La prima è la prima mostra personale di Yara Piras, artista torinese che opera soprattutto nel campo della fotografia. Fondazione Pini ospita l’esposizione, che si compone di 3 sezioni principali e 5 opere dell’artista vincitrice di ReA! Fair, fiera d’arte contemporanea dedicata agli artisti emergenti. Il titolo dell’esposizione rimanda proprio al fatto che si tratta della prima personale in assoluto della giovane artista, classe 1995. Quest’ultima ci ha accompagnati nel percorso tra le sue installazioni presenti nello spazio di Corso Garibaldi, dal momento che la mostra è stata curata dall’artista stessa assieme al curatore Adrian Paci. Le opere che vediamo appena entriamo nella sala della mostra sono tutte e tre legate da un filo conduttore comune: il concetto di proiezione. Esso viene analizzato con modalità e tecniche differenti; nella prima scultura, dal titolo “proiezione in difficoltà”, vi sono 40 diapositive che vanno avanti a ciclo continuo, con un testo che recita proprio il titolo dell’installazione. La proiezione deve superare diversi ostacoli: quello materiale, tra cui una struttura in plexiglass opaco e un’altra in plexiglass trasparente; quello rappresentato dalla distanza tra i vari pannelli in plexiglass, che rende ancor più complesso il percorso delle proiezioni, le quali piano piano si sfumano sempre di più fino a che l’immagine risulta quasi totalmente differente rispetto all’inizio; e poi ancora il fuoco e le tempistiche con le quali sono state scattate le foto. Grazie a questi ostacoli, la proiezione a volte risulta fissa altre volte più sfocata.
La seconda opera si intitola “Cinema”: la proiezione è all’interno di un telaio 35 mm, quindi l’artista ci invita ad avvicinarci per osservare da vicino il contenuto dell’installazione. Il concetto di proiezione è qui esemplificato da un’immagine di piccolo formato: la proiezione non è più in larga scala, come al cinema, ma si è ridotta ed è rappresentata da un’immagine piccolissima. Ed è proprio quest’opera che ha condotto l’artista torinese alla vittoria della fiera per gli artisti emergenti, menzionata in precedenza, tenutasi presso la Fabbrica del Vapore di Milano. La terza installazione si intitola “Il cinema a una finestra” e completa la prima sezione dedicata al tema della proiezione cinematografica. Essa è l’opera più concettuale dell’intera esposizione, essendo rappresentata da un proiettore che si affaccia ad una sorta di finestra, rappresentata da un’altra struttura in plexiglass. La proiezione non esiste realmente in quest’opera: sta all’osservatore immaginarne una ideale, a seconda di quello che prova in quello specifico momento. Parliamo dunque di un’installazione dal forte valore concettuale, che ancora una volta cambia la prospettiva dalla quale l’artista e l’osservatore guardano il tema della proiezione. Lo spettatore è invitato a vedere una “proiezione mentale”, come dice la Piras stessa. E’ lui che deve decidere cosa inserire all’interno della bolex e quindi cosa vedere dalla sua finestra ideale. L’artista ci spiega quindi come l’aver partecipato alla curatela dell’esposizione sia un motivo in più che la spinge a voler parlare con i visitatori, a spiegargli i diversi aspetti e i significati della sua opera, complessa e fortemente legata ad una ricerca di tipo concettuale più che visivo. Grazie a lei cogliamo delle sfumature che sarebbe stato difficile carpire in sua assenza.
