Massimiliano Cerioni, performance Rebirthing, 2021, credit Massimiliano Cerioni

L’esperienza del sound artist Massimiliano Cerioni

La rubrica Artisti Italiani all’estero prosegue con l’esperienza di Massimiliano Cerioni, un soundartist emergente, originario di Pomezia, che attualmente vive e lavora a Berlino.

L’interesse di Massimiliano Cerioni verso paesi esteri nasce già nel corso dei suoi studi, con l’ottenimento di brevi borse di ricerca e saltuari lavori che lo tengono lontano dall’Italia a intermittenza finché, a fine 2018, la sua ricerca in ambito musicale ha una svolta visiva.

L’approccio alla video-arte nasce come diretta conseguenza del suo lavoro, data la natura cinematica del suo suono, e successivamente anche dall’esigenza di coinvolgere un pubblico più ampio, formato non solo da ascoltatori ma anche da videoamatori, un settore tangente e consequenziale al suo principale ambito di ricerca, quello delle tecnologie applicate in senso creativo.

Nel 2021, i suoi progetti trovano spazio nel quadro della residenza SCOPE BLN (Berlino), presso la quale programma e distribuisce un effetto audio per il software di produzione musicale Ableton Live, e presenta le installazioni/performance multimediali Inner Landscape e Rebirthing.

Alice Ioffrida: Quando hai deciso di andare all’estero? Com’è nata questa idea, quali sono state le tue prime esperienze fuori dall’Italia, che ruolo hanno svolto per la tua crescita personale ed artistica, come credi abbiano influenzato la tua poetica e il tuo modo di lavorare tali esperienze.

Massimiliano Cerioni: Ho deciso di andare all’estero per inserirmi in un contesto diverso in cui poter crescere come artista senza i vincoli pratici e culturali che di solito contraddistinguono tale pratica in Italia. La prima volta che mi son trasferito all’estero è stato nel 2009 a Parigi, con una borsa Erasmus Placement per l’INA-GRM dove avevo il ruolo di stagista-ricercatore. In seguito, nel 2012, ho ottenuto una borsa dal progetto Leonardo come sviluppatore informatico e assistente ai compositori in residenza presso il GMEM di Marsiglia.

Le esperienze francesi sono state importanti perché la Francia è un paese in cui la cultura contemporanea in tutte le sue sfaccettature è finanziata e sostenuta dalle istituzioni pubbliche e private con finanziamenti consistenti, in quanto parte rappresentativa dell’identità nazionale.

Poco tempo dopo ho avuto una breve esperienza anche in Russia, dove ho lavorato come tecnico audio per l’apertura e la chiusura dei giochi olimpici di Soči 2014. Ritengo l’esperienza russa significativa perché mi ha messo in contatto con lo stato dell’arte circa le possibilità tecnologiche riguardanti l’arte visiva e gli allestimenti per lo show business. L’elemento dell’internazionalità vivacizza in qualche maniera la mia esperienza quotidiana, e tutt’ora rappresenta per me una sorta di nazione-immateriale alla quale sento di appartenere, in quanto continuo a sentirmi straniero, seppur accolto, ovunque vado.

Un’ulteriore occasione è stata nel 2019, quando sono stato artista residente presso l’EMS – Elektron Musik Studion di Stoccolma grazie all’istituto Italiano di cultura “Lerici”, che mi ha ospitato per tutta la durata del soggiorno. L’EMS è un centro di produzione e ricerca musicale all’avanguardia per la musica elettronica e questo mi ha permesso di concentrarmi e lavorare alle mie ricerche personali sul suono con una ricchezza di stimoli e mezzi raramente a disposizione nella quotidianità, soprattutto per ragioni economiche, in quanto le strumentazioni hanno spesso costi proibitivi per l’artista emergente.

A.I.: Inizialmente partivi ma rientravi in Italia, cosa facevi qui e perché alla fine hai deciso di non tornare più?

M.C.: In Italia nel 2018 portavo avanti le mie ricerche artistiche come compositore e videoartist. I miei ultimi concerti-mostra in quel periodo sono stati entrambi a Roma: a giugno presso il Goethe Institut Rom per il festival Artescienza, e a novembre presso il Contemporary Cluster per la serata Bauhaus Club. Parallelamente, ero attivo come fonico di sincronizzazione con un importante studio di doppiaggio romano, docente di tecnologie musicali presso la scuola pubblica e insegnante di Sound Design per uno studio di registrazione. Queste esperienze si inserivano in un quadro di elevata frammentazione delle mie attività professionali, cui faceva da complemento una precarietà ed una saltuarietà dell’attività prettamente artistica a tratti drammatico, sicuramente vincolante per una crescita effettiva del mio status di artista.

