Lulu Nuti, Orizzonti, 2020. Ph. B. Caterbetti

IV Edizione Premio Sparti 2025| IL CONFINE interrogato

Il Premio Sparti torna ad Ascoli Piceno. Fino al 28 giugno 2025, giorno della proclamazione del vincitore, la città si fa crocevia di quattro mostre, proiezione di 24 prospettive artistiche italiane e internazionali, tra emergenti e affermate, pronte a interrogare il senso universale del limite.

Esiste un punto, impercettibile, in cui l’essere umano incontra il confine e, nel medesimo gesto, lo trasgredisce. L’uomo è un essere di transito sempre sospeso tra ciò che è e ciò che potrebbe diventare e il confine è il suo primo atto politico, che risponde alla necessità di tracciare il perimetro tra il dentro e il fuori, tra chi appartiene e chi resta escluso. Eppure, nonostante l’ossessione per il limite, l’uomo non smette mai di desiderare l’oltre.

Ideato nel 2022 da Zeno Rossi e Simone Sparti, il Premio Sparti giunge quest’anno alla sua IV edizione, sollecitando una visione critica sul tema del confine: soglia porosa tra territori, linguaggi e generazioni, ma anche spazio in trasformazione, luogo d’incontro, di scontro e di possibilità. Il progetto si dischiude tra gli scorci storici di Ascoli Piceno, animando luoghi simbolici della città come il Palazzo dei Capitani, il Museo Civico di Arte Moderna e Contemporanea O. LiciniFrida Art Academy e Frida Museum.

Il format si articola in quattro sezioni, varchi plurali lungo un itinerario eterogeneo, da scoprire.

Presso il Palazzo dei Capitani, per la sezione Under 35 Elite, è in scena ZIG ZAG. Il titolo stesso non lascia ambiguità: ogni artista procede per salti, deviazioni, oscillazioni. Niccolò Giacomazzi, curatore del progetto, costruisce un percorso che rifiuta la linearità e abbraccia il principio dell’instabilità, del movimento imprevedibile. In mostra le opere di Veronica Bisesti, Francesca Brugola, Paolo Bufalini, Valerio D’Angelo, Collettivo DAMP, Antonio Della Guardia, Daniele Di Girolamo, Nicola Ghirardelli, Giuseppe Lo Cascio, Caterina Morigi, Matilde Sambo, Wang Yuxiang, dodici voci che, pur partendo da ricerche differenti, convergono nella tensione comune verso un confine che non si lascia mai possedere.

In particolare, l’opera (*) del Collettivo DAMP esprime, attraverso la sottrazione, la tensione verso ciò che manca, che diventa varco invisibile. Un buco nero, un vuoto che inghiotte, finché una stella rompe l’assenza e si accende nell’interruzione. 

A ben guardare, ci si rende conto che tra tutti gli esseri viventi, la nostra specie è quella che più crea confini. Matilde Sambo lo svela con Fairy Cage, evocando il paradosso della relazione uomo-ambiente, dove la spinta ancestrale alla conoscenza si intreccia al desiderio di controllo. La curiosità, all’origine di ogni sapere, si trasforma qui in un dispositivo di cattura estetica. Gli acquari, gli zoo, i parchi tematici sono laboratori artificiali dove l’umano riproduce frammenti di natura a proprio uso, non per ammirarla, ma per dominarla. 

In Non si giudica un giocatore, Yuxiang Wang disegna il margine sottile tra il tempo misurabile e quello vissuto. L’orologio, sospeso da un amo, diventa simbolo di un tempo catturato, in bilico tra controllo e deriva. L’acqua, che rallenta e deforma il movimento delle lancette, trasforma il fluire in esitazione, dando vita a una transizione fragile tra il tempo cronologico e il tempo esistenziale, tra il tempo che crediamo di governare e il tempo che ci sfugge. L’ombra stessa dell’orologio, deformata e multipla, denuncia l’instabilità del presente, in cui lo strappo tra passato e futuro si assottiglia e collassa.

Nel cuore del Museo Civico di Arte Moderna e Contemporanea Osvaldo Licini, per la sezione Legends, la mostra Confine Infinito mette in scena il punto in cui il confine smette di essere frontiera visibile per diventare dissolvenza. Giuliana Benassi, curatrice, orchestra un dialogo tra Josè Angelino, Niccolò Berretta, Federica Di Carlo, Flavio Favelli, Luca Grimaldi, H.H. Lim, Lulù Nuti, Jonida Prifti, Julian Rosefeldt, nove artisti italiani e internazionali che interrogano la possibilità stessa del limite: fisico, percettivo, geografico, interiore. 

Lulù Nuti ci accoglie con Orizzonti, un non luogo di previsione e di interpretazione continua, che ci chiama non perché sia raggiungibile, sfuggendo sempre al nostro avvicinarsi. È nella precarietà che risiede la forza dell’orizzonte, ma nel cuore della modernità, diventa geometria ossessiva. Gli imperi lo tirano con il righello sulle carte colonizzatrici. Le nazioni lo scolpiscono nei trattati. Carl Schmitt, il grande giurista del Novecento, scriveva che «Il sovrano è colui che decide sullo stato d’eccezione» ossia, su chi ha diritto di attraversare il confine e chi no, al fine di redigere uno strumento di potere, di strappo e di esclusione. Flavio Favelli affronta tale tematica nella sua opera La Terra Santa, dove la geografia si fa liquida, instabile, mentre la terra promessa, simbolo per eccellenza di un oltre carico di aspettative, appare rannicchiata, marginale, come un miraggio che sfugge. 