Nella sezione centrale troviamo poi l’opera “Sbandierare ai 4 venti”: in questo caso, oltre alla componente concettuale, è chiaro l’intento da parte dell’artista di voler mandare un messaggio di stampo politico. Ci spiega infatti come l’installazione, composta da 4 sculture a forma di bandiera, sia formata da pellicole censurate durante il periodo fascista. Quindi è l’immagine della bandiera che vuole rendere l’immagine politica. Sono tutte immagini proibite all’epoca, il cui contenuto non è stato recuperato ma che sicuramente rimandava a concetti espliciti e vietati dal regime. Il motivo della censura? Probabilmente per l’audio delle pellicole, che doveva contenere materiale compromettente e ritenuto censurabile in quel periodo. L’opera è di forte impatto visivo e si comprende subito il rimando politico dell’installazione. L’ultima opera in esposizione si intitola “Cinema solitario” ed è un’installazione site-specific posta all’interno di uno spazio chiuso della fondazione, con un proiettore che mette in mostra un filmato dell’artista. Il cortometraggio è stato realizzato con bobine d’archivio personali e riflette sul concetto di materialità della pellicola, non più su quello concettuale e della memoria. L’aspetto materico, quasi organico della pellicola è rintracciabile nell’unica immagine che si intravede all’interno del corto, ossia quella della pancia. Se la prima sala riflette sul concetto di proiezione e la seconda si sposta su un ambito politico (con la tecnica che si avvicina alla scultura e l’utilizzo della materia diventa centrale), il cortometraggio riguarda un aspetto più materiale, naturale della pellicola, sulla materialità che rende possibile la proiezione stessa. Il concetto di questo film è quasi sulla natura del film, sulla genesi di un’arte che è possibile realizzare grazie ad elementi materiali. La pellicola che l’artista srotola rimanda ad un’immagine che raffigura come delle viscere, l’interno di un corpo che ognuno può interpretare a proprio modo. E’ l’artista a dirci che con questo gesto vuole rimandare agli organi, al concetto di interno e di intimo, personale. L’unica immagine reale è infatti, come detto, quella della pancia, tra altre più astratte e meno facilmente visibili. Questo dà la chiave di lettura di tutto il film. Anche il sonoro gioca un ruolo di fondamentale importanza. Se inizialmente la sensazione che si prova ascoltando i suoni del corto è quasi sgradevole, inquietante, successivamente la musica si acquieta e diventa sempre più melodica, proiettando lo spettatore in un mondo meno provocatorio e ristabilendo una sensazione di tranquillità.
Il climax del sonoro mira a provocare una sorta di fastidio nell’osservatore, che ascolta un suono che sale sempre di più di tonalità per poi calmarsi e stabilizzarsi nella parte centrale, dove l’audio accoglie e si rifà ad un’immagine interiore: “Le persone si rispecchiano in quello che vedono, ma è importante quello che hanno dentro” dice l’artista. Le immagini sono prevalentemente astratte; quelle nitide fanno tornare lo spettatore in una dimensione di “normalità”, dopo lo scossone provocato dal mix di immagini e sonoro iniziale. “Ognuno ha le sue emozioni, le sue sensazioni e porta quello che sente” continua la Piras, la quale afferma come ha voluto concludere il percorso della mostra con questo video poiché esso fa in modo il visitatore rimanga un po’ con i propri pensieri, che venga lasciato per qualche minuto con le proprie sensazioni, scaturite dal corto. La musica e le immagini prima sono ambigue, fanno venir voglia di scoprire cosa succederà, poi diventano sempre più inquietanti mentre poi si acquietano; alla fine si torna alle immagini dell’inizio, con le pellicole srotolate dalle mani dell’artista. “Nell’ultima parte si è già abituati a quell’immagine, il mio messaggio l’ho già dato, ti sto solo dando la chiave di lettura di tutto quello che è successo”.
Cinema, politica, interiorità. Insomma, sono tanti i temi trattati nel corso di un’esposizione, la sua “prima”, che mette in risalto le grandi capacità di un’artista emergente che farà parlare di sé. Yara Piras è nata a Torino e ha vissuto ad Asti. Ora vive e lavora a Milano, città che l’ha accolta e alla quale è molto legata. La stessa Milano che le ha dato l’opportunità di partecipare e di vincere la fiera presso la Fabbrica del Vapore e di esporre presso uno dei luoghi più suggestivi della città. La mostra ha inaugurato martedì 25 maggio 2021 e resterà aperta fino al 16 luglio.