ARCO Lisboa

A me mi piace la prugna

Cattivi, siete stati cattivi! Tutti addosso a lui, poveraccio. Tutti contro a Maurizio, a Maurizio nostro. E che v’ha fatto, eh? Fosse la prima volta, lo capirei. Ma non è la prima. Non è nemmeno la seconda. Anzi, c’è una lunga serie! Una serie così lunga che sarebbe stato coerente ignorarlo. E invece voi, voi, come vi comportate? Vi comportate come se foste un imbrattato in faccia della trap o una mezzanuda valletta siliconata: che ai reality di prima serata sbraitano, sputacchiano e piagnucolano, offendendo e sputtanando, per la grazia di un applauso, di un servizio al tg, di un tapiro d’oro.

Voi, voi critici, voi giornalisti, voi pubblico, voi passeggiatori/pascolatori di musei della prima domenica del mese, voi, sì, voi che guardate l’arte con aristocratica snoberia e l’Argan fotocopiato all’ascella, siete proprio una brutta razza! Bruttissima. Essì! Un artista, un grande artista, un eterno-galattico-sublime artista, uno come a Maurizio, come a Maurizio il caritatevole, vi regala – VI REGALA!!! – la possibilità di un’autocoscienza flash che manco lo psicanalista più bravo ci riesce, e voi, voi lo trattate tipo una chewing-gum sull’asfalto, un Durex usato, un paio di mutande indossate per due giorni di fila. Che vergogna, oh che vergogna!

– Il colore dello scotch; l’incrocio tra i materiali; lo stato di maturazione della banana; la vernice sulla parete; i 15 anni di attesa; Miami; pop, pop, pop; il titolo; Wahrol; quale fruttivendolo l’ha venduta, e se la fattura l’ha emessa; i precedenti storici; il concettuale antropologico, l’antropologico concettuale; 100% frutta italiana, mica nocciole turche; l’Occidente, il capitalismo, i consumi; i diti medi e i cessi rubati; se prima ha fatto le prove; vitamine e potassio; la rivelazione immanentista; la camicia bianca con la cravatta nera; il capello brizzolato; Bonami – . A questo avete pensato?

E poi, tutti a fischiettargli: «L’unico frutto dell’amor è la banana, è la banana…», o «Ma ‘ndo vai (se la banana non ce l’hai)», o anche «Down in the banana republics | things aren’t as bright as they seem». E ancora quelle orrende boutade sulla bacca delle Musaceae, che eviterei di ripetere. E infine le trionfalistiche acrobazie retoriche di chi schiaccia la tastiera con i polpastrelli che profumano d’ammoniaca per non innervosire l’editore, il compagno, lo sponsor, la collega che spia. Un po’ di fantasia, eh, giusto un po’ di fantasia, signori! Quando qualcuno vi regala – VI REGALA!!! – la possibilità di riflettere, la possibilità di esistere, di divertirvi, fatevela una preghierina prima di andare a dormire. Ché fa bene, ché vi fa bene… Fa bene anche all’arte, infetta di creduloneria.

La creduloneria è una brutta malattia. Bruttissima, sì. È quella malattia che ti costringe a credere che il potere vada delegato, e non annientato. È quella malattia che ti condanna a star chinato sul display dello smartphone. È quella malattia che ti seda in attesa del concorso pubblico. È quella malattia compulsiva del post emozionale ogni giorno. È quella malattia che ti porta in piazza a manifestare e a persuaderti che le cose cambino. È quella malattia che costruisce identità arlecchinesche. È la stessa malattia che ti illude che le idiozie magnificate siano arte (tipo gli orinatoi, le merde, gli squali squartati…). Qual è la cura, dici? Be’, banane, banane, banane à gogo. Come si assumono, dici? La risposta è così sporca, cioè così ovvia, che si scrive da sola.

Sei ancora arrabbiato, ancora triste? La banana non t’ha soddisfatto? E fai come a quel Datuna, David Datuna, che ha staccato la banana dal muro, l’ha sbucciata e l’ha mangiata, esclamando: «…delicius!». La mia domanda è: se con lo scotch quella banana valeva 120mila dollari, defecata da Datuna quanto varrà? Almeno 240mila, no?

Maurì, hai vinto. Anche se io preferisco le prugne, tu continua così che sei un grande! Alla gente fallocratica, italofiliaca e affetta da pensieri diarroici piacciono ‘ste banane; piacciono un po’ ovunque. Non l’hai notato che se ne stanno tutti come il tuo Adolf, ai tuoi piedi, e ti chiedono la carità?

In attesa che Datuna defechi, la banana sottratta è stata sostituita. Il muro “sguarnito” è ritornato a custodire il suo codice a barre. E tutti vissero felici e contenti.

This is the comedian!

Dario Orphée La Mendola

Dario Orphée La Mendola, si laurea in Filosofia, con una tesi sul sentimento, presso l'Università degli studi di Palermo. Insegna Estetica ed Etica della Comunicazione all'Accademia di Belle Arti di Agrigento, e Progettazione delle professionalità all'Accademia di Belle Arti di Catania. Curatore indipendente, si occupa di ecologia e filosofia dell'agricoltura. Per Segnonline scrive soprattutto contributi di opinione e riflessione su diversi argomenti che riguardano l’arte con particolare attenzione alle problematiche estetiche ed etiche.

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