Federica Di Carlo ribalta l’orizzontalità del confine, sollevandolo lungo l’asse verticale, verso l’abisso del cielo. Sopra questo livello ci sarà solo spazio libero, del 2021, prende il nome dalla definizione con cui il fisico Theodor von Kármán identificò la soglia che separa l’atmosfera terrestre dallo spazio esterno: una linea convenzionale, posta a 100 km sopra il livello del mare, oltre la quale il cielo si libera dalle leggi degli stati e del mondo, quest’ultimo rappresentato a terra da una sfera argentea e remota. Lo sguardo dell’artista trapassa la crosta terrestre e punta oltre, là dove il respiro umano, evocato nell’immagine dell’astronauta Samantha Cristoforetti mentre esegue l’esercizio di compensazione, deve imparare ad adattarsi per sopravvivere a una nuova pressione, a un nuovo equilibrio.

Ma il confine è anche corpo, identità individuale.

Chi sono io? Dove finisco io?

Noi stessi siamo frontiere mobili tra memorie, culture, desideri. L’identità non è mai compiuta; è negoziazione continua con l’alterità che ci abita. Frida Art Academy, per la sezione Local Icon, accoglie Ultramale, personale dell’ascolano Ivo Cotani, curata da Zeno Rossi. L’artista ci presenta una scultura in ceramica smaltata composta da dodici elementi intercambiabili, richiamando l’idea di un organismo mutevole e fluido. Un viaggio di metamorfosi, dove l’ambiguità è un dono e la libertà di non scegliere viene celebrata. Cotani ci chiede di disimparare il corpo come fatto compiuto, traslando l’arte in un laboratorio di trasformazione.

Dario Capello, vincitore della III edizione, è il protagonista della sezione Sparti Winner, dove presenta la personale Last Seen, curata da Niccolò Giacomazzi. Nelle sale di Frida Museum, si evidenzia come l’interfaccia digitale non connetta, ma separi, creando una distanza algida, un contatto senza corpo che promette accesso mentre nega il reale incontro. È la pervasiva idea di assenza, che, come una membrana sottile, avvolge la comunicazione trasformando la relazione in distanza.

Tra i protagonisti della scena contemporanea, Martin Creed, compositore e performer britannico, dal linguaggio poliedrico e anticonvenzionale, approda al premio Sparti con il suo primo lungometraggio sperimentale. Il 17 maggio, giornata inaugurale della IV edizione, il Cinema Odeon ha ospitato l’anteprima italiana di Work In Progress. Il film segue il percorso di crescita di un bambino fino all’età adulta, ma lo fa attraverso lo sguardo e la sensibilità di una giovane donna, filtro narrativo di un racconto che fonde esperienza e invenzione. Tra sogni e frammenti autobiografici, il viaggio attraversa geografie reali e simboliche, da Glasgow a Las Vegas, da Malibu fino ad Ascoli Piceno, intrecciando presenze inattese, come quella del campione di tennis John McEnroe. 

Alla fine del percorso, resta sospesa una domanda inevitabile: «Può esistere un mondo senza confini?»

Ed è forse proprio nella tensione di tentare di dare una risposta, che si radica la funzione dell’arte stessa. Perché ogni gesto artistico, consapevolmente o meno, si confronta con il confine: lo espone, lo interroga, lo scardina o lo riscrive, tenta di darne forma, rivelarne le faglie.

Il confine costituisce il primo atto fondativo dell’umano, non solo geografico ma anche ontologico. Lo ricorda Jean-Jacques Rousseau nel Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini (1755), quando individua nel gesto di delimitazione del suolo l’origine stessa della civiltà: «Il primo che, avendo cinto un terreno, pensò di affermare questo è mio, e trovò persone abbastanza semplici per crederlo, fu il vero fondatore della società civile.» La materialità del gesto diventa, per questa tradizione di pensiero, un vero e proprio atto performativo politico.

Gli artisti hanno passato in rassegna alcune delle possibili interpretazioni di un fenomeno sociale altamente complesso che incide materialmente sulla vita e non. Certo è che le culture esistono proprio perché si contaminano ai margini, negli interstizi, nei punti d’incrocio dove il medesimo si riconosce nell’altro e, nel farlo, si riscrive. Tuttavia, è quando il confine si irrigidisce in feticcio, quando diventa esclusione assoluta, che produce violenza in ogni ambito della vita. La sfida per il nostro tempo non è la cancellazione del confine, ma la sua trasformazione in spazio di relazioneperché l’etica nasce dal volto dell’altro che ci guarda, che ci limita e ci chiama alla responsabilità, come nell’antica xenia greca. 


Finissage, presentazione Catalogo e proclamazione dei vincitori
28 Giugno – ore 18:00

Museo Licini – Corso Mazzini, 90
giovedì: 15:00 -19:00
Dal venerdì alla domenica, festivi e prefestivi: 10:00-13:00 / 15:00-19:00
Visitabile solo con biglietto a pagamento del Museo O. Licini e/o dei Musei Civici

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