Il Padiglione deve essere (ri)costruito!

Circolano voci su chi potrebbe essere il nuovo presidente della Biennale di Venezia al posto di Roberto Cicutto, giunto a fine mandato. La più insistente vuole che l’onore e l’onere vada a Pietrangelo Buttafuoco, scrittore e intellettuale destrorso, nonché esperto di teatro: una di quelle figure “di mediazione” che potrebbero fare al caso di quell’affollato crocevia di discipline differenti, dal cinema alla danza, che è diventata l’istituzione Biennale.

A Buffafuoco, a o chi per lui, toccherà affrontare mille questioni, dalla (teorica) necessità di abbattere le barriere tra le diverse arti alla (pratica) esigenza di regolare gli appetiti di investitori privati che approfittano della rassegna per pubblicizzare il proprio marchio. Magari ci riuscisse! Un buon inizio potrebbe essere mettere in atto il motto che, al costo di apparire un po’ ridicolo, mi ostino a ripetere da un pezzo: “Il Padiglione deve essere (ri)costruito!” Quale Padiglione? Ma è ovvio, quello ai Giardini da cui siamo stati cacciati decenni addietro da Szeeman; rappresentanza nazionale ripristinataufficialmente solo nel 2009 in uno spazio all’Arsenale che, seppur esteso, rifletteva e riflette la sua posizione all’interno della mostra: marginale. Una posizione attestante come più chiaramente non si potrebbe il ruolo che l’arte contemporanea ha oggi in Italia. Lo so, usare l’aggettivo “nazionale” suona strano. L’interpretazione più diffusa vuole che “nazione” sia un prodotto artificiale, destinato a scomparire. E tuttavia, come ha di recente ricordato Alessandro Campi, il vento della storia sta cambiando: “La guerra che l’Ucraina combatte (e che noi sosteniamo) ha una radice essenzialmente nazionalistica. La pandemia a sua volta ha comportato ovunque il risveglio di un senso dell’appartenenza e della solidarietà in chiave nazionale che peraltro è sempre stato più forte di quanto certi politici o intellettuali credano. Ovunque nel mondo sale inoltre – come reazione alla globalizzazione – la richiesta di autonomia e indipendenza in chiave nazionale”. E dunque che facciamo, cantiamo l’inno di Mameli? Lo so è assurdo. Ma il mondo dell’arte è ormai a tal punto lo specchio di un’élite globalizzata che ha sostituito al potere degli stati il proprio, ergendosi a padrona della nostra vita, che potrebbe persino consolarci dell’eliminazione ai mondiali. Ne sa qualcosa Alex Caminiti: il suo Orbitale madre, un progetto di Padiglione Italia da collocare ai Giardini, ha i colori dell’Italia. Lanciamo una petizione o l’esempio può bastare?