“Ci troviamo presi in segmenti di divenire,
tra i quali possiamo stabilire una specie
di progressione apparente: divenire-donna, divenire-bambino,
divenire-animale, vegetale, o minerale;
divenire-molecolari di ogni specie, divenire-particelle”.
Gilles Deleuze e Felix Guattari, Mille piani: capitalismo e schizofrenia
“Per divenire, si ha bisogno di un genere o di un essenza
(di necessità sessuata) come orizzonte. Altrimenti il divenire rimane
parziale e assoggettato. Divenire parti o multipli senza
futuro proprio, porta a rimettersi all’altro e all’Altro dell’altro per
la propria riunificazione. Divenire significa realizzare la pienezza di ciò che
possiamo essere. Questo tragitto, certamente, non è mai terminato”.
Luce Irigaray, Sessi e genealogie
Premessa generale al racconto: Una breve nota confidenziale per il probabile lettore non specialista, che è il primo destinatario di questa raccolta di parole. L’autore teme che si possa trovare disagio, e anche un senso di estraneità, di fronte alle sottili questioni critiche trattate narrativamente nei primi due momenti su Marina e Ulay e nell’ultima parte sulla “metrica dell’indifferenza”. Spera di essere perdonato quando negli altri tessuti del discorso si troverà forse un andamento più discorsivo e affabile, consiglia comunque di non perdere l’occasione di rileggere, raccolta nei simboli della narrazione mediale, la ricca campionatura, dalla Costola di Adamo come Androginia possibile, dell’affascinante meditazione PA-ULA-Y sull’infinito.
Capita spesso di incontrare coppie artistiche, in cui gli autori prendono il loro diario, le loro esperienze di vita e, cambiando qualche nome qua e là, confezionano storie. Ma questo gesto appare comunque quel che è: un sommario di una performance, la scelta di un corpo, la testimonianza di un dialogo, che può anche far scattare l’indifferenza nel fruitore di fronte ai fatti assolutamente personali (e naturalmente: il personale è politico come direbbe il femminismo della generazione di Marina e di Ulay). In altri casi, a salvare la storia di una vita, vi è una grande capacità dell’esperienza individuale del corpo dell’uno e dell’altro, così come l’effettivo distacco è disinnescato dalla gradevolezza della fruizione, ma in ultima analisi resta, solo e unicamente, una prova d’autorialità. In questo per Marina e Ulay, Adamo e Costola, riescono invece a raccontare una vita tra vite: ovvero l’androginia mascolina di Marina e la transcorticalità o la trans-costolarità di Ulay. Anzi il loro giro di vite, attraverso metaperformazioni ed esperienze assolutamente particolari, spesso inconfessate da parte di Ulay, così come del tutto raccontate da parte di Marina-Adamo, ponendosi su di un piano di universalità e di differenza e di matura capacità artistico-concettuale, sensi e controsensi innati e capovolti, ma anche messa in campo costante, spasmodica, di azioni, sensazioni e visioni, coniuga correspondance(s) per leggere tormenti fisici ed esistenze di una vita irrequieta.
“Eva costola di Adamo … Ulay costola di Marina”, scritto da Gabriele Perretta all’indomani dei conflitti e delle riappacificazioni tra la coppia di artisti, già pubblicato su Rivista Segno.eu (con un omaggio a Alexander Trocchi e al suo romanzo Youg Adam, 1954) è riproposto oggi su Segnonline, in memoria dell’amico Ulay (scomparso il 2 marzo scorso a Lubiana). Il racconto è strutturato attraverso tranche de vie: la metamorfosi di Adamo, lo stereotipo dei ruoli, la morte della liberazione della coppia artistica, il vissuto familiare come condanna destinale. Ma il racconto metonimico è anche un testo ricco di riferimenti simbolici e ironici su un’artista che passa nel dimenticatoio dopo il successo di Marina. Elegantemente, la ripubblicazione di questa narrazione mediale, come viene chiamata nella ristampa in in.finite vie di toni (Affinità Elettive, Ancona, 2019), si spinge fino alle verticalizzazioni più ardite, agli accostamenti più inusuali, al gioco di contrasti più netto, fra lo spirito veracemente androgino di Ulay, il principuium individuationis della rottura di genere e la malinconia contemplativa del corporis desiderio sunt.
