Gino Battista
Gino Battista difronte la sua villa, foto Beppe Gernone

La casa dell’arte: Gino Battista

Gino Battista, titolare di Bristol Caffè, azienda ben nota ai puristi della tonica bevanda, è un grande amante dell’arte, che colleziona in una casa museo progettata dall’architetto Riccardo Dalisi. La sua raccolta è un passaggio imprescindibile per chi intenda approfondire la conoscenza di Pino Pascali, di cui annovera circa cinquanta opere, e delle principali tendenze del contemporaneo, dall’architettura al figurativo al design. Abbiamo discusso con lui, dopo quest’anno orribile di chiusure e restrizioni, del presente e del futuro dell’arte. Non prima, però, di aver parlato della sua ricca collezione.

Come e quando ha iniziato a collezionare arte?

Il mio è un percorso particolarmente lungo: ho nutrito interesse per l’Arte da sempre; pertanto,

individuare un inizio è complesso e ciò che è importante non è tanto il momento iniziale, ma lo sviluppo, che è stato accompagnato dallo studio e dall’interpretazione dei periodi artistici che si sono manifestati nel corso del tempo, sino ad arrivare ad oggi. Il mio interesse si è poi concretizzato con l’arte contemporanea.

Ogni raccolta ha uno sviluppo naturale: prima è un ciuffo, poi un arbusto, infine un albero carico di rami.

Infatti, l’evoluzione è stata abbastanza lunga e metodica. All’inizio mi sono orientato su lavori minori: grafiche, gouache e disegni; piccole opere su tela di Vedova, Lam, Corpora, Turcato, Schifano…; poi ha avuto inizio la frequentazione di spazi e gallerie, a Bari, come “Centrosei”, “La Coperativa” di Mimmo Conenna, la galleria “Bonomo”, altre piccole gallerie sempre orientate al contemporaneo, nonché “Speciale” di Tarshito e Shama, significativa per l’attenzione al design, che ha dato, determinato e confermato, per me, la svolta anche su questo aspetto. Si è così sviluppata l’altra mia passione, che mi ha portato a conoscere architetti e designer come Mendini, Pettena, Oste, Branzi, Marano e Dalisi il quale, poi, ha realizzato la mia villa con un progetto specifico e innovativo, decisamente all’avanguardia! Infatti, è stata inserita nelle pubblicazioni “Almanacco delle Architetture degli anni Ottanta” edito da Electa e in “Maison de créateurs”, edito da “Actes sud/Motta”; ho poi iniziato a frequentare anche Fiere nazionali quali ExpoArte, Miart, Artissima, Arte Fiera, Art Verona, nonché internazionali, come Art Basel, Art Zurich, Fiac e altre. Ho allargato la visione, e ho conosciuto gallerie e centri d’arte che hanno contribuito ad ampliare le mie conoscenze.

Mi pare che il pezzo forte della collezione siano le opere di Pino Pascali, tra cui spiccano molti lavori di grafica pubblicitaria: una liaison con la sua attività imprenditoriale? 

Pascali rappresenta per me la forza creativa che supera ogni confine, indipendentemente dall’origine; nelle sue opere vedo costantemente impressa la sua terra, la Puglia, che offre, grazie alla forza di Pascali di confrontarsi con la durezza della natura e la poesia dei luoghi, la spinta creativa. Quando vedevo opere di Pascali, davo loro la precedenza su tutto; così fu per il Treno (ora alla “Fondazione Pascali” di Polignano), acquistato in seguito a un incontro con un mio caro amico che mi presentò chi aveva intenzione di cederla, e il Baco Da Setola, altro acquisto legato a un fortuito incontro, e poi i disegni e le tecniche miste come la Pistola e la Panoplia, il Toro Olè e lo Story Board degli Orsetti, spot completo per “Intervallo” della Rai. Pian piano ho raccolto circa 50 lavori. Ma anche di altri artisti ho diverse opere. Nella mia azienda l’arte si affaccia allorquando realizzo il calendario del nuovo anno, che faccio progettare ad un artista. Commissiono anche la realizzazione delle tazzine da caffè.

Quale è il suo lavoro preferito, quello che non è riuscito ad avere e quello che desidera di più? 

Ogni opera che acquisisco diventa la mia preferita. Ricordo quanto mi disse un mio amico e artista, Antonio Paradiso: “Quando prendi un’opera, se lo fai perché ti piace, è la maniera migliore per tenerla; non potrai mai rinnegarla”. Poiché non mi sento un collezionista ma un appassionato d’arte, ogni opera ha una sua identità nella raccolta. Forse, quella a cui sono particolarmente legato è Sangre des oiseaux di André Masson, del 1953: una sabbia con piume d’uccello, una conferma surrealista dell’artista! Sul contemporaneo, per esempio, è un’opera di Nico Angiuli, che con la sua ricerca sta affrontando il tema del lavoro e il suo sfruttamento con riferimenti politici e antropologici, come accade con Tre Titoli, un video-film che ha presentato alla Quadriennale di Roma, e che riassume il suo progetto; ho acquisito l’opera con parte degli studi preparatori. Comunque anche altri giovani italiani e stranieri sono entrati nella raccolta. L’opera che desidero è quella che non ho ancora preso!

