Inaugurata lo scorso 16 giugno, Displacement, collettiva a cura di Giacomo Guidi visibile al Contemporary Cluster [Collective Intelligence] di Roma fino al prossimo 29 luglio, porta in esposizione, all’interno delle sale di Palazzo Brancaccio, lavori di Jonas Fahrenberger, Aythamy Armas Garcia, Nils Jendri, Wide, Nicolò Masiero Sgrinzatto, René Wagner, David Von Bahr.
Il termine riportato in sede di titolazione rimanda, da una parte, all’utilizzo che viene fatto della parola nello slang americano, impiegata in riferimento a un forte stress inaspettato, mentre, dall’altra, evoca un senso di trasfigurazione; un cambiamento improvviso e drastico. Simultaneamente, “displacement” rinvia alle nozioni di dislocazione e distorsione, messe in pratica, negli argini dei rispettivi linguaggi, dagli artisti inclusi nella mostra, invitando anche il fruitore a seguire gli effetti di questo slittamento, dove elementi e stilemi si vedono trasposti dai loro contesti ordinari, per ricodificarsi sotto nuove espressioni.
A raccordare ulteriormente le personalità comprese nel progetto, vi è la vicinanza all’universo del Post vandalism; una corrente artistica, piuttosto recente, prima sorta e poi sviluppatasi più generalmente in Nord Europa. Si tratta di un orientamento che affonda le proprie radici nei terreni disciplinari del Graffitismo e dell’Arte Urbana, che riformula le peculiarità stilistiche di queste tendenze antecedenti, traslandole, inoltre, dalla strada alla tela, dall’aperto del sito urbano al chiuso dell’ambiente di mostra. Questa riconfigurazione di lessico visivo è effettuata dagli autori percorrendo o le vie dell’astrazione, ora declinata negli spartiti di una pittura gestuale dai forti contrasti cromatici – come per Von Bahr, Jendri – insieme a una matrice segnica – soprattutto Armas Garcia – e ora tradotta tridimensionalmente nel caso delle sculture della serie Gnaro di Masiero Sgrinzotto, oppure manifestando una certa sensibilità verso la cultura mediale e mediatica, parafrasata attraverso il prelievo – in particolare per Wagner – dal mondo pubblicitario, fino a ripristinare – come in Wide, Fahrenberger – la figura all’interno dell’opera.
Assecondando tali accenti, la cerchia di lavori proposta, sia sulla base delle tecniche adottate che dei soggetti o dei contenuti veicolati, complessivamente, giunge ad argomentare una pluralità di aspetti della nostra attualità, tanto appannaggio dello stato dell’arte corrente quanto di quello relativo al nostro presente storico e sociale. A collegare i lavori degli artisti, difatti, più che una tecnica o una tematica – troppo spesso imposte pretestuosamente – sembra essere la considerazione condivisa dell’opera d’arte quale luogo colto di sovversione; sia che questa guardi alle criticità dell’odierna civiltà ipermediatica, sia che persegua il tentativo di infondere un principio di rinnovamento nei ranghi di una specifica grammatica estetica. Lo stesso senso di ribaltamento, sconfinamento e dislivello sotteso, con attinenza, dal titolo della mostra.