L’IVA sull’arte in Italia: uno snodo tra cultura e politica fiscale

Ieri, il ministro della Cultura Alessandro Giuli ha annunciato una svolta epocale: la riduzione dell’IVA al 5% per tutte le transazioni di opere d’arte, incluse quelle effettuate tramite gallerie, antiquari e case d’asta.

Negli ultimi anni, la questione della tassazione delle opere d’arte in Italia ha rappresentato uno dei nodi più delicati nel dialogo tra cultura ed economia. L’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA), in particolare, si è rivelata una leva determinante per orientare il mercato, sia a livello interno che internazionale. Fino a poco tempo fa, l’Italia applicava un’aliquota ridotta del 10% per le vendite effettuate direttamente dagli artisti, mentre il resto del settore – gallerie, mercanti, case d’asta – era soggetto all’aliquota ordinaria del 22%, fatta salva la possibilità di ricorrere al cosiddetto regime del margine. Questo sistema, pensato in origine per incentivare la produzione artistica contemporanea, ha finito però col penalizzare fortemente il mercato secondario e, più in generale, l’operatività degli operatori culturali italiani rispetto ai loro omologhi europei.

La riduzione dell’IVA al 5% per tutte le transazioni di opere d’arte è stata definita dallo stesso Giuli “storica” e mirata a restituire competitività al sistema dell’arte italiano. “Competere ad armi pari per gli italiani significa primeggiare”, ha dichiarato il ministro durante una conferenza stampa in cui ha voluto sottolineare come questa misura non sia semplicemente un intervento fiscale, ma una strategia culturale per rilanciare l’intero settore.

La decisione si inserisce in un contesto europeo in cui molti Stati membri hanno da tempo adottato regimi fiscali più favorevoli per il mercato dell’arte. Francia e Germania, per esempio, applicano da anni aliquote ridotte (rispettivamente 5,5% e 7%), attirando artisti, collezionisti e investimenti. L’Italia, invece, pur vantando un patrimonio artistico senza pari, rischiava di rimanere ai margini, anche a causa di una pressione fiscale percepita come penalizzante.

Il nuovo orientamento voluto da Giuli mira a ribaltare questa dinamica. La riduzione dell’IVA – che arriverà in Aula per la conversione definitiva entro luglio – potrebbe non solo rafforzare il mercato interno, ma anche incentivare il rientro di capitali e opere, stimolando una crescita organica e trasversale dell’intera filiera: dagli artisti emergenti ai trasportatori specializzati, dai restauratori alle piccole gallerie che negli ultimi anni avevano visto diminuire drasticamente la propria marginalità.

Non mancano ovviamente le cautele. Perché questa misura possa produrre effetti duraturi, sarà necessario accompagnarla con controlli efficaci contro l’evasione e una riforma parallela delle norme che regolano la circolazione e l’esportazione delle opere, altro nodo che spesso complica le transazioni in Italia. Tuttavia, per molti operatori, si tratta di un segnale chiaro: lo Stato riconosce finalmente il valore strategico del settore artistico non solo come patrimonio culturale, ma anche come asset economico.

Nel suo intervento, Giuli ha evocato dati e proiezioni, parlando di un possibile aumento del fatturato fino a un miliardo e mezzo in tre anni, e un impatto economico complessivo che potrebbe superare i quattro miliardi. Ma, al di là delle cifre, il messaggio è stato soprattutto politico: l’Italia vuole tornare a essere protagonista nel mondo dell’arte, non solo per ciò che ha ereditato dal passato, ma per ciò che è ancora in grado di produrre e valorizzare nel presente.

Questa riforma fiscale, se attuata con coerenza e visione, potrebbe segnare l’inizio di una nuova stagione. Un periodo in cui l’arte non viene più trattata come una nicchia o un lusso, ma come un motore possibile di sviluppo, innovazione e identità nazionale. In un tempo in cui la cultura rischia di essere marginalizzata, la riduzione dell’IVA non è solo una buona notizia per gli addetti ai lavori: è un gesto di fiducia verso il valore trasformativo dell’arte nella società italiana.

Roberto Sala

Editore, graphic designer e fotografo d’arte, dal 2012 è docente di Metodi e tecniche dell'arte-terapia presso l'Accademia di Brera nel corso di laurea specialistica di Teorie e pratiche della terapeutica artistica. Direttore della casa editrice Sala Editori specializzata in pubblicazioni d’arte e architettura, affianca alla professione di editore quella di grafico, seguendo in tempi recenti l’immagine coordinata delle più importanti manifestazioni culturali della città di Pescara fra le quali si segnalano: Funambolika e Pescara Jazz. Dal 1992 è Art Director della Rivista Segno per la quale dal 1976 ha ricoperto diversi ruoli e incarichi. Dal 2019 è Direttore Editoriale di Segnonline per il quale traccia la linea politica e di sviluppo del periodico. roberto@segnonline.it

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