Questo è l’unico dialogo che esiste.
Antonio Del Donno
Le parole servono solo a compromettere ed alterare l’essenziale.
Scriveva così Antonio Del Donno, anni fa, in una delle sue riflessioni, il cui ricorso filosofico guardava a quel mondo che s’addomesticava fuori dalla finestra. Un mondo che aveva perso di vista ed alterato l’essenziale proprio per seguire i flussi di un cambiamento che a lui non interessava se non riguardava il ‘fare arte’. Un logos ed una techné che seguivano la ciclicità del turbinio esistenziale, la voracità della materia che insisteva per retaggio e ritorno, in una sorta di circolarità in grado di unire materie che apparivano ‘aggregate per differenze’ e unite per ‘affinità elettive’. L’Italia è disseminata di sue opere, molte pubbliche, omaggi ai luoghi ospitanti, ma senza clamore, senza luci da varietà. Così come ha voluto vivere la propria ricerca, seppur geniale, dall’intuizione primigenia, di cui molti dicono di esser stati figli artistici. Perché entrare nel suo studio era come entrare nel suo salotto, non un luogo inaccessibile, ma casa. Ed ecco che tra pezzi, materiali, libri d’ogni genere, fotografie in bianco e nero e pigmenti, Egli parlava come dipingendo, creando, ragionando immaginificamente. Spesso, ad un pensiero corrispondeva, hic et nunc, un gesto pittorico gemmato in quell’istante sul primo supporto pronto a ricevere una nuova epifania maieutica. Ripeteva ‘l’arte è quel che ci resta per capire come va il mondo, senza l’arte sarebbe impossibile capirlo’. La sua poetica, afferente alla lunga tradizione dello sperimentalismo del Novecento, ha raggiunto apici di rara sapienza e liricità, la cui sintesi formale era in grado, però, di lasciare senza fiato l’osservatore. Poesia visiva, certamente. Perché, invero, Antonio Del Donno, era un poeta, un esistenzialista che aveva colto il quid della volontà umana di comprendere i processi e le dinamiche del nostro vivere, del nostro sentire, tale da saperlo ricostruire attraverso una grammatica riconoscibile e riconducibile a lui, in ogni momento.
Il suo idioma era eco delle sue amate parole, come quelle che rivolgeva agli amici, ai suoi cari e alla mia mamma, sua nipote, alla quale diceva sempre: “Elisa, dei Del Donno di una volta siamo rimasti solo tu ed io” e, con emozione, cambiava argomento e mostrava a me un passaggio tecnico di creazione pittorica.
Da ieri molte persone mi dicono che lo Zio avrà ritrovato figure care altrove… non credo nell’aldilà, però so cosa Antonio Del Donno ha lasciato su questa terra e la fortuna, guardando le sue opere e i suoi scritti, è sapere che il suo solco intellettuale sarà fertile per molto altro tempo ancora.