Mi è giunta voce di una mostra di Leonardo in Sicilia. Una mostra in cui la Vergine delle rocce risplende tra le colonne doriche e le antiche rovine. La mostra “La Bottega di Leonardo – La Vergine delle rocce”, curata da Vittorio Sgarbi e Nicola Barbatelli, è stata in effetti allestita il luglio scorso presso Villa Aurea, nel Parco archeologico della Valle dei Templi, e sarà visitabile sino al 31 dicembre.
Presenta, per la prima volta nell’Isola, la “Vergine Cheramy”, un’opera proveniente da una collezione privata di ottima fattura, realizzata probabilmente sotto la supervisione di Leonardo da artisti o allievi a lui associati e subito ricondotta al maestro dal pittore neoclassico Jean-Auguste-Dominique Ingres che, a metà Ottocento, la scoprì. Un’opera importante, quindi, non una delle innumerevoli copie indirette e stereotipate. Un’opera la cui vicinanza a Leonardo è stata di certo il motivo che ha indotto Sgarbi, che dell’arte rinascimentale è conoscitore autorevole, ad assumersi la responsabilità della cura. Anche gli altri lavori in mostra, di Martino Piazza da Lodi, Cesare da Sesto, Marco d’Oggiono, Giampietrino, Bernardino Lanino e altri, sono interessanti. Ciò che non si capisce subito è il perché del loro trasferimento nell’estremo meridione.
Magari il secondo curatore della mostra, Nicola Barbatelli, ha delle ricerche in corso o da svolgere in Sicilia. Ricerche, intendo, come quelle che lo hanno portato a scoprire in una casa privata di Salerno la Tavola di Aceranza, che Barbatelli sostiene essere un autoritratto di Leonardo. Proposta, la sua, che non ha avuto fortuna. Per Carlo Pedretti è un dipinto del ‘700, per Vezzosi un lavoro cinquecentesco, per Sgarbi una crosta acquistata a Porta Portese.
Ma come, i due, in così palese disaccordo, curano insieme una mostra?
Difficile, qualora “La Bottega di Leonardo – La Vergine delle rocce” fosse una rassegna scaturita da una comune ricerca, una di quelle che, esponendo dipinti importanti in sedi istituzionali – che, a differenza del Parco agrigentino, sono coerenti con le proprie raccolte e decisamente selettive – e confrontandoli con altri storicizzati, ne confermino la nobile ascendenza. Qui l’intento è tutt’altro. Basta leggere, se si avesse qualche dubbio, le linee guida del progetto, che parlano di “un percorso narrativo incentrato sulla libertà intellettuale e sulla profonda capacità di ricerca dell’arte leonardesca. In tale direzione viene messa in evidenza proprio la capacità di connotare, nell’ambiente fecondo della leggendaria bottega, affascinanti linee di discendenze artistiche e culturali.
La scelta del luogo dell’esposizione in Sicilia, nella Valle dei Templi di Agrigento, contestualizza le opere in un ambiente profondamente diverso ma archetipico e di grande valore evocativo. In questo senso il progetto artistico assume il senso di un abbraccio sfidante tra le forme, i colori, le intuizioni e i paesaggi diversissimi, ma intrecciati nel messaggio universale dell’arte e del genio, di patrimoni che parlano all’umanità e all’eternità”. Vediamo se ho capito. Nella “Vergine delle rocce” ci sono … le rocce. Ad Agrigento le rocce “archetipiche” non mancano. Quindi l’“abbraccio sfidante” della “Vergine delle rocce Cheramy” è perfetto per Agrigento. Che è, in un certo senso, la città delle rocce che franano, del terreno che cade sotto i piedi. Sempre meglio di Taormina, dove la Tavola di Aceranza scoperta da Barbatelli – “Una patacca immonda, una bufala, vale non più di 2mila euro. Se la espongono ancora farò delle interrogazioni parlamentari”, ha dichiarato Sgarbi – è stata l’ospite d’onore.
Ma ripeto, una mostra ad Agrigento o Taormina non è in grado di sollevare alcun dibattito scientifico. È in grado, questo sì, di attrarre pubblico pagante che di Rinascimento non sa nulla e che, salutati i bei dipinti, se ne tornerà indietro convinto che Leonardo in Sicilia sia di casa o che l’Icaro caduto di Mitoraj di fronte il Tempio della Concordia ormai da dieci anni (!) sia una statua greca originale. Crediamo davvero che tali spregiudicati accostamenti siano la ricetta giusta per anticipare il programma di Agrigento capitale della cultura? Io non ne sarei così sicuro. E comunque ad Agrigento un Leonardo c’è già: è un liceo scientifico, e a quanto mi risulta è tra le scuole migliori in città.