Juan Araujo - Clouds and shadows on Mars, 2024; olio su tela; 27x35cm; Courtesy the artist and Galleria Continua

Il tempo unico del Cosmo. A Palazzo Massimo la prima personale in Italia di Juan Araujo

Il piano nobile del Museo Nazionale Romano – Palazzo Massimo accoglie la mostra “Clouds and Shadows on Mars”, la prima personale in Italia dell’artista venezuelano Juan Araujo, fino 28 maggio 2024, tra corrispondenze iconologiche, astronomia e visioni oniriche, a cura di Stéphane Verger e Luis Pérez-Ormas

Il contemporaneo, talvolta, si nasconde nell’antico e lo disvela, aprendo in esso varchi immaginativi e concettuali. È quello che accade ora al Museo Nazionale Romano – Palazzo Massimo, dove è inaugurata la mostra “Clouds and Shadows on Mars”. La prima personale italiana dell’artista Juan Araujo (Caracas, 1971) fruibile fino al 28 maggio 2024.

Un’esposizione di minimi interventi visionari site specific, realizzata grazie alla collaborazione tra la Galleria Continua e Stéphane Verger, Direttore del MNR, presente anche nelle vesti di co-curatore insieme a Luis Pérez-Ormas.

“Questa mostra – ha spiegato Verger durante la conferenza stampa di presentazione – è un partenariato con la Galleria Continua quasi obbligatorio, considerando che Palazzo Massimo è un vicino di casa. Così come vicini alla Continua e al St. Regis Hotel che la accoglie, sono le Terme di Diocleziano, il Museo dell’Arte Salvata… spero che questa collaborazione possa continuare anche nelle altre sedi del Museo Nazionale Romano”.

Al primo piano di Palazzo Massimo, dove si ergono silenti sculture, rilievi, mosaici, stucchi e sarcofagi della Roma antica, Araujo introduce piccoli dipinti che scardinano la temporalità ovattata del passato, entrandovi in collisione. Si generano effetti cortocircuitanti. È il caso della raffigurazione di Pinocchio, tratta dalla cultura italiana contemporanea e disposta nella sala degli affreschi marini.

È il caso dell’opera che porta il titolo della mostra, nella Sala delle Megalografie di età tardo-antica. In essa si scorge nitidamente una scena di guerra del conflitto in Palestina, associata ad una descrizione del pianeta Marte fornita dalla NASA; quel pianeta che trae il nome dal dio della guerra.

L’artista costruisce assemblage ove le tele, esposte su esili leggii neri e spesso dipinte anche sul retro, come a custodire un segreto, manifestano riproduzioni trovate in cataloghi di libri d’arte, riviste, giornali, rapporti scientifici e altro ancora. L’abbondanza di rappresentazioni celesti è un riferimento al sistema solare, indifferente allo scorrere dei secoli e al trascolorare della storia. A suggerire che esiste un unico tempo, ossia quello dell’universo.

Tra le sale e i corridoi del Palazzo, gli spunti pittorici di Araujo vanno cercati come in una caccia al tesoro, in assenza di indicazioni. E, imbattersi in essi, comporta una piccola catarsi. Occorre calarsi entro un’atmosfera satura di enigmi con la curiosità di intendere le tele. I riferimenti a Cy Twombly, ai film di Antonioni, ai dipinti di Morandi e alle fotografie di Ghirri, agli dei Hypnos e Apollo.

L’arte di Araujo, astrale, apparentemente casuale, finemente oracolare, sembra vivere di una valenza onirica. “Un giorno ho visto la struttura di un pianeta e mi è sembrato un suggerimento perfetto per la mostra a Palazzo Massimo – ha spiegato l’artista – senza quasi saperne il perché. Ho cominciato a fare sovrapposizioni casuali: i pianeti e le opere del Museo. Il mio modo di procedere è un continuo rapporto tra razionale e irrazionale. Mi chiedevo: qual è il soggetto? ma poi dovevo abbandonare la razionalità”.

Come spiegato dal co-curatore Luis Pérez-Ormas, il lavoro di Juan è anche in stretto rapporto con la logica del frammento, con le cancellature. Quando un’immagine perde il proprio corpo fisico, l’artista si propone di ricostruirlo nel presente. Proprio come quando si osservano le stelle, luci del passato che si fanno presenti hic et nunc, unendo tempi e luoghi tra i quali corre un’immensa, sterminata distanza.

Il rapporto, caro all’artista, tra non finito e non conservato, si palesa appieno nella sala dedicata ai lussureggianti affreschi provenienti dalla Villa di Livia (I secolo d. C.). In questo spazio, Juan proietta sui giardini affrescati, l’effigie di una flora tropicale. È l’idea della sovrapposizione che ritorna. Il concetto della pittura sulla pittura, dal quale era nata la scelta originaria di dare all’esposizione il titolo “Eclisse”. Dietro la forza trasfigurante di Araujo si cela una diversa consapevolezza dello sguardo.

“Sono rimasto particolarmente impressionato dalla tecnica pittorica di Juan – ha aggiunto il Direttor Verger – lui è forse uno degli ultimi che dipinge così. Il suo è un tipo di pittura che comincia all’epoca di Augusto, continua nel Rinascimento e tocca l’Ottocento. È un modo non accademico, frutto dell’arte grafica”. Un linguaggio pittorico che, nel panorama odierno, lo rende sui generis ed eterno visionario. Alla ricerca di subconsce corrispondenze iconologiche ed occulte simmetrie cosmiche.