Il profilo della "Bella Addormentata" al tramonto. Foto Roberto Sala

Il progetto artistico del paesaggio

Possiamo in qualche modo accorgerci del declino della cultura in cui stiamo affondando attraverso qualcosa di concreto, e non soltanto con quei discorsi che spesso rimangono inascoltati? Probabilmente sì, e la risposta è nel paesaggio

1. Lo sappiamo: la profonda crisi dentro cui l’umanità è imprigionata ha risvolti preoccupanti. Se ci limitiamo soltanto ad analizzarla per opporre una critica, o a rielaborarla per raggiungere dei miglioramenti, compiremo unicamente un piccolo passo. Tale crisi, piuttosto, deve essere letta come una rivelazione: quella del fallimento di un paradigma che ha reso l’esistenza un “luogo” invivibile.
Senza riscoprire la spontaneità delle cose, gli enigmi e la semplicità del quotidiano – i quali lasciano sorgere in noi il sentimento della meraviglia (e dunque l’origine del sapere) –, non riusciremo a proporre scenari innovativi. 
Per avanzare un tentativo (che non si pone affatto come soluzione), forse sarebbe necessario cominciare a sospettare dell’apparente robustezza del sistema di significati in cui ci troviamo, o addirittura rinunciare a ritenerlo valido, e percorrere un sentiero di ricerca che ridoni dignità a quei vari concetti racchiusi in un sostantivo pregno di una grande dimensione etica: il paesaggio1

2. Del paesaggio, ed è con un tono di vergogna che lo ammetto, non abbiamo una storia filosofica lineare. Per alcune fonti è invenzione recente; per altre si perde nella storia. 
Quello che qui ci importa è che, in una formulazione di tipo contemporaneo, il paesaggio dovrebbe essere intuito un po’ come il mito per il filosofo antico: ovvero una narrazione fuori dal tempo, in cui l’uomo è circoscritto in un quadro misterico. La sua contemplazione, invece, dovrebbe avvenire a mo’ di teatro vivente2 e contenitore dei viventi, aprendo così all’uomo due aspetti fondamentali: il primo è che il paesaggio, data la sua indicibilità, implicherebbe a chi lo percepisce un atto d’umiltà, di cui l’umanità pare sprovvista poiché dedita all’egocentrismo; il secondo inviterebbe l’uomo a riscoprire, mediante la bellezza che il paesaggio possiede, la manifestazione in unità di quei complessi elementi (biotici e abiotici) che, interagendo tra essi, compongono il senso di ciò che identifichiamo come “natura”. 

3. Riguardo alla dimensione etica del paesaggio di cui accennavo poco fa, c’è un ulteriore punto da sviluppare. Ed è all’arte che ci appelleremo3. Il paesaggio, oltre ad avere una sua autonomia, poiché sceglie indipendentemente dall’uomo ciò che “desidera” (in quanto sottoposto alle leggi entropiche), chiaramente è in parte anche trasformazione umana. In quanto trasformazione, è assimilabile a un “campo” nel quale penetrano le attività umane; attività che dovrebbero avere, della preservazione della vita in generale, il loro fine. 
Ora, osservare con attenzione i suggerimenti che il paesaggio oggi ci offre potrebbe costituire una chiave di lettura in grado di restituire alle attività umane il ruolo che gli spetta? Mi auguro di sì, dacché un paesaggio esteticamente e biologicamente sano è metafora di un’umanità felice, accompagnata da una buona etica.
L’intervento che il paesaggio si aspetta da noi (assurda personificazione di qualcosa che è, comunque, un essere vivente) non può che avvenire in modo artistico. Questo tipo di intervento, però, sarà possibile soltanto nella misura in cui l’uomo comprenderà non quali siano le modalità corrette di imitazione della natura, come recita una vecchia “regola”, bensì quali connessioni favorire e quali concessioni la natura permetta, affinché l’uomo sia in grado di assestarsi verso un giusto adattamento. Questa è, credo, l’esigenza di una progettazione artistica. 


1 Per un approfondimento, cfr. M. Venturi Ferriolo, Etiche del paesaggio. Il progetto del mondo umano, Editori Riuniti. 
2 Consiglio fortemente la lettura di questo testo: E Turri, Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Marsilio. 
3 Cfr. R. Milani, L’arte del paesaggio, Il Mulino. 

Dario Orphée La Mendola

Dario Orphée La Mendola, si laurea in Filosofia, con una tesi sul sentimento, presso l'Università degli studi di Palermo. Insegna Estetica ed Etica della Comunicazione all'Accademia di Belle Arti di Agrigento, e Progettazione delle professionalità all'Accademia di Belle Arti di Catania. Curatore indipendente, si occupa di ecologia e filosofia dell'agricoltura. Per Segnonline scrive soprattutto contributi di opinione e riflessione su diversi argomenti che riguardano l’arte con particolare attenzione alle problematiche estetiche ed etiche.