Gerhard Merz
Elisabetta Marino - Cowboy, 2023. Olio su tela, 200 x 150 cm Letizia Lucchetti - Come mi ami tu, 2022. Olio su tela, 40 x 30 cm Elisabetta Marino - ore 20:20, 2023. Olio su tela, 40 x 30 cm Elisabetta Marino - ore 12:00, 2023. Olio su tela, 40 x 30 cm Letizia Lucchetti - Osvaldo, 2023. Olio su tela, 150 x 140 cm Letizia Lucchetti - Amedea, 2023. Olio su tela, 150 x 140 cm Elisabetta Marino - Lʼeucalipto in estate produce piccoli fiori a pompon, 2023. Olio su tela, 150 x 120 cm Letizia Lucchetti - Napoleone, bastava avere un cane, 2023. Olio su tela, 95 x 75 cm

La giovane pittura figurativa surreale alla Rizzutogallery di Palermo

Terzo anno per Salon Palermo, una selezione di promettenti voci dell’Arte contemporanea, curata da Antonio Grulli e Francesco De Grandi.

Una brezza pastello e rutilante che soffia rimbalzando tra le tele; una rassegna di pittura figurativa post-accademica – quanto di più tradizionale, si direbbe – che nelle visioni allucinate, ora pallide ora fluorescenti, sprazzi colorati in white cube con inserti in tufo, scardina la polverosa crosta borghese della pluricentenaria storia espositiva di Sistema. Ecco cos’è Salon Palermo 3, edizione dell’iniziativa concepita dalla Rizzutogallery nel capoluogo siciliano, ivi visitabile fino al 26 agosto. La Pittura, senza orpelli concettuali o tematici che la giustifichino, si autopresenta in questa selezione di promettenti voci dell’Arte contemporanea (attive tra Palermo, Bologna e Milano), curata da Antonio Grulli e Francesco De Grandi.

L’allestimento è scandito da una tetralogia di coppie, dittici bilanciati, mai statici, che associano per volta due artisti marcatamente diversi per poetica, iconografia e tavolozza, eppur reciprocamente compensanti nell’economia del dialogo intessuto.

Il percorso si apre con i lirici monotipi su tela grezza di Alessandro Aprile, negativi di negativi di pittura su lucido impressa sul retro del tessuto, spruzzati di aerografo e tracce di tecnica mista su trame di frottage pavimentale. Nostalgici scrigni teatrali di tradizioni folkloriche che espongono gigantografie di pupi in tenue salsa cromatica o scenografie bidimensionali con epifanie di fantocci e arcani dei tarocchi, elasticizzate nella diluizione della memoria ma contenute da tracciate cornici. In alternanza, i toni freddi e acidi degli oli di Elias Vitrano, pittura surreale ed elettrificata, dalle forme organiche primigenie, quasi naif; composizioni biomorfiche mature, in cui fluttuano simil cavallucci marini, cani o becchiformi mostri alati, vaganti senza spirito tra piante, alghe aeree e tralci fitomorfi su sfondo pop vintage.

Dalle ironiche inquadrature per autoritratti di Martina Pozzobon, da cui pare distaccarsi una straniante Fragola/peperone/pomodoro antropomorfa – retta da un uomo esausto e campeggiante nelle sue ipertrofiche rosse fattezze, punteggiate di sorridenti riflessi infantil grotteschi – si passa ai tagli spiccatamente foto-cinematografici di Emilio Gola. Qui un adolescente visto dall’alto su un mare di caramelle, un assembramento di variopinti piccioni ai piedi di un ragazzo e un inedito focus su un calice di vino rovesciato da un gatto nero visto di terga, che ha macchiato le ondulate ciocche di una moquette verde mandorla e schizzato una décolleté laccata lilla, ci avvicinano fisicamente ed emotivamente al disagio solipsistico, specie teen,attraverso un non troppo morboso zoom voyeurista su oggetti/feticcio.

Ipnotici e ipersurreali, poi, sono gli scenari onirici di Agnese Guido, antropocentrici e antropòfugi al contempo, in cui l’individuo spersonificato si fa vuota entità – sagoma nera, fantasma, o uomo/schiaccianoci con pallone da basket – mentre l’inospitale paesaggio metafisico assume morfologie umane: una fallace osmosi in cui il segreto dei simboli è difeso dalle cappe striate e stridule di colori che riecheggiano d’Enigma.

In illuminato contrappunto, gli stratificati lavori distopici di Andrea Luzi, apocalittiche visioni postboschiane, folli vanitas cyberpunk terrose, con accenti fluo e traslucide resine, colonizzate e divorate alla Dorian Gray da minuscoli vermi di colore a rilievo, quasi piombo per vetrate. Una fontana delle delizie, giostre erranti con teschi, ruote panoramiche, contorti tronchi ghignanti e pre-idoli in pattern da grottesche su fondo psichedelico vi sono (ir)riconoscibili.

Ultima tappa della mostra, un dialogo al femminile. Arguta la leggerezza delle tele di Letizia Lucchetti, bambinesche e abbozzate solo a prima vista, in cui l’olio è trattato come acquerello e i contenuti veicolati con sapiente ma fresca ironia, come nei brand reinterpretati(Hello Kitty, Louis Vuitton) delle decorate calzature e accessori di cui è adorna, senza riguardo di genere, una coppia di cani barboni. 

Esacerbato, infine, il caleidoscopio cromatico di Elisabetta Marino, rapsodia di citazioni della Storia dell’Arte (il Trionfo della Morte nella figura equestre o nelle sagome canine), di esotismo del far west e di folklore siciliano, dai dolciastri toni kitsch dei tradizionali pupi di zucchero alle teste di Moro, la cui funzione di vasi è resa da teste classiche, reperti di passione archeologica.