Qual è il segreto che ti tiene più in contatto con l’invisibile che il visibile? Parlare di Laura, parlare di me e della Terapeutica, è come parlare del sangue, delle mani e del sogno.
L’arte è un purissimo velo. Alda Merini
Si avvicina il tempo di quel momento magico in cui Fernando De Filippi direttore dell’Accademia di Belle Arti di Brera ci comunicò la sua intenzione di aprire le iscrizioni al Biennio di Teoria e Pratica di Terapeutica Artistica; era il 22 di dicembre e sarebbero terminate il 7 gennaio del 2004.
Ricordo come ora la preoccupazione di Laura per quella data, che si collocava nel pieno delle vacanze natalizie. Avevamo avanzato la richiesta del Biennio senza successo per sette anni e non ci eravamo arrese. E come il destino che si compie, ecco che dal giorno 8 gennaio 2004, il Biennio di Teoria e Pratica della Terapeutica Artistica, iniziò con 31 studenti iscritti, coordinato in condivisione da Laura Tonani e Tiziana Tacconi. Il sogno di dar vita al Biennio di Terapeutica Artistica si era manifestato dopo una collaborazione nel Master di Arte Terapia progettato e diretto dal prof. Tommaso Trini nel 1997.
Laura Tonani era una mia collega di Anatomia Artistica dal 1989 ma la nostra amicizia si è consolidata proprio in quei 7 anni di continui incontri e confronti su come doveva essere il nuovo Biennio finalizzato alla formazione di una figura professionale che avesse il compito di utilizzare l’arte come possibilità terapeutica: l’artista Terapista
Ogni anno in previsione della consegna del Progetto la nostra collaborazione si arricchiva di idee e intuizioni, era indispensabile coniare nuovi termini per non essere confusi con scuole private di Arte Terapia. C’era in noi un entusiasmo speciale, un bisogno inespresso, qualcosa di sconosciuto, una all’altra, ma oltre a riconoscere in noi una capacità di tenere fede agli impegni assunti, c’era anche una disposizione ad esistere senza perdere nulla del proprio carattere oggettivo e una certa vulnerabilità del nostro carattere creativo che stimolava la sensibilità ed una eccitante caparbietà emotiva tale da impedirci la rinuncia
È importante ricordare che tra me e Laura già da tempo si era creata una forte intesa durante le riunioni che Vito Bucciarelli, coordinatore dell’Istituto di Anatomia A. proponeva ai colleghi della disciplina. Erano gli anni ’90 e a Brera si respirava un’aria di rinnovamento didattico. Per Anatomia artistica, la disciplina che aveva rappresentato la nascita delle Accademie, era arrivato il tempo di un ripensamento sull’insegnamento del soggetto cardine d’indagine della stessa disciplina: Il Corpo .
Il corpo venne introdotto nel piano disciplinare delle Accademie di Milano e Bologna nel 1803 da Giuseppe Bossi, e inevitabilmente si è intrecciato alle teorie della Storia dell’arte. Il corpo è uno dei più straordinari enigmi da risolvere nella storia delle immagini e delle rappresentazioni. Le diverse culture hanno conferito al corpo umano modelli e precise indicazioni di rappresentazione e in quanto docenti di quella disciplina che si è riconosciuta nel “ corpo dissezionato, canonizzato, meccanizzato”, non potevamo che aprirci ad una nuova e rivoluzionaria considerazione didattica. Sia io che Laura ci siamo ritrovate nel pensiero “fenomenologico”, filosofia che ci permetteva di interrogare il corpo nella relazione con il mondo. Ho ancora in me, la sua voce forte e chiara quando con grande convinzione citava Husserl nella distinzione tra Körper, il corpo inorganico e il Leib il corpo proprio . Ma pensare fino in fondo al “corpo” comportava anche la messa in atto di un cambiamento individuale, il corpo non è solo pensiero, è vita sensibile, emotiva e confusa e in quanto vissuto sfugge a qualsiasi oggettivazione.
La Fenomenologia ha indubbiamente rappresentato un punto di riferimento nell’osservatorio teorico del Biennio in Teoria e Pratica della Terapeutica Artistica, ma un sapere si definisce in rapporto ad altri saperi, non per niente la pedagogia e la psicologia hanno interagito notevolmente con le nostre esperienze artistiche.
“Le teorie sono opere d’arte però criticabili oggettivamente” dice testualmente Popper nel suo testo La logica della scoperta scientifica. Portare l’arte nei luoghi non istituzionali, ospedali, carceri, scuole, piazze significava occupare territori in cui il corpo può esprimersi liberamente senza l’ansia del fallimento. Procedere per prove errori e correzioni, improvvisazioni sconcertanti, atteggiamenti fermi seguiti da esitazioni ha rappresentato l’analisi e la ricerca delle “convergenze” Non vi è alcuna pretesa al sapere assoluto o ad una verità senza imperfezioni, ma il complesso processo esperienziale e conoscitivo nella sua contestualità ha trovato la migliore forma espressiva nella “condivisione.”
È l’Opera Condivisa la potenzialità dinamica dell’arte Terapeutica .
Voglio utilizzare le parole di Laura dal libro Giardini segreti: “Con un terreno fertile, l’opera sarebbe cresciuta da sé. La metafora del giardino si è svelata in tutta la sua potenza ed è stata accolta dall’intero gruppo, di pazienti, operatori, medici, artisti terapisti, con estrema naturalezza”
La Terapeutica artistica è un’arte intelligente perché è finalizzata alla relazione tra mente e corpo è un’arte terapeutica perché è ciò di cui tutti hanno bisogno, è un’arte sociale perchè antepone il noi, la condivisione, all’io egocentrico senza negare l’individualità.
Dal giorno 8 gennaio 2004 ad oggi per me e Laura il corpo visibile e invisibile ha rappresentato il linguaggio universale di quella ritualità dell’arte che si definisce Terapeutica, fa si che la relazione sia magica, parla nel silenzio, si osserva nell’ombra, parla con il mondo materiale, spirituale e dell’anima.