art, che reputo del tutto inutile (perdonami se sono così volgare), il paesaggio entra nei segni, e non il contrario. Con la Street art il paesaggio, colmo delle sue informazioni (il progetto che esprime, la nostra possibilità di interagire, l’abbattimento dei paradigmi falliti ecc.), transita, insieme alle depravazioni che gli fanno da contorno, in un’icona “veloce”, fresca, priva di contenuto, che tanto piace al pensiero frivolo contemporaneo. Un qualsiasi murales o installazione urbana hanno il potere di concentrare su di sé l’attenzione dimenticando il resto, e addirittura esaltando il decomposto a discapito delle soluzioni da attuare: ciò che il paesaggio, con le ultime forze, richiede.

A parte i paesaggi finti, e l’ossessione di immergersi nella natura e credere di individuarla (soltanto per nostalgia, perché sappiamo che è inesistente), appare evidente che, privi di un gusto estetico-ambientale, la consapevolezza geografica (nel senso della consapevolezza del “condominio verde e azzurro” nel quale viviamo) non sarà possibile. Perduta questa fase, l’arte senza funzione adattiva dilagherà. E i risultati sono quelli che conosciamo. Se un’arte simile ti piace, forse il paesaggio è davvero scomparso.

Dario Orphée La Mendola

Dario Orphée La Mendola, si laurea in Filosofia, con una tesi sul sentimento, presso l'Università degli studi di Palermo. Insegna Estetica ed Etica della Comunicazione all'Accademia di Belle Arti di Agrigento, e Progettazione delle professionalità all'Accademia di Belle Arti di Catania. Curatore indipendente, si occupa di ecologia e filosofia dell'agricoltura. Per Segnonline scrive soprattutto contributi di opinione e riflessione su diversi argomenti che riguardano l’arte con particolare attenzione alle problematiche estetiche ed etiche.

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