A.I.: Dunque, nonostante riuscissi a trovare e a svolgere diversi lavori, non avevi la possibilità di sperimentare un linguaggio figurativo tangente al tuo lavoro ma lontano da una realizzazione pratica. Non riuscivi ad allargare gli orizzonti e a sperimentare una poetica differente e quindi affermarti come artista. Come mai hai deciso di andare in Olanda e non in un paese in cui avevi già vissuto?

M.C.: L’Olanda mi incuriosiva per la natura multiculturale delle sue grandi città e per via della sua storia legata alle arti tecnologiche e multimediali, di cui mi occupo. Pertanto, alla prima occasione che ho avuto per trasferirmi ci sono andato. Città come Amsterdam, Rotterdam e Utrecht vantano numerose realtà dedicate a questi ambiti come l’istituto di ricerca STEIM ad Amsterdam e l’istituto di sonologia del Conservatorio Reale di Den Haag, fondazioni e accademie che erogano fondi per l’arte e offrono residenze artistiche (MondriaanFonds, Stokroos, De Ateliers, Rijksakademie) importanti festival di musica elettronica e arti digitali (Amsterdam Light Festival, ADE, Sonic Acts, Rewire, Gaudeamus, Minimal Music Festival), luoghi dedicati ad eventi ed esposizioni multimediali (Stedelijk, NXT Museum, Paradiso, Melkweg, Eye Museum, Muziekgebouw, Concertgebouw), ecc. Lì ho trovato una cultura del design che pone al primo posto l’importanza dell’estetica anche nell’ambito commerciale, presupposto che consente a molti creativi di poter vivere del proprio lavoro anche in ambiti collaterali a quello artistico, come l’architettura e il design industriale e commerciale. Inoltre, l’Olanda presenta importanti realtà indipendenti come antisquat e centri culturali che rappresentano l’underground e gli emergenti (OT301, OCCI, Vrij Paleis, LAB111, Butcher’s Tears, Vondelbunker, De Ceuvel, De Appel) e un’infrastruttura cittadina di studi per artisti e creativi situati in luoghi pubblici riqualificati.

A.I.: I molteplici stimoli e le diverse possibilità ti hanno dato la possibilità di intraprendere una strada diversa da quella unicamente musicale e che fino a quel momento era stata la tua zona di comfort. La libertà espressiva e l’offerta culturale ti hanno portato a comprendere quanto sia importante la sperimentazione anche in settori in cui non ti eri mai – o quasi mai – addentrato. Possiamo affermare che Amsterdam è stata una grande influenza per la tua formazione come artista visivo e in che modo lo è stata?

M.C: Amsterdam mi ha dato la possibilità di vivere una scena culturale ricca e vibrante, di sentirmi a casa da expat, destino condiviso da tanti cittadini che hanno la preziosa opportunità di essere accettati come english-speakers in barba ad ogni sorta di nazionalismo linguistico, che ad Amsterdam non trova molto spazio, in un luogo denso di attività al pari di una metropoli ma a tratti intimo come un centro urbano di più ridotte dimensioni. Ad Amsterdam ho conosciuto musicisti, artisti visivi, danzatori, videomaker, scrittori e designer con i quali ho collaborato, steso progetti, condiviso studi di lavoro e scambiato importanti visioni espressive ed umane. Ho assistito a diversi eventi culturali che hanno segnato il mio percorso espressivo, per citarne alcuni: Nam June Paik presso lo Stedelijk, Roli Porter al Sonic Acts, Tarkovskij e Jan Švankmajer all’Eye Museum, Ryoji Ikeda al Minimal Music Festival presso il Muziekgebouw.

È stato lì che ho continuato la mia ricerca sul metastrumento, da me chiamato Metastring, e che ho avviato l’attività produttiva come artista multimediale con i lavori Dusk, Asleep?, e con il videoclip Apnea dell’artista techno italiano Vincenzo Pizzi, progetto dell’Opale Studio al quale ho contribuito con dei visual generativi.

