Sfogliando il tuo curriculum, spiccano gli studi filosofici. Sono sempre più i filosofi che, come nel tuo caso, alternano alla docenza la cura di eventi espositivi. Hai idea di quale sia la ragione?
Non posso — né so — dare una risposta precisa o, quanto meno, oggettiva. Molti potrebbero pensare che si configuri come uno sbocco pratico, reale e concreto a studi teorici ritenuti immateriali, evanescenti e, diciamocelo pure, in-utili o, meglio, non profittevoli in quanto difficilmente commutabili in ricchezza materiale. Perché di ricchezza ne creano, ma non quella che i “Più” e il “Mercato” riconoscono tale. La mia personale ragione è il gioco, nonché la possibilità di esprimere totalmente un innato senso e un viscerale bisogno di Libertà. Il “mio” gioco, quello che metto in scena ogni volta che decido di intraprendere un progetto di curatela artistica, consiste nel camminare, come un allegro funambolo, su quella sottilissima linea che divide, ma al contempo unisce, immaginazione ed intelletto, per citare Kant. È “filosoficamente”, sempre, una ricerca di Verità, solo che non è la verità “logica”, quella che nasce dalla naturale cooperazione tra ragione e intelletto, o viceversa, ed è immutabile; la mia Verità è spirituale ed è, soprattutto, mutabile, traendo da queste sue imprescindibili proprietà tutta la sua potenza, tutta la sua forza attrattiva e tutta la sua bellezza.
In generale, quali competenze occorrono per diventare curatore?
Oltre alle competenze, ci vuole attitudine e fortuna. Ci vogliono stimoli, innanzitutto. E questi te li possono dare dei genitori che amano l’arte e te la inculcano, non forzatamente ma ludicamente, da bambino/a. Una naturale propensione dell’anima al bello, all’interessante o, quanto meno, un forte senso dell’equilibrio. Curiosità, tanta, troppa. Cospicui mezzi per studiare — oltre ad una ferrea volontà di farlo, naturalmente — e per viaggiare: se vuoi “mostra-re”, ovvero “far vedere”, devi aver visto tanto e bene. Intelligenza e programmazione nel reperire le informazioni e capacità critiche per rielaborarle e restituirle. Ci vogliono intuizione, fantasia ed inventiva, ma bisogna saperle gestire, regolamentare ed organizzare. Empatia e fermezza decisionale. Infine ci vuole tanta, ma tanta, gavetta.
Si guadagna bene?
Per ogni progetto di curatela o di “art management” nel senso più ampio del termine ci possono essere una o più fonti di guadagno per il curatore/organizzatore, dipende da quanto quest’ultimo sia capace nel creare poli di interesse e aumentare il numero di stakeholder (portatori di interesse) “attivi”, ovvero che investono volontariamente capitale nel progetto sulla base di vantaggi economici o d’immagine adeguatamente e dettagliatamente prospettati. Tanti piccoli e medi capitali investiti nel progetto culturale e/o artistico fanno — a conti fatti — un buono ed onesto guadagno per il curatore per il know-how, i servizi, il tempo e le energie profuse. Inoltre, altro guadagno — forse il più importante in prospettiva futura — che non va mai sottovalutato è il network che il curatore costruisce, amplia o consolida progetto dopo progetto.
A parte il denaro, quale aspetto ti affascina di più del tuo mestiere?
Probabilmente, il denaro, per quanto importante e necessario, è l’ultimo degli aspetti che considero. In cima ci sono la possibilità di esprimer-Mi, di rinnovarmi, il rapporto umano e professionale che si instaura con l’artista o con gli artisti, il valore sociale ed involontariamente politico dell’operazione culturale che metto in atto, e la soddisfazione, quando qualcuno esprime apprezzamento per il lavoro svolto, di dire: «Questo l’ho fatto io, partendo da una semplice ma buona Idea».
Una mostra di cui sei particolarmente orgoglioso?
Probabilmente tutte — e, ormai, posso dire di averne fatte più di abbastanza —, perché ognuna, a modo suo, ha rappresentato la materializzazione della mia massima capacità di esprimermi in quel luogo, in quel tempo e in quel momento. Si sarebbero potute fare meglio? Probabilmente, con la maturità, le conoscenze e le abilità acquisite in seguito, sì, ma sarebbero state altre mostre e non quelle. Quelle sono nate e finite esattamente come dovevano, esattamente come le avevo immaginate.
La tua ultima rassegna, Luccicanza, è uno degli eventi in programma del Venice Design Week: cos’è la luccicanza?
