La Fiera internazionale di arte moderna e contemporanea – con la direzione generale di Alessandro Nicosia, la direzione artistica di Adriana Polveroni e la collaborazione di Valentina Ciarallo per la curatela special projects e digital – non ha avuto genesi facile e a causa dell’emergenza sanitaria lo scorso maggio ha dovuto rimandare l’apertura. Ma ha poi avuto ragione nel resistere e rilanciare grazie anche alla buona risposta di pubblico, chiudendo con quasi 25000 ingressi, in particolare nel fine settimana. Da questa premessa è evidente che il pubblico romano e quella parte di interessati che si è spostata nella capitale per visitare questo primo evento fieristico è in carenza di ossigeno per manifestazioni di questo genere. La leggenda metropolitana che Roma e il suo pubblico esperto siano esigenti e iper critici forse non rende giustizia a ciò che è uno scenario fermo a un’epoca difficile da distinguere; chiuso su sé stesso, in cui le attualità del contemporaneo faticano ad avere un giusto riconoscimento. Il contesto culturale è in sofferenza e il pubblico attento e gli addetti ai lavori probabilmente accusano tale insufficienza di stimoli. I motivi sono forse immaginabili e questo fa sì che si tenda ad alzare l’asticella e chiedere pertanto competenza e valore dell’offerta. In questi giorni si è scritto molto di quello che sono state le reazioni e cosa ha portato questa fiera tanto attesa.


Tra gli obiettivi degli organizzatori di Roma Arte in Nuvola si legge quello di rappresentare tutte le discipline delle arti visive, “radunando le più importanti e rinomate gallerie italiane e internazionali”.
Una riflessione nasce sia da questa affermazione, che dal nome della kermesse, perché il dato più evidente emerso in questi quattro giorni di fiera è stato un limitato respiro internazionale per le gallerie presenti e, poco dialogo con il territorio per la creazione di eventi collaterali cittadini.
Hanno dominato le realtà nazionali con opere di artisti non sempre presenti sul mercato internazionale, a parte gli “storici”. Non si conoscono i motivi di alcune assenze ma sicuramente è auspicabile che ci sia la possibilità, per il prossimo anno, di avere una fiera che raccordi una maggiore eterogeneità, con la presenza di un numero più alto di gallerie estere; con ricadute positive in termini non solo economici.
Il contesto ampio dell’arte di Roma soffre di uno scarso dialogo e un confronto con quelle realtà che strutturano il mercato e creano i presupposti per nuove risorse di ricerca, per fare della capitale un luogo con appeal per gli addetti del settore e che allenino il grande pubblico perché anche un altro genere di opere entri nella sfera del “desiderabile”; proprio dell’atteggiamento collezionistico. Per attivare una dialettica di linguaggi eterogenei e aprire non sempre alla stessa categoria di prodotti culturali, non esclusivamente ai medium “tradizionali” che affollano il mercato della produzione artistica, ci devono essere le condizioni per ampliare il processo di sinergie e allargare la visuale, andando oltre il solito prodotto. Il bene rappresentato dall’opera, nella sua valenza simbolica, rimanda a un valore di scambio ben più alto se attiva un circuito diversificato del “desiderabile”, per un mercato che non sia esclusivamente “estetico”. I presupposti possono sostenere le speranze di trovare finalmente in Roma una nuova localizzazione dell’arte e del contemporaneo, anche grazie a queste iniziative.