Può non sembrare così, ma sto giorni, settimane, mesi o, se sono parecchio sfortunato, anche anni dietro a un concetto, a un’idea, un’intuizione ecc. Prima di capirci qualcosa, chiedo agli amici più cari (e mi dispiace per loro) ciò che ne pensano di x e di y, li imploro affinché mi spieghino perché questo, perché quello. Poi leggo tanto sull’argomento, dissipando i pochi averi. Poi ancora effettuo dei controlli incrociati tra il giudizio del popolo e le fonti, tra l’ipse dixit e gli accaldati dialoghi intrattenuti nei pressi del mio bar preferito. Alla fine, con un punto di mosche in mano, me ne esco con una risata e tutto se ne va semplicemente a decomporsi. Accade sempre così.
Rido non perché adori la retorica, non perché voglia sentirmi superiore, e nemmeno perché ridere è l’unico atto intelligente dentro la sfera di un’umanità scadente. Non mi permetterei mai! Rido perché ridendo recupero il tempo perduto e la fatica accumulata. O almeno mi pare di recuperare tempo e fatica. In realtà tempo e fatica s’amano: ciò che recupero è il silente vento di solitudine che gli soffia intorno.
Parlando d’attualità, per esempio, due temi in questi giorni occupano i miei pensieri caratterizzando negativamente l’esistenza (che comunque è negativa da sé). Il primo è perché, in una repubblica democratica come l’Italia, la cui sovranità appartiene al popolo dal 2 giugno del 1946, in ogni talk show di ogni fascia oraria si parli di monarchia con commozione, ammirazione e in modo massivo, nonostante questa forma di governo sia stata abolita da un referendum. Il secondo, invece, è perché la gente deve invadere le preziose pagine dei social dissertando acrobatici ragionamenti su una fotografia di una casa di moda, malgrado sappiamo che questo settore industriale è tra i più inquinanti al mondo, tesi addirittura dimostrata da dati scientifici pubblicati da autorevoli enti di ricerca.
Se inoltre ricordo a me stesso che tra gli scaffali delle librerie esistono ancora autori come Foucault, Guattari, Žižek, Descola ecc. — a meno che non li abbiano sequestrati —, e che il 90% della popolazione è in grado di leggere e informarsi per bene sulle cose, e che tra l’altro i due suddetti temi esposi nel capoverso precedente avvengono durante la pandemia, mi chiedo per quale motivo la gente aneli all’obnubilamento e quasi svengo. Ecco, il nulla, perché?
Noto che il nulla si fa sempre più sublime, incomprensibile, invadente. Un buco nero dal quale non è possibile fuggire. Una profonda pozza che assorbe tutta la meravigliosa diversità alla quale la vita, dopo tanti sforzi, dopo tanto sudore e catastrofi, era approdata. Ovviamente mi affliggo, ma a metà: so che il cervello umano contemporaneo, più in là del gelato con schegge di vetro che sta leccando, non potrà aspirare; so che (liberamente ispirandomi a Daniele Luttazzi) la scarsità intellettuale nella quale ci troviamo è più che sufficiente per l’italiano comune. E dunque perché non dare dignità a tale nulla vendendolo?
Maurizio Di Feo, dal cui sito internet leggo che vive e opera a Milano, dallo scorso anno propone un’ontologia concreta dello spirito culturale nel quale siamo piombati, con un’operazione perfettamente coerente ai tempi e, col senno di poi, direi “profetica” vista l’avanzata dei demoniaci NFT, da settimane sulla bocca di tutti (per le ragioni di cui sopra, è chiaro!).
Sul sito commerciale eBay l’artista, alla pagina “Vendo il nulla”, offre a cifre abbordabili una settantina di articoli preceduti dalla preposizione «Senza»: uno scopino senza manico, un orologio senza ore, una tastiera senza lettere, un monopattino senza manubrio ecc.
Riporto quanto lo stesso artista annota, spiegando i principi del suo progetto: «”Vendo il nulla” è un’azione d’arte digitale incentrata sulla rappresentazione del nulla e sull’annullamento iconico dell’oggetto, privandolo della propria funzionalità. La performance digitale attraverso una costruzione logica, materializza artisticamente il nulla e lo smarrimento esistenziale. La piattaforma elettronica viene impiegata come supporto dell’opera stessa e non come vetrina espositiva. La rete internet è utilizzata come mezzo di creazione artistica e non come canale per la diffusione di oggetti estetici. L’intera azione mira ad attivare un’operazione culturale e sociologica. Maurizio Di Feo usando il marketplace come supporto espressivo, propone un catalogo di articoli dove il nulla è tangibile attraverso la mancanza di qualcosa, piuttosto che di tutto. Il pubblico pur aggiudicandosi le aste online, dal valore simbolico, non riceverà nulla di materiale. La ricevuta elettronica varrà come documento di attiva partecipazione alla performance digitale e comproverà l’acquisto di un bene immateriale ancora più raro, la consapevolezza al consumo».
Certo, non nascondo che di scopini senza manici ne avrei acquistati una ventina, per regalarli a chicchessia a mo’ di dispetto (la battuta è sottile sottile, e tuttavia volgare volgare; perciò vi chiedo chiedo anticipatamente scusa, se doveste un giorno figurare nella vostra mente priva di peccati la sporca immagine che sto adesso pensando). Ma, nel mondo del nulla in cui vivo, una ricevuta elettronica rilasciata dall’artista va più che bene. Il simbolo è tutto e il tutto è nel simbolo, diceva qualcuno. Se inoltre mancano i significati, allora il consumo è davvero l’unico paradigma. Altrimenti perché secondo te, tra qualche anno, permetteranno a un influencer di guidare un governo? Oh, forse questo segreto dovevo risparmiarmelo!