Attraverso la ricostruzione dei luoghi timici e satirici, le banalità di base e le sciocchezze straordinarie del quotidiano, l’analisi delle figure dello spazio conflittuale e della differenza delle percezioni, gli occhi dei protagonisti, gli sguardi ibridati di come Ulay scorge il peso della costola, insegue l’ipotesi “passeggiante” di un effetto plurale e doppio. Ne emerge la costola come corpo diverso, un’eredità come movimento involontario o di un contraccolpo alla testardaggine di Marina, attraverso la proposta di una nuova traccia di co-relazione, uno spazio liminare in cui l’alterità della coppia di Adamo e di Costola-Ulay, possa giungere all’autonomia dell’arto che non sia più faglia di conflitto e intraducibilità di mondo; ma mondo che ricostruisce organo per organo tutto il corpo autonomo dell’artista. Da queste premesse Eva e Ulay innalzano il loro toccante e sentito dramma, o panegirico del Dramma della Coppia moderna. Perché la corrispondenza per questa singolare scrittura mediale sviluppata per PA-ULA-Y, oggi attraversata da migliaia di pagine FB, è l’apparizione improvvisa del due che proviene dalla costola, del discreto dissimile, dell’alterità. È un’autentica esperienza ontologica del senza tempo, un annuncio di continuità nell’istante. Nelle parole qui raccolte, lo spunto particolare, in apparenza contingente e limitato, da cui si vuole far emergere la complessa condivisione artistica post-sessantotto dei due autori, potrà trovasi in un particolare tema (Eva), o in una performance (Ulay), o in un singolo “in.finito” vie di toni (per la coppia), o in un incipit (per la narrazione o la trans-identità), o nel dono di preziosi gioielli (per la medialità), o nel confronto con altri autori, per distinguersi e rispecchiarsi (per Ulay nei confronti di Gina Pane, Alison Knowles, Laurie Anderson, Vito Acconci, Jürgen Klauke).
Marina Abramovic (Belgrado 1946) e Ulay (Uwe F. Laysiepen, Solingen, 1943). La collaborazione fra i due artisti, dalla metà degli anni Settanta, faceva seguito ad un periodo di studio e di attività artistica individuale, dove è Ulay ad individuare, attraverso la frequentazione dei Provo e la fondazione della Galleria De Appel, lo spirito della performance e dell’androginia fotografica. Dal loro incontro, a Amsterdam, inizia un lavoro comune, teso a far coincidere la vita quotidiana con la pratica estetica, che si svolgeva attraverso azioni molto intense, impostate su un’indagine di carattere psicologico ed energetico. Tra le varie performance la più nota è Imponderabilia (1977), realizzata a Bologna dove i due attori in scena attraverso una telecamera a circuito chiuso rilevano le reazioni del pubblico che passa attraversandoli. In Nightsea Crossing (1981) presentano un tavolo in cui invitano a relazionarsi con la loro identità Lama Tibetani e aborigeni australiani. In Positive Zero per molti mesi fanno esperienza nel deserto australiano. La loro consapevolezza artistica e sentimentale si conclude con un incontro sulla Muraglia Cinese, dopo una traversata della durata di un anno, provenienti da lati opposti.
L’arte contemporanea di Marina e Ulay, specialmente quella dell’intesa, conosciuta anche come sodalizio sentimentale, si accomuna all’androginia nel suo interesse per il transfugo del genere tradizionale. Questa favola ambigua propone una struttura a specchio, che prima si interroga sul processo di femminilizzazione del pensiero artistico e poi lo contrappone ai suoi stessi risultati post-performatici e galleristici, in Italia, in Europa e in una retorica lingua artistica extranazionale.