In questi tempi di chiusure e spostamenti contingentati, sostenere chi ci sta accanto è un obbligo più che una semplice opzione. Quanto è importante, per un collezionista, il radicamento nel proprio territorio?

Non ho mai considerato l’acquisizione di un’opera come un sostegno per l’artista, anche perché difficilmente acquisto direttamente da lui, ma preferisco farlo tramite le gallerie, che comunque effettuano un lavoro di selezione degli artisti stessi, specialmente quelle che seguono i giovani. Oggi si avverte meno la difficoltà di movimento poiché con Internet, tra Zoom e contatti “social”, c’è la possibilità di “girare” il mondo e di aggiornarsi sugli eventi. Ho difficolta, però, a rapportarmi con le opere in foto o video, poiché ho sempre avuto la necessità del contatto e della visione diretta dell’opera stessa; pertanto, spero che a breve si abbia la possibilità di ritornare alla normalità. Ho sempre cercato di seguire quello che succede nel mio territorio; così, nella mia raccolta sono presenti diversi artisti pugliesi. In questi giorni si è conclusa una mostra, Forme del desiderio, il racconto delle collezioni, in occasione dell’inaugurazione del Museo Archeologico di Santa Scolastica: per tale mostra, a seguito di invito, ho prestato un’opera di Vincent Shine; e, naturalmente, per me è stato un onore aver potuto dare un contributo. 

La sua villa nei pressi di Triggiano, sede della collezione, è un’opera d’arte essa stessa, ma è anche e soprattutto la sua casa. 

Come ho accennato prima, ho incaricato l’architetto Riccardo Dalisi per la realizzazione della villa che ha concretizzato i suoi desideri “infantili”, espressi con il serpente che la circonda, l’angelo che la protegge e i guerrieri che la difendono. Un progetto articolato, che si è sviluppato a seguito delle necessità legate all’abitare; la realizzazione della zona letto-genitori, per esempio, è una sorta di alcova con lo spazio guardaroba alle spalle della stessa. L’intervento, poi, di Ugo Marano nella zona pranzo e cucina ha creato armonia con riferimenti alla natura e ai materiali naturali. Oltre anche a interventi di Biagio Caldarelli, che ha realizzato un piccolo murales, e Gaetano Fanelli. È un po’ un vivere immersi nell’arte, grazie anche alle opere che sono inserite non in maniera invasiva. Peraltro infatti non tutte le opere sono esposte, ma hanno un ciclo di presenza determinato dalle necessità di installazione.

Ha pensato, a pandemia terminata, di rendere le opere fruibili al pubblico, magari collocandone una parte in una sede espositiva?

Mi chiedono spesso di poter vedere le mie opere, ma non penso si possa attuare una fruizione continua, poiché è la mia abitazione; non è un museo, bensì uno spazio di vita quotidiana con presenze d’arte. In passato, ho avviato un progetto a cui non è stato possibile dare seguito; il Comune di Triggiano mi metteva a disposizione un’area su cui realizzare un museo, che avevo anche fatto progettare dall’architetto Vito Fortini. Si trattava di uno spazio che includeva, oltre quello per l’esposizione della mia collezione, anche spazi per mostre temporanee e un piccolo teatro, dove organizzare conferenze e proiezioni e tre piccoli alloggi destinati a “residenze” per artisti; eventi politici hanno però bloccato il progetto. Sarebbe stato molto interessante: correva l’anno 1990 e, in seguito, si sono realizzati altrove musei che oggi sono in “auge”.

Quale futuro immagina per l’arte, in particolare per l’arte italiana? 

Penso che ogni epoca abbia la sua arte. Oggi abbiamo la possibilità di utilizzare diverse tecniche, però vedo negli artisti sempre presente l’uso della matita con il foglio di carta o la pagina tecnologica per concretizzare i progetti frutto della loro creatività. Sono ottimista per il futuro, anche se ritengo che sia difficile che possano riproporsi gli eventi “rivoluzionari” che hanno segnato il passato. L’arte è però parte integrante dell’uomo e avrà un’evoluzione legata intrinsecamente a lui. L’Italia, poi, ha sempre rappresentato il meglio dell’espressione artistica e i nostri artisti hanno pertanto la forza del genius loci.