cervello jan fabre
Jan Fabre. The sound of the brain, 2019. Ph. Amalia Di Lanno

Il cervello vibrante di Jan Fabre

Suono, vibrazione, inizio. Riflettere e ascoltare le frequenze e l’energia ritmica del sistema cerebrale per connettersi profondamente con se stessi e con gli altri, questo è l’invito che Jan Fabre, artista versatile e grande sperimentatore, propone in The Rhythm of the Brain, mostra a cura di Melania Rossi e Achille Bonito Oliva, in corso a Roma al Palazzo Merulana fino al 2 febbraio 2020.

Do we feel with our brain and think with our heart?
Iniziamo proprio dalla domanda che è anche il titolo di alcuni lavori e del video-performance del 2013 presenti in mostra che Fabre ha realizzato con il neuro scienziato Giacomo Rizzolatti scopritore e studioso dei neuroni a specchio. Un quesito stimolante che, a mio avviso, rappresenta il focus della ricerca e l’interesse per il cervello che l’artista porta avanti da diversi anni. Tale questione segna una direzione del percorso espositivo ed è il centro di una meditazione profonda che ci apre a un discorso più ampio sulla funzione e sul senso dell’arte in relazione all’attività cerebrale che ci permette, nell’applicazione dell’empatia, di scoprire noi stessi nel riflesso dello stato d’animo altrui. 

The rhytme of the brain è una chiave di lettura che va ben oltre la semplice esposizione di opere sul cervello ma che offre la possibilità di approfondire e sperimentare un percorso di ricerca umana. Più di trenta lavori, tra sculture in bronzo e cera, disegni e video collocati nei tre piani del Palazzo, scandiscono senza dubbio un ritmo (anche personale), ma si configurano nelle diverse sale come simboli, fili invisibili da sentire e comprendere per attivare quel processo di consapevolezza umana che possa ricreare una risonanza e ristabilire una relazione armoniosa tra se stessi e l’altro.

L’iter espositivo si apre con due sculture in bronzo, autoritratti di Fabre, in uno egli indossa un cervello sulla testa To wear one’s brain on one’s head (by a small artist) e nell’altro tiene in mano un apriscatole De blikopener; due lavori che stimolano immediate associazioni mentali, laddove l’apriscatole/apriocchio è per Fabre il miglior strumento per guardare l’arte, aprire il terzo occhio alla visione, vestire il proprio cervello sulla testa, condurre il pensiero oltre il corpo, la spiritualità cerebrale come corona. Il progetto seppur tracciando due strade in parallelo, una in cui è presente un dialogo delle opere dell’artista belga con la collezione permanente Cerasi e l’altra più specifica relativa il cervello e il rapporto tra arte e scienza, rappresenta senza dubbio un’esperienza a più livelli di senso e significato, un enigma che interroga e smuove l’animo al ritmo vibrante del cervello. Fabre è il maestro, il direttore d’orchestra che ci guida e invita a sintonizzarci e accordare lo ‘strumento’ dell’umanità, aprire tutti i sensi ma, soprattutto, ascoltare perché è il suono che apre davvero un varco nel nostro sistema cerebrale e nel nostro centro. 

Cervello e cuore, la loro attività, la connessione e la possibilità di una specifica funzionale non proprio cosi certa come banalmente si potrebbe pensare. Ebbene, ritornando alla questione Do we feel with our brain and think with our heart? che Fabre pone e ci pone e che, leggermente potrebbe suonare come ‘provocazione’, in realtà va ben oltre e l’artista, che desidera andare a fondo e mettere a nudo la sua e nostra umanità, decisamente lo sa. Difatti, il percorso disegnato nelle sale del Palazzo, al di là di una assonanza delle opere con la collezione Cerasi, presenta un progetto che intende far riflettere sulle ignote potenzialità cerebrali e umane e sulle dinamiche connesse nel rapporto tra arte, scienza e senso laddove il suono diviene necessario per innescare quel legame inscindibile tra pensiero ed emozione. Ed è forse su questa via che Fabre intende condurci. Ma soffermiamoci al secondo piano, già nella prima sala iniziamo il percorso, remi in ‘barca cervello’ my brain as a rowing boat e rullo di ‘tamburo sul cervello’ the sound of the brain, per scandire da subito il ritmo del nostro viaggio. Un preludio all’ascolto entrando nell’elegante salone dove l’atmosfera musicale da camera esprime appieno la risonanza dell’arte, predisporre l’occhio e i sensi all’ascolto, alla visione del proprio mondo interiore, vibrare attraverso l’opera. Ritroviamo al centro della sala la scultura in bronzo che raffigura l’artista l’uomo che dirige le stelle accompagnato, avanti e dietro, da due sculture in cera di giovani (Fabre da ragazzo) seduti su una piccola scala con in testa luna e stelle (siamo nello spazio dell’universale); ai lati due sculture, una raffigurante il cervello gelato my ice-cream brain e l’altra, raffigurante il diavolo seduto sul cervello my personal devil sitting on my brain, stimolo a pensare, forse ‘la nota stonata’(?) che intende creare il disturbo all’armonia ricreata nello spazio. In questa lettura più simbolica ritroviamo molti elementi identificativi della pratica artistica di Fabre, soprattutto quella seria ironia che lo contraddistingue nel trattare temi complessi, profondi, umani. In una delle due piccole sale adiacenti il salone i due busti, Homage to Jacques Mesrine, ci riportano all’idea di trasformazione, cambiamento, espressione di molteplici stati d’animo che convergono in unica faccia. Il ritmo che incalza e inquieta… chi sono davvero? Ed ecco che nell’altra saletta ritroviamo nuovamente Fabre che indossa il cervello sulla testa… abito il pensiero, riflessione.

E poi si sale al terzo piano dove attraversando la galleria entriamo nel vivo della ricerca sul cervello, dai disegni fino alla sala antistante la proiezione del video summenzionato, dove Fabre ci presenta in bella mostra A brain full of Empathy? Un cervello che vibra, pulsa e forse si attiva… perché pieno di empatia? Dubbio come intelligenza che alimenta il pensiero, l’idea che stimola la continua ricerca di un ritmo umano vitale e presente che connetta arte e vita. L’artista attraverso il