Nel pensiero artistico di Marina e Ulay, il femminile appare come una costola del maschile e viceversa, Eva e Adamo si scambiano e scambiandosi si normalizzano, ridefiniscono i ruoli per poi rientrare nei loro stessi personaggi memoriali. Per le loro visoni di genere si spingono e ci spingono dentro e fuori al genere. In un’ottica artistica, questo modello prescittivo viene percepito come un disagio dello stesso accoppiamento e ciò che colpisce è l’assenza di attenzione verso la donna e l’uomo reale, in quanto nuove immagini del femminile che tarda nel maschile e del maschile che tarda nel femminile. Si nota, quindi, un’utopia dell’androginia e un suo distacco crescente dalle donne artiste e dagli uomini artisti: il che avviene nel momento storico in cui essi, impegnati sia nella lotta per l’acquisizione di diritti fondamentali che nel progetto più ampio dell’affermazione della libertà e dell’autorevolezza androgina, performano per far sentire la loro presenza in ogni aspetto dell’esistenza e del pensiero, ma poi, in fondo in fondo collassano davanti a qualsiasi reale e definitiva metamorfosi. Il racconto conclude che le teorie della liberazione artistica contemporanea hanno come effetto immediato di indebolire le rivendicazioni, riducendo la performance in azione normalizzativa per un pensiero che, per quanto tendente all’androginia, resta maschile nelle sue strutture e nel suo immaginario. Perciò si ritiene che sia necessario una ridefinizione del soggetto androgino, sulla base di una differenza intesa come alterità scontrosa ed autorevolezza del soggetto etico. Questo racconto propone anche una valutazione critica delle varie suggestioni che tentano di valorizzare la realtà attuale della normalizzazione, e del fallimento dei progetti di genere che sono stati prodotti dall’arte, in questi ultimi quarant’anni. Seguendo la tesi che non c’è una sola immagine della differenza di genere, si afferma che ogni direzione di assolutezza da parte di una pratica artistica – quella di Ulay verso la definizione del maschio, quella di Marina verso la ridefinizione dell’artistar – è non solo arbitraria, ma appare anche in contraddizione col progetto della differenza come rispetto di tutte le differenze. Le dissonanze qui trattate, tramite l’enunciazione del fallimento normalizzante, così come si chiude il racconto, sono quelle che separano il pensiero dal percorso dell’opera nel sistema capitalistico dell’arte contemporanea. Ma c’è dissonanza anche all’interno di quel progetto politico e teorico, che ha cominciato puntando alla valorizzazione della diversità, a partire dall’affermazione della differenza, e poi si è arenato sullo scoglio del narcisismo estetico e dell’autoreferenzialismo economico di genere, che tra i due ha creato ulteriori meccanismi di contrasto. (Enrico Maria Sestante).
Omaggio a Alexander Trocchi e al suo Young Adam (1954)
“…Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta». Per questo l’uomo abbandonerà suo padre sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne…”.
(Genesi 2, 21-24)
“Il giorno del giudizio tutti saranno là, ma il giudice arriverà il giorno dopo”.
Franz Kafka
Narrazione mediale: Il giudice si accingeva a compiere l’ultimo atto che la legge gli imponeva, prima di concedere la separazione ai due giovani che sedevano di fronte a lui: doveva tentare un’ultima volta di far riconciliare i due.
«Da quanti anni siete sposati?» chiese il giudice.
«Sette anni» rispose Marina.
«Come mai siete giunti alla conclusione di separarvi?».
Rispose immediatamente Ulay:
«Perché la nostra è diventata – più che di performance – una
vita d’inferno, anzi un happening terribile. Non riusciamo a
vivere più di un giorno senza litigare».
«Non cèrto per colpa mia!» intervenne seccata Marina.
«Non solo per colpa tua, ma anche per colpa della tua famiglia».
«Prima di nominare la mia famiglia, lavati la bocca che non
sei degno di nominarla».
«Signori! Per favore, signori non trascendiamo. Avete la possibilità di esporre le vostre ragioni, purché lo facciate con calma ed usando un linguaggio degno del luogo in cui ci troviamo. Cominciamo da lei Ulay. Perché ha accennato alla famiglia della signora?».
«Perché è colpa di mia suocera se siamo arrivati a questo punto. Ora mi spiego. Ho sposato Marina perché l’amavo ed in principio ero felice di come andavano le cose. In verità già dai primi mesi di matrimonio si manifestarono i sintomi di mammismo da parte di mia moglie, ma io ero troppo felice per rendermene conto».
«E in che consistevano questi sintomi?».
«Un momento signora» disse il giudice rivolto a Marina «lasci terminare il racconto e, poi, avrà tutto il tempo che desidera per replicare. Prego, continui Ulay».
«Vede signor giudice, iniziò con delle sciocchezze. Le faccio un esempio: a me piaceva il pollo al forno, ma mia moglie lo cucinava sempre in umido; le chiesi il perché e lei mi rispose che la mamma le aveva detto che, cotto in quel modo, risultava più gustoso. Certo questa è una piccola cosa, ma indicativa di una certa mentalità».
