A dispetto dei prezzi stellari, il rapporto tra memoria e fioristi – siamo nel mese di novembre – è solido e affettuoso: sostituire i fiori (e i picchetti e le fanfare) con le mostre e i murales, come hai fatto a Palermo durante le celebrazioni per il trentennale delle stragi di mafia, non sarà stata impresa facile…
La lobby dei fioristi è molto forte in un Paese come l’Italia, dove davvero si fatica e si sfugge dai conti con la Storia e con le diverse e diffuse responsabilità di ciascuno. Un fiore, una corona e una fanfara velocizzano la riflessione su quello che siamo, semplificazione di un’Eucarestia senza pentimento. E allora ha senso scuotere gli altari dalle fondamenta, come abbiamo fatto a Palermo per il trentennale, dove non tutti erano sodali o almeno collaborativi quando abbiamo deciso di tornare in piazza dopo una pandemia dolorosissima per incontrare la città e i giovani: quel giorno di maggio eravamo più di quarantamila al Foro Italico col Presidente Mattarella e la nostra guida, Maria Falcone, ha potuto dimostrare che il funerale è finito ed è ora di continuare ad allevare una comunità sorridente, intelligente, consapevole e coraggiosa e l’arte è solo uno strumento straordinario per unire le persone alle storie.
Come ha risposto la città ad interventi monumentali come i volti di Falcone e Borsellino? Se non ricordo male, non sono mancate le polemiche e i distinguo.
Benissimo, la città, la comunità e le persone sono felici custodi di questo progetto, chi distingue e soffre è solo e noi siamo di più.
Non mi riferisco solo al soggetto: pensi abbia senso limitarsi a ingrandire delle foto? Un’opera d’arte non dovrebbe andare oltre la mera agiografia?
L’opera d’arte contemporanea deve sollecitare una rivoluzione, non è decorazione. Si vedono murales come paramenti retorici, rassicurano e vengono pagati benissimo agli autori che
non sono artisti ma decoratori; ecco, io cambio strada. Oggi servono progetti di comunità, non saggi figurativi: le storie, le comunità, la progettazione negoziata, la partecipazione dei cittadini e dei giovani, una collettività nuova che si ispira al lavoro del pool e delle migliori esperienze comunitarie. Oggi deve essere prioritario un nuovo federalismo della memoria, dove non servono eroi ma maestri.
Non sono mancati, il che è gravissimo, neppure i vandalismi, a cominciare dallo sfregio di quest’estate all’Albero dei Tutti, presso la chiesa sconsacrata dello Spasimo.
Vinciamo noi, siamo più bravi, coraggiosi, efficaci e felici perché siamo una squadra ad assetto variabile, al servizio di una Fondazione che è un patrimonio immateriale italiano: nessuno indispensabile e tutti al servizio.
Loro sono pochi, ignoranti e volgari: danneggiano un albero e noi saremo foresta, faremo un bosco.
In effetti questa non è affatto una storia siciliana. Oggi l’Albero dei Tutti di Prugger e il Trionfo della Memoria di Peter Demetzsono a Roma per la prima giornata nazionale Giovani e Memoria.
Immagino che anche la scelta di artisti “nordici” sia un modo di unire la nazione…
I siciliani, da sempre, si dividono in siciliani di scoglio e d’altura. Io sono della seconda specie, così come Vincenzo Di Fresco che è il nipote di Giovanni e il figlio di Maria Falcone. Un intellettuale cosmopolita e un editore straordinario, assieme crediamo che chi come noi è spesso e da sempre “altrove” possa portare esperienze apparentemente lontane dalla Sicilia, arricchendo la rete morale e politica contro la mafia, contro la retorica: questo è un progetto di comunità e l’Italia inizia al Brennero e finisce a Palermo. Insieme dobbiamo prendere la rincorsa verso l’Europa, la nostra vera dimensione di riferimento.
Noto una tua preferenza per gli scultori del legno. Li trovi più vicini alla vita naturale, a una pratica artigianale che evidentemente ami più delle acrobazie dell’intelletto?
Sono sicuro che il potere non sceglierà mai il legno: il marmo, il bronzo, il cemento sono adatti alle esigenze della celebrazione ideologica. Io sono più vicino a Don Camillo, al Crocifisso che di legno parla e fa compagnia; galleggia il legno delle barchette dei disperati nel Canale di Sicilia, il legno della stube, il legno dei banchi di scuola, il legno delle casse da morto dei troppi assassinii che abbiamo pianto in gioventù. Il legno è fragile, temporaneo e finisce, come la memoria non coltivata e protetta; il legno è lo spirito del pellegrino, dell’isba sul Don, del rifugio di montagna. E il legno profuma di libertà, lontano dal compromesso eterno del potere.
Nel caso dell’Acquario Romano, dove si svolge l’evento principale della giornata Giovani e Memoria, la scelta del luogo è obbligata. Mi pare però che, in tutte le altre tue istallazioni, dai cani di Velasco a Palazzo dei Normanni al Caravaggio a Lampedusa, gli spazi siano stati individuati con molta attenzione.
Anna Villari [direttore artistico della giornata Giovani e Memoria, organizzata dal Coordinatore della Struttura di missione per gli anniversari nazionali della Presidenza del Consiglio Paolo Vicchiarello presso l’Acquario Romano, in cui, oltre alle opere di Demetz e Plugger, curate da Alessandro De Lisi, figurano quelledi quattro giovani artisti provenienti da tutta Italia, a cura di Fulvio Merolli (M’arte Scultura) e mia: Kiki Skipi, Nian, Giovanni Robustelli e Andrea Gandini, N.d.R.] è una bomba come storica dell’arte e assieme siamo sicuri che l’Acquario Romano è il posto perfetto per questa tappa, tra la stazione Termini e Piazza Vittorio, la grande città delle confluenze.
Potremmo leggere l’arte pubblica, anche in ragione della sua gratuità, come la prima forma di restituzione di quanto ci è stato rubato dal malcostume, dall’’ignoranza e dalla criminalità?
L’arte è libera, non deve essere usata come strumento sociale di denuncia, al massimo occupa uno spazio, sollecita una riflessione positiva. La scelta della fruizione gratuita è una volontà di Maria Falcone e di Vincenzo Di Fresco oltre che assolutamente condivisa da me, ma gli artisti abbisogna pagarli, meritano il rispetto del lavoro, così coinvolgiamo le imprese partner e le istituzioni illuminate come la Provincia Autonoma di Bolzano.
Da palermitano migrante, ti sarai scontrato con svariati pregiudizi. Ce ne racconti qualcuno?
No. Tanto loro hanno perso e ho vinto io, seppur con infinito dolore. Oggi sono ormai vecchio, non disdegno la buona compagnia e la bellezza della scoperta, sono però fratello di quei minatori morti a Marcinelle, oppure di quegli italiani da stalla che non potevano trovare casa in Germania o in Francia. Siamo una grande famiglia dolente ma assai ironica e alla fine abbiamo la callosa pazienza del bisogno.
Spero solo che i miei figli siano felicemente europei senza dimenticare che per metà sono sangue e latte e per metà lavoro e fantasia.
Il viaggio civile che hai intrapreso con la fondazione Falcone è ancora lungo. Quali saranno le prossime tappe?
Suspence …
Falcone diceva: “segui i soldi e trovi i mafiosi. Segui gli artisti e trovi…?
La bellezza che popola gli spazi. Senza dimenticare che per vincere la mafia serve tutto, secondo possibilità.