“Luccicanza”, in inglese “shining”. Come non pensare al noto bestseller di Stephen King o al cult cinematografico ambientato nel mistico e spettrale Overlook Hotel. Eppure, in questo caso, esclusa l’affinità di luogo, ovvero l’albergo, la luccicanza di cui si parla, poco o nulla ha in comune con i presagi demoniaci di kubrickiana memoria. È un termine chiamato a definire un concetto estetico più profondo rispetto alla semplice e mera lucentezza, riflesso o reazione fisica ad una luce esterna e altra rispetto all’oggetto riflettente. Essa è concepita come una proprietà della cosa o della persona, un dono intrinseco, originale e originario, la presenza in sé di uno spirito superiore, di una differenza sostanziale ed essenziale. Le opere di design, come le cose d’arte, i cosiddetti “artefatti”, non sono cose semplici e, ancor meno, “semplici” cose, sono dotate di quel “quid”, di quell’impetus primordiale che è, appunto, la luccicanza.
La sfida lanciata agli artisti e ai designer selezionati (Angelo Andrea Citro, Tommaso Dognazzi, Emanuele Gregolin, Luca Impinto, Nicola Pellegrino, Opificio Emblema, Tina Sgrò, Fernando Spano ed Angelo Ventimiglia) per questa edizione del Venice Design Week, è di rap-presentarla, di svelarci, tramite il loro approccio creativo e il loro agire attento, sensibile e certosino, questo attributo invisibile ed unico in grado di vivificare tanto la materia quanto la forma.
Dopo anni di incondizionato trionfo del concetto, l’artigianato, il lavoro materiale stanno tornando in auge. A cosa si deve questa inversione di tendenza?
Credo sia dovuta alla necessità (non definitiva ma circolare, per scomodare Vico) storico-spirituale di questo Tempo di ricuperare un contatto diretto, materiale e non mediato con la realtà. L’artefatto, concretizzazione del sapere, della tecnica, del talento, dell’animo e dell’anima di chi lo ha realizzato si erge a quasi immortale testimone della sua esistenza, dando all’artigiano artista la possibilità di gridare al mondo: «Ecco, ci sono stato anch’io. E questo, ho fatto».
Nell’attuale crisi politica, economica e sociale, come vedi il futuro dell’arte e degli artisti?
So solo che l’arte è furba, puttana ed anarchica e che la sua sopravvivenza — un po’ come per la religione — non è legata ad un regime politico in particolare, quanto alla sopravvivenza della stessa Umanità. Alcune forme, tecniche o stili potranno essere più o meno avvantaggiati, promossi o diffusi, altri scompariranno, altri nasceranno o ri-nasceranno; ma questo, nella Grande Storia dell’Arte, è l’andamento normale delle cose.
A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?
Attualmente ho diversi progetti in corso, alcuni già confermati altri in via di conferma. In primis “Luccicanza” — di cui abbiamo già fatto cenno — alla Venice Design Week 2022 dall’1 al 9 Ottobre nella prestigiosa cornice del Savoia & Jolanda Hotel di Venezia. Progetto promosso e finanziato da Opera L.T.B. dell’avvocato salernitano Gianluca Iaione e co-curato con Davide Caramagna, con patrocini e partner di prestigio come la London Metropolitan University, l’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, il Valletta Higher Education Institute, la Fondazione Marta Czok, Edizioni Paguro, Astoria Wines, lo studio di consulenza patrimoniale Stefano Da Rin ecc.
Sempre ad Ottobre parteciperò al RAW — Rome Art Week — con l’artista napoletano Luca Impinto; dove parleremo della tecnica della xilografia nel sistema contemporaneo dell’arte, dell’artigianato e del design tipografico presso l’Art Exhibition Gallery di Barbara Goebels Cattaneo.
Per Marzo 2023, sto organizzando una settimana dell’arte e del design a Malta —MAD WEEK — incentrata sul “videogioco”. La location scelta per l’evento è il Cavalieri Art Hotel di St. Julian’s. Fino a metà Dicembre mi dedicherò alla selezione degli artisti e dei designer da esporre, sperando che le proposte siano in linea con lo standard di qualità, in termini di ricerca, che mi sono prefissato.
Infine, per Maggio 2023, sto programmando un progetto d’arte sociale con la Casa Circondariale di Salerno “Antonio Caputo”, che prevede l’esposizione dell’arazzo realizzato sui cartoni di Raffaello Sanzio, “Ananias e Saphira”, della collezione privata di Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona presso i locali del carcere.