«E che dire delle continue telefonate tra loro, quando nacque la prima performance e girarono il primo film insieme? Se c’era un problema, e trattandosi del primo video ogni cosa era un problema, se il Gallerista Olandese le chiedeva di accompagnarla da qualche parte era lesta a chiamare una vicina per affidarle le vendite e soffermarsi a fare l’happy hour col mercante di turno. La cosa che fece precipitare la situazione si verificò dopo i primi anni di vita coniugale e si è ripetuta regolarmente».
«Posso rispondere, signor giudice?» chiese impaziente Marina.
«Un attimo di pazienza, signora; signor Ulay la prego di concludere e di evitare di grattarsi il sedere»
«È presto detto, signor giudice. Come tutte le normali coppie, si bisticciava. Ogni volta che litigavamo, il mio Gallerista mi chiamava al telefono dandomi consigli e rimproverandomi per cose che poteva sapere solo se riferite da mia moglie. Questo non riuscii proprio ad accettarlo; io avevo sposato una donna e mi trovavo a dover combattere con due Galleristi e due Mercanti».
Queste parole fecero tornare alla mente al giudice i suoi primi anni di matrimonio. Ricordò le discussioni tra lui e la moglie e si domandò cosa sarebbe accaduto se sua suocera non fosse morta durante il suo terzo anno di matrimonio. Abbandonò questi pensieri ed invitò Marina a parlare:
«Signor giudice, non si faccia incantare da mio marito. Odia il mio Gallerista e, per questo, esagera nell’esporre i fatti. Non capisco cosa ci sia di male a raccontare i propri guai alla Galleria; lei mi vuole bene e quindi può darmi consigli giusti e imbastire meglio il mito di Attraversare i Muri».
«Ma non vuole certo bene a me» interruppe Ulay «e dà sempre ragione a te, anche se hai torto, perché io per lei sono un estraneo. Poi, scusa, tra marito e moglie c’è sempre un mezzo per rappacificarsi e perdonarsi; quando interviene un mercante,che usa la logica e soprattutto il denaro e non il sentimento, le cose si esasperano, come accade quando interviene quella strega della tua Gallerista».
«Strega lo dirai a tua madre e poi, visto che io non ti ho interrotto, ti prego di fare altrettanto. Esigo rispetto!».
«Ha ragione signora, la colpa è mia che non sono intervenuto. La prego continui, non verrà più interrotta».
«Grazie. Il vero problema non è la mia Gallerista, ma la Madre della Mia Gallerista, e forse anche sua suocera. Se assecondassi mio … Ulay, insomma, me le ritroverei sempre tra i piedi. E si limitasse solo a questo! No, invece, deve sempre dire la sua. Con quel suo sorrisetto di commiserazione non fa che ripetere: “Io al mio Ulay cucinavo questo o quello, non certo queste cosine semplici. Ma, si sa, le performer di oggi non hanno voglia di cucinare. Io le camice le stiravo così, ma certo occorre più tempo. Se sto facendo il bucato non perde occasione per ricordare che lei i colli ed i polsini li lavava a mano, perché la lavatrice non lava bene.
Non c’è cosa che io faccia che lei non farebbe, o ha già fatto, meglio. Poi Ulay si inquieta perché evito il più possibile mia suocera e anche la suocera della mia e della sua Gallerista».
A questo punto il giudice ritenne di dover presentare la sua proposta.
«Miei cari signori, ho ascoltato con attenzione le vostre lamentele ed è emersa una cosa semplice: non avete mai parlato di incomprensioni tra voi, di incompatibilità di carattere, di vizi particolari di uno dei due. Da quanto esposto da voi, sembra, che l’unico problema esistente scaturisca dalla presenza, nel vostro matrimonio, dei rispettivi galleristi e mercanti; potrei,paradossalmente, pensare che se voi foste performer orfani sareste una coppia felice! Voglio presentarvi una proposta: oggi non emetterò alcuna sentenza e fisserò la prossima, e decisiva,udienza fra un mese, nello stesso periodo di Art Basel. Nel frattempo, vi consiglio di non incontrare, né sentire telefonicamente, i vostri genitori, i vostri parenti, i vostri collezionisti e i vostri Galleristi. Vivete come se al mondo esisteste solo voi due e la performance. Se, e sono sicuro che ciò avverrà, al termine di questo mese avrete ritrovato il vostro equilibrio saprete cosa fare per difenderlo. In caso contrario vi concederò immediatamente la separazione. La seduta è tolta. Buon giorno!».
Marina e Ulay si avviarono verso l’uscita, ognuno pensando
a come attuare il consiglio del giudice senza offendere la rispettiva Galleria!