La Ferita di Jr a Palazzo Strozzi. Foto dal profilo Twitter di Palazzo Strozzi

L’epoca dell’arte leggera, anzi leggerissima (quanto uno smartphone)

JR, un “Ferita” a Palazzo Strozzi. Svelata l’installazione dell’artista francese a Firenze.

JR, l’artista francese famosissimo per i suoi megacollage in scala di grigi che hanno fatto impazzire mezzo mondo, ha “donato” al pubblico (mi piacerebbe sapere quale pubblico) un Palazzo Strozzi squarciato. L’operazione ha preso un titolo molto poetico: “La Ferita”. Beh, sì, è più o meno poetico. 

Per carità, l’installazione parla da sé. È anche “azzeccata” per dare un’identità visiva al periodo che stiamo attraversando, un periodo profondamente distrutto, e addirittura caratterizzato da svariate distruzioni: da quelle sociali a quelle artistiche (a cui l’opera fa riferimento); da quelle sentimentali al divorzio che il pensiero critico umano sta sancendo – definitivamente – con se stesso. 

Credo che l’opera entrerà dritta dritta nei libri di storia dell’arte, per chi avrà il piacere di leggere cosa è accaduto dal 2020 in poi. Sarà però una bella sorpresa leggere ciò che i vincitori scriveranno, dato che di cronache folli se ne leggono parecchie fin d’ora. Dunque, più che ferite, più che distruzioni. Una catastrofe che aumenta di giorno in giorno. A crollare è, in sostanza, tutto quello che davamo per scontato. E non è affetto uno spettacolo assistere a ciò, per chi è sensibile. 

Ecco, la sensibilità. Per quella che è la mia sensibilità, pari alla durezza di un sasso, l’opera non m’ha sollecitato particolari emozioni. E riconosco che è un problema mio. Solitamente non mi aggrada quando vengono effettuate associazioni tra i linguaggi moderni e, come in questo caso, un palazzo storico (puoi leggere, se ti va, ciò che scrissi di una sfilata di moda ai Templi di Agrigento. Sono fatto così, non posso farci nulla). 

Tuttavia ritengo che per noi masse contemporanee, mentre ce ne stiamo dentro le nostre gabbie domestiche assorti a osservare il mondo attraverso lo smartphone (un mondo asciugato dal riscaldamento globale e dal lockdown), vada più che bene. Più che bene! 

Certo, detto con franchezza, l’artista gioca facile! Da un anno, cioè dall’inizio della pandemia, null’altro abbiamo visto che una declinazione artistica compusilva di mascherine e altri simboli affini. A parte quei versi cantati a Sanremo, che mi frullano in testa tipo il jingle del riso senza lattosio, e che suonano così: «Metti un po’ di musica leggera/Perché ho voglia di niente», sapresti dirmi cos’altro c’è? 

Terminerei questa nota con una promessa da fare a me stesso, e cioè che, entro il 22 agosto, andrò a vedere l’opera da vicino, a Firenze. Ma temo che tale promessa, come tante altre che nella mia vita ho formulato, non riuscirò a mantenerla. A malapena oggi posso compiere dieci chilometri, trovandomi in zona arancione. 

Farò quello che faccio da dodici mesi, allora: continuerò a guardare l’opera e tutta l’altra arte in modo leggero, anzi leggerissimo: attraverso i social. Pare che sia questo il destino: vivere attraverso i post felici degli altri.

Dario Orphée La Mendola

Dario Orphée La Mendola, si laurea in Filosofia, con una tesi sul sentimento, presso l'Università degli studi di Palermo. Insegna Estetica ed Etica della Comunicazione all'Accademia di Belle Arti di Agrigento, e Progettazione delle professionalità all'Accademia di Belle Arti di Catania. Curatore indipendente, si occupa di ecologia e filosofia dell'agricoltura. Per Segnonline scrive soprattutto contributi di opinione e riflessione su diversi argomenti che riguardano l’arte con particolare attenzione alle problematiche estetiche ed etiche.