Paolo Portoghesi

È scomparso l’architetto Paolo Portoghesi

Questa mattina, nella sua casa a Calcata in provincia di Viterbo, è scomparso, all’età di 92 anni, l’architetto romano Paolo Portoghesi, uno dei massimi esponenti del Postmodernismo in Italia. Una profonda perdita per il mondo dell’architettura, e non solo: con Portoghesi scompare l’ultimo dei grandi piloti dell’architettura italiana del secondo Novecento, dopo Vittorio Gregotti, Manfredo Tafuri, Bruno Zevi.

Figlio di un ingegnere, Portoghesi crebbe nel rione Pigna, all’interno del cuore di quella Roma barocca che diventerà, per l’architetto romano, la sua prima fonte di ispirazione, nonchè oggetto instancabile dei suoi studi. Pubblicò, infatti, fin da giovane, saggi su Francesco Borromini, del quale divenne uno dei massimi esperti. Fu autore di molteplici volumi sulla Roma barocca e rinascimentale, occupandosi, per esempio, della figura di Guarino Guarini.

​Nella personalità instancabile di Portoghesi – stava dedicando questi ultimi periodi di vita alla scrittura di un nuovo libro sulla bellezza – si compenetrarono sempre, in una fusione naturale, assidua e ininterrotta, l’attività professionale, l’impegno didattico e una fervida riflessione teorica, che procedeva oltre l’ambito strettamente architettonico, toccando l’arte, la scultura, il cinema.

​L’architetto si laureò, nel 1957, presso l’Università di Roma “La Sapienza”, dove insegnò Storia della critica dal ‘62 al ‘66, collaborando con Bruno Zevi per la mostra di Michelangelo architetto. Continuò la sua carriera didattica presso il Politecnico di Milano, dove tenne il corso di Storia dell’architettura, dal ‘67 al ‘77, e divenendo inoltre preside per qualche anno. 

​Nel 1969 fu direttore, fino al 1983, della rivista «Controspazio». Fra le altre riviste, delle quali si occupò nel corso degli anni, citiamo «Materia» (1999) e, dal 2001, «Abitare la Terra».

​Preziosi furono i contributi di Paolo Portoghesi alla Biennale di Venezia: nominato direttore del Settore Architettura nel 1979, l’architetto incaricò Aldo Rossi di realizzare il Teatro del Mondo. Ormeggiato sulla Punta della Dogana nel Bacino di San Marco, si trattava di un vero teatro galleggiante, che navigò fino a Dubrovnik e che accolse gli spettacoli della Biennale Teatro, diretta da Maurizio Scaparro. Nell’estate del 1980, l’architetto fu il curatore della prima edizione della Biennale di Architettura di Venezia, divenuta autonoma, rimasta celebre per la leggendaria esperienza corale Strada Novissima. Per l’occasione, vennero invitati 20 architetti, fra i quali Frank O. Gehry, Rem Koolhaas, Hans Hollein, Franco Purini, Costantino Dardi, Arata Isozaki, Robert Venturi, chiamati a realizzare, in un percorso di 70 metri nelle Corderie dell’Arsenale, una strada a grandezza naturale, definita da fronti di edifici e palazzi: la volontà era quella di riflettere collettivamente circa nuovi modi di pensare e dialogare con l’architettura. Portoghesi rimase presidente della Biennale fino al 1992.

​Fin dagli anni ‘60, l’architetto aprì il suo studio insieme all’ingegnere Vittorio Gigliotti, morto nel 2015, con il quale si troverà coinvolto in moltissimi lavori progettuali. Ricordiamo, fra le opere principali: Casa Baldi (1959), progetto in grado di legare le sue radici al luogo e alla storia; Casa Papanice a Roma, costruita a metà degli anni ‘60 e divenuta sfondo di molti titoli di commedie all’italiana – pensiamo alla Gelosia di Scola con Monica Vitti come protagonista -; alcuni complessi residenziali dell’Enel di Tarquinia; l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila; il restauro della piazza della Scala a Milano. Portoghesi costruì anche all’estero: studioso e appassionato di cultura islamica, ricordiamo la moschea di Strasburgo o il Palazzo dei Reali di Giordania ad Amman. Ascoltiamo, tuttavia, le parole stesse dell’architetto, quando, intervistato qualche anno fa all’ANSA, affermava: “dovendo scegliere tre opere che mi rappresentano, indicherei la chiesa della Sacra famiglia a Salerno, la piccola chiesa di San Cornelio e Cipriano a Calcata e la moschea di Roma. Ma i progetti sono un po’ tutti figli, ogni tanto li vado a trovare”.

​Negli anni ‘90, ritiratosi nella sua dimora a Calcata, dove continuò a studiare e lavorare, Paolo Portoghesi si dedicò a quel che egli stesso definì geoarchitettura, le ragioni della quale sono da rintracciare nella volontà di combattere i rischi di ciò che sta avvenendo in tutto il mondo, a causa della globalizzazione. L’architetto ci ricorda la responsabilità di ciascuno nell’avere cura non solo del pezzo di terra sul quale si lavora, ma dell’ambiente fisico intero, al quale apparteniamo. Tuttavia, l’attenzione al rapporto fra architettura e natura ha radici più lontane: durante un dialogo con Monica Mondo, sul canale di Tv2000, Portoghesi racconta che “già dagli anni sessanta, sono impegnato in questo fatto, cioè nello spiegare agli architetti che qualunque idea loro abbiano, esiste già, in un certo senso, nella creazione. Se loro osservano attentamente la creazione, capiscono che lì c’è da imparare fino alla fine, qualunque cosa. L’originalità è un mito.” 

​Testimoni dell’insostituibile insegnamento di Paolo Portoghesi, vogliamo ricordare infine lo specifico ruolo che egli conferiva all’arte, la quale è in grado, ascoltando le sue parole, di battersi per la libertà di tutti, e non solo di chi detiene il potere. Una libertà che può esplicitarsi ancora attraverso il coivolgimento e la partecipazione, fattori fondamentali per il nostro futuro e per la città di domani, affinché sia possibile giungere nuovamente “a un momento in cui ci sia piena sintonia fra l’arte e la vita della città”.

casa Papanice, veduta esterna, crediti foto: Oscar Savio

Dai ricordi di Umberto Sala

Per Paolo Portoghesi (!931-2023)

Lo abbiamo conosciuto nella sua prima direzione della sezione architettura, abbinata alle arti visive della Biennale di Venezia del 1980, ma più propriamente apprezzato nella successiva prima direzione autonoma della Biennale Architettura del 1982. Nella foto di P.Licitra, “Le torri astruse” un particolare dell’allestimento di Portoghesi per la mostra “In labirinto”  al Palazzo della Permanente a Milano nel 1982 e commentato da Laura Cherubini su Segno 22  dove  “ il concetto di labirinto è accostato a quello di città da Portoghesi, che ha rilevato come dalla riflessione sui meandri labirintici dovrebbe nascere un invito a pensare più alla struttura urbana in termini più complessi e legati alla tradizione della memoria culturale e antropologica”.