Silvia Camporesi, Il paese che emerge #2, 2020. Inkjet print su fine art paper su dibond con cornice NielsenNatura34 e vetro, cm40x65, Ed5 2AP

Forzare il paesaggio – Silvia Camporesi

In mostra alla z2o Sara Zanin Gallery troviamo un progetto intitolato Forzare il paesaggio, della fotografa forlitana Silvia Camporesi, curato da Angel Moya Garcia, tra le altre cose responsabile dal 2020 della programmazione culturale del Mattatoio romano.

I progetti di Camporesi sono sempre caratterizzati da una sfrenata curiosità che si mescola ad una sensibilità sopraffina. Questa alchemica pozione, che come tutte le cose alchemiche necessita di un forte equilibrio, fa si che lo spettatore dei suoi dispositivi artistici, senza neppure accorgersene, mosso da interesse e stupore, tra memorabile (oggetto dell’apprendimento) e indimenticabile (oggetto della percezione pura), come rifletteva Agamben, si ritrovi con gli occhi dell’esploratore-sognatore ad indagare una realtà relativa e affascinante. Realtà filtrata dalla macchina fotografica dell’artista, che quindi accoglie un punto di vista immutabile, ma che proprio grazie a questo si carica di quel percepibile in più che rende la pozione equilibrata, sconfinando nell’estetica. Questo progetto, in tal senso, non è da meno.

L’operazione si divide in tre parti, ognuna prende in considerazione un luogo italiano diverso, legato agli altri due dal fatto di mescolare alla sua realtà qualcosa di inusuale. Di essere antropologicamente surreale, per usare una parola intraducibile perfettamente in italiano: di essere weird. Di rappresentare, inoltre, la linea di confine sottilissima tra realtà e finzione, oltrepassata a volte della specie umana, nonché un’indagine ai margini della consuetudine visiva tra immaginazione e concretezza dell’esistente.

La prima stanza è dedicata all’isola delle Rose, una piattaforma artificiale di 400 metri quadri sorta a largo delle coste riminesi, nel Mar Adriatico, al di fuori delle acque territoriali italiana, nel 1968. Frutto dell’utopia borghese dell’ingegnere Giorgio Rosa, quest’isola artificiale si era proclamata Stato, con una lingua ufficiale, l’esperanto, un suo governo ed una sua moneta. Fu occupata dalle forze di polizia italiane circa due mesi dopo la sua genesi, e demolita meno di un anno dopo. La strana vicenda, da poco messa in scena anche in un film diretto da Sydney Sibilia, mostra un tentativo di “urbanizzazione” marino, nonché, purgata da tutta l’inconsistenza socio-politica, l’incipit perfetto di una fiaba.

Nella seconda stanza, invece, entriamo in contatto con la realtà di Viganella, comune piemontese di 200 abitanti, che per 83 giorni all’anno si trova in totale assenza di sole a causa della montagna antistante. Per ovviare a questo problema fu costruito un grande specchio di 40 metri quadri che permise la riflessione della luce del sole sul paesino, in questi 3 mesi di oscurità. L’eccezionale specchio, sostituto e riflesso del sole stesso per gli abitanti di Viganella, ha qualcosa di incredibile e fantascientifico, un vero e proprio simulacro funzionale.

Infine, nella terza stanza troviamo il paese toscano di Fabbriche di Careggine. O meglio, il paese fantasma, in quanto fu abbandonato nel 1947 per poi essere sommerso dalle acque del lago artificiale di Vagli, formatosi a seguito della costruzione di una diga idroelettrica. Il paese è riemerso solo 4 volte dal suo inabissamento, in occasione delle manutenzioni della diga, e l’ultima volta fu nel 1994. È chiaro che anche in questo caso ci sia dell’incredibile nelle memorie, i ruderi, di questa piccola, moderna Atlantide toscana.

Come si evince dalla storia dell’isola delle Rose e di Fabbriche di Careggine, questi luoghi sono naturalmente impossibili da fotografare, in quanto il primo è distrutto e il secondo è sommerso. Per questo l’artista li ricrea attraverso dei modellini successivamente fotografati. Le operazioni, a differenza di quella di Viganella, hanno quindi un’ulteriore traduzione, un ulteriore filtro che è il modellino, successivamente rifiltrato dalla fotografia.

Queste rappresentazioni di 3 forzature del paesaggio, che mettono in mostra luci ed ombre di un’antropizzazione connotata da uno spirito demiurgico non indifferente, modificatore delle sorti di questi spazi, sono anche chiaramente forzature della fotografia, materia prima dell’esposizione ma non esclusiva, che tra documentario e sensibile si pone come “gancio” dell’esperienza, né come esperienza stessa né tantomeno come sua rappresentazione.


Silvia Camporesi
Forzare il paesaggio
a cura di Angel Moya Garcia
dal 16 novembre 2020 al 11 gennaio 2021
Z2O – Sara Zanin Gallery
Via della Vetrina, 21 – Roma
Orario: dal lunedì al sabato 13-19 
tel: 06 7045 2261
info@z2ogalleria.it
www.z2ogalleria.it