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Liliana Porter, To Fix it, 2017 courtesy Espacio Minimo, Madrid

Autorità e cattive influencer

In risposta all’articolo di Luca Beatrice sugli art influencer, una riflessione satirica che prende a sberle se stessa tentando di svegliarsi dal torpore intellettuale in cui la contemporaneità è crollata

Non ho resistito. Io con ‘ste cose trash mi sciolgo. Che ci posso fare? Per spiegarmi: quando ho visto la D’Urso illustrare in che modo lavarsi le mani, be’, mi sono commosso; o quando l’innominabile politico ne ha detta una che, sbam!, ha fatto crollare la logica aristotelica, sì, ho tremato. 

Meno male che la gente in Italia studia male e si beve di tutto, altrimenti organizzerebbe una petizione su change.org per la riapertura dei manicomi nei quali ricoverarsi e condurre una vita eremitica, molto più stimolante di quella in società, fogna della civiltà. Vabbè, ora ti racconto. E sarò noioso. 

Ero a coltivare i c***i miei al solito bar di Catania, un’ora prima dell’inizio di una conferenza stampa che s’è rivelata penosa. Stavo leggendo Cronaca Vera e, in pensiero per la sorte dei professori universitari catanesi colpiti dal covid-19, ho aperto Facebook alla ricerca di qualche info. Mi è apparso un post, pubblicato da Ivan Quaroni, riportante un articolo di Luca Beatrice (non l’ho visto direttamente da Beatrice perché il critico non ha accettato la mia richiesta di amicizia – forse ha creduto, a ragione, che io sia un fake – ). 

Del post mi ha incuriosito la lunga lista di commenti, più che l’articolo in sé. Difficilmente leggo articoli scritti da critici contemporanei (se ne leggi uno, li hai letti tutti). Preferisco articoli scientifici, Lercio, Dagospia, Chi o racconti sul giardinaggio dei vari blogger di WordPress. Tuttavia, odiando gli influencer, e odiando in generale coloro che trattano l’arte come fosse una escort, un mobile, una polizza assicurativa, l’articolo l’ho aperto e l’ho anche letto. Proprio così. 

Impressioni? Non l’ho compreso. «E allora, se non l’hai compreso, perché ne scrivi?». Oh, che ne so. Forse mi va di ragionare a voce alta, forse mi va di interrogarmi. 

Non l’ho compreso un po’ perché ho fatto fatica a scorgere la parte testuale, tra vari banner pubblicitari che affioravano a destra, a sinistra, in basso, in alto (nella foto puoi controllare da te, se dico farfanterie), e un po’ perché non ho trovato differenze tra il tema trattato e i “personaggi” di cui il critico juventino avanza la sua analisi.

Ovviamente sono consapevole che l’intento concettuale di Beatrice sia lo stesso intento concettuale del quotidiano in cui scrive. Ed è lecito che egli pretenda una restaurazione di un certo conservatorismo nella vita, e di riflesso anche nell’arte, i quali sono entrambi irrimediabilmente perduti, diretti all’epilogo, vista la quantità di nuove entropie economiche ampiamente profetizzate da Nicholas Georgescu-Roegen, di figure pseudo-professionali entrate nel mondo del lavoro come i più terribili parassiti che la meravigliosa natura ci offre, di disastri qua e là ecc. 

Tuttavia a me pare che Beatrice e gli influencer (questi ultimi, date le ultime vicende, farebbero bene a mutare nome) parlino la stessa lingua: soldi, soldi, soldi. Non arte. Cioè, non solo arte. Bensì soldi, soldi e ancora soldi prima di parlare di arte. (Mi pare che l’arte arrivi sempre alla fine, dopo aver tradotto il valore di un oggetto in cifra. O non è stata questa l’arte finora?). 

Ciò che Beatrice mette sulla brace, nel suo articolo, è però di fondamentale importanza. Egli in fondo sta ponendo una questione millenaria, quella dell’autorità. Esattamente, autorità (è lì che tutto gira, con i soldi). 

E astraendo dall’arte, in cui ogni discorso inizia e finisce, e astraendo dagli influencer, che tirano a sé la creduloneria della gente, non sarebbe male se cominciassimo a ragionare – dopo tre millenni di storia – su cosa significhi autorità culturale e scientifica, e accoglienza e negoziazione di essa, senza confonderla con il potere, con il controllo delle idee: perché questa è stata l’autorità, e non ci è andata molto bene. E no! (Ragionando sull’autorità,  distruggeremo l’intera classe dirigenziale della Penisola, non credi?).

Ho lasciato alla fine gli influencer, tanto poco li stimo. Non me ne vogliano: non ce l’ho con loro, ma con quello che loro non sanno di essere, con i danni che non immaginano di provocare, edulcorando un modello esistenziale basato sull’economia, sull’autorità deviata appunto… elementi di cui l’arte da sempre non è stata che il piedistallo colorato, effervescente, chic. 

Progressisti sterili, sicuramente acculturati, mai sprovveduti, fautori dell’insostenibilità ecologica, accumulatori di denaro, perfetta sintesi tra vacuità spirituale ed esteticità del linguaggio e del corpo, gli influencer sono tutto quello che il liberismo ha sempre sognato, la sua utopia concreta.

Oggi, piuttosto che influencer o intellettuali, occorrerebbero autorità che siano in grado di destabilizzare quanto il paradigma economico ha creato, e non autorità il cui desiderio è congelare un sistema in cancrena, siano essi critici, influencer o addestratori di conigli. 

Lo so che le mie posizioni sembrano defecate da un tizio sotto steroidi. Di fronte l’apocalisse in cui siamo, in realtà, dovrebbero apparire banali, scontate. Però è presto, troppo presto parlarne, perché l’abitudine al consumo è difficile togliercela di dosso. Per ora godiamoci vuote parole per parole al vuoto. 

Nel dubbio, riprendo in mano gli strumenti tradizionali del sapere: le rubriche zozze delle riviste di gossip. Sto facendo una comparazione tra Alfonso Signorini e Hans Ulrich Obrist. Chissà cosa scriverò. Ti faccio sapere. 

https://m.ilgiornale.it/news/spettacoli/l-art-influencer-influenza-davvero-pochissimo-1834580.html

Dario Orphée La Mendola

Dario Orphée La Mendola, si laurea in Filosofia, con una tesi sul sentimento, presso l'Università degli studi di Palermo. Insegna Estetica ed Etica della Comunicazione all'Accademia di Belle Arti di Agrigento, e Progettazione delle professionalità all'Accademia di Belle Arti di Catania. Curatore indipendente, si occupa di ecologia e filosofia dell'agricoltura. Per Segnonline scrive soprattutto contributi di opinione e riflessione su diversi argomenti che riguardano l’arte con particolare attenzione alle problematiche estetiche ed etiche.