A.I.: Molti giovani artisti italiani lasciano il proprio paese abbastanza presto, convinti che all’estero sia migliore a prescindere. Tu, invece, hai avuto modo di conoscere a fondo la realità italiana prima di comprendere quanto fosse necessario lasciarla per poter sviluppare i tuoi progetti.

M.C.: In Italia con un po’ di impegno è possibile lavorare nell’underground, sperando di crescere professionalmente, a patto che si faccia qualcosa che strizzi un po’ l’occhio a forme di mainstream che abbiano un mercato, o inserirsi in un filone più accademico istituzionale che possa sostenere il lavoro dell’artista mentre questo si spende per progetti di ricerca che tuttavia soffrono i limiti della settorialità e dell’accademismo, con l’effetto collaterale che tutto ciò resta spesso sconnesso da un’audience che non sia quella degli addetti ai lavori.

A.I.: Si torna ai problemi di base, ovvero alla questione dell’arte come prodotto di mercato o elitario che allontana il pubblico piuttosto che avvicinarlo. Qual è il tuo pensiero in merito?

M.C.: In Italia, l’artista non è una figura professionalmente rispettata, e qualcuno pensa che non sia neanche utile a far girare l’economia (è il caso dell’ex-ministro dell’economia Tremonti, che venne redarguito puntualmente dal grande Umberto Eco). A mio avviso, la predominanza di un pensiero diffuso di matrice utilitaristica – adottato tanto dal cittadino comune quanto dall’istituzione che tutela male l’arte dei defunti e per niente quella dei vivi – fa sì che l’artista non venga rispettato al pari del contribuente medio che svolge un lavoro percepito come più ‘ortodosso’ e indispensabile. Si malcela il bias cognitivo che scredita ogni forma di espressione e azione che necessitino di una comprensione intellettuale più profonda (che non siano quindi mero intrattenimento, categoria cui spesso, a torto, viene estesa l’arte tutta, come fece l’ex-presidente Giuseppe Conte quando defini’ gli artisti come coloro che “ci fanno tanto ridere”) e che non abbiano una funzione strumentale esplicita nei confronti della collettività. Questo secondo me è alla base di ogni forma di disagio e di decadenza che riguardano il mondo degli artisti italiani. Mi limito ad un ultimo ma significativo esempio, il taglio progressivo al FUS – Fondo Unito per lo Spettacolo, che eroga sempre meno soldi ed esclude sempre di più le piccole realtà indipendenti, un classismo che torna a favore di pochi fortunati e ammazza la gran parte della scena italiana.

A.I.: I tagli sono infiniti e concordo con il tuo pensiero che ritengo più che altro una descrizione della situazione italiana. Cosa consiglieresti a chi decide di intraprendere la carriera artistica ed è a rischio rinuncia a causa delle pressioni sociali?

M.C.: Consiglierei a tutti gli artisti italiani di mettere il naso fuori da casa per vedere cosa c’è in giro, per ispirarsi e connettersi alle diversità che sono fonte inesauribile di bellezza in quanto tali. Andare in Germania, Francia e nei paesi scandinavi e nordici per assistere ad un meraviglioso ed istruttivo spettacolo di valorizzazione dell’attività artistica. Credere in sé stessi è qualcosa che riesce meglio quando qualcuno ce lo insegna credendo in noi e in ciò che facciamo.

A.I.: Hai esposto chiaramente le motivazioni che ti hanno spinto a partire ma, nonostante ciò, vorresti tornare in Italia?

M.C.: Tornerei in Italia ad intermittenza, se mi si garantissero le condizioni e gli spazi per esprimermi a sufficienza e un supporto di tipo economico che renda giustizia e dignità alla mia attività di artista. Tuttavia, non mi confinerei in Italia rischiando di limitare la ricchezza di stimoli e l’indipendenza intellettuale acquisiti grazie alla mia attività cosmopolita portata avanti in altri paesi europei.

A.I.: Attualmente vivi a Berlino, come ci sei finito e perché hai lasciato Amsterdam?

M.C.: Ho vinto una residenza a Berlino, evento che ho preso come un’opportunità per connettermi con un luogo in cui la rappresentanza e la diffusione nell’ambito della musica elettronica e delle arti digitali e tecnologiche è piuttosto significativa. Questo nuovo capitolo mi ha permesso di lanciare il mio primo plugin per Ableton Live con il progetto Culto, di esporre due installazioni/performance AV inedite, e di entrare in contatto con curatori e creativi.

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