Luigi Snozzi 1932-2020

Luigi Snozzi si è spento a all’età di 88 anni a Minusio (Canton Ticino) lo scorso 29 Dicembre.

Mi piace definire la città come ‘la patria naturale dell’uomo’. La città non è altro che il risultato delle enormi fatiche umane durante migliaia di anni, per trasformare la natura in cultura. Quando si costruisce una casa, un edificio, è quindi necessario tenere presente questo rapporto costante con la città. In che modo, dipende molto dal tema e dal luogo; è sempre la città che offre l’avvio per il progetto.

Luigi Snozzi 2008

Nato a Mendrisio nel 1932, ha studiato architettura al Politecnico di Zurigo dove ha poi intrapreso una lunga strada della docenza insegnando al Politecnico di Losanna, alla facoltà d’Architettura dell’Università di Trieste e, dal 2002, alla Facoltà di Architettura di Alghero, dove è rimasto per dieci anni.

Ha condiviso la sua attività di architetto, con personalità di rilievo della cultura ticinese: dopo le prime esperienze negli studi di Peppo Brivio e di Rino Tami, nel 1958 apre il suo primo studio a Locarno e nel 1962 si associa con Livio Vacchini, con cui rimarrà fino al 1971. Dal 1975 al 1988 lavora a Zurigo con Bruno Jenni, per poi spostarsi a Losanna. Ha inoltre collaborato con Mario Botta, Tita Carloni e Aurelio Galfetti.

Nel 1973, a Zurigo conosce Aldo Rossi, invitato quell’anno ad insegnare al Politecnico; questo incontro avrà un’importante incidenza sulla formazione teorica di Snozzi, in particolare sugli studi dell’architettura della città: la ricerca sugli elementi permanenti deve prevalere sull’effimero delle funzioni che si trasformano nel tempo.

Il suo interesse per gli studi urbani lo porta ad assumere una posizione radicalmente critica verso quei processi politici decisionali di gestione del territorio che separano in modo netto la pianificazione urbanistica dalla progettazione architettonica: ne sono testimonianza i progetti manifesto, mai realizzati, per Brissago, per Braunshweig in Germania, e, in particolare, per la Delta Metropolis in Olanda dove è la fisicità dell’architettura, la sua forma, a rispondere alle problematiche della scala territoriale. “Architetto occupati della forma, in essa ritroverai l’uomo” (L. Snozzi, aforisma, 1973): il significato etico e politico che Snozzi attribuisce alla professione sfocia in una grande fiducia verso l’autonomia disciplinare dell’architettura, come unico modo per avere un’influenza efficace sulle diverse sfaccettature della società.

Le sue opere più emblematiche, come la riqualificazione del nucleo storico di Monte Carasso, la Casa Kalman a Brione (1974-76), Casa Snider e Cavalli a Verscio (1976-78), Casa Bianchetti (1975-77) ci rimangono come testimonianza della sua forte passione verso il mestiere dell’architetto, che ne ha fatto uno degli ultimi veri artigiani della costruzione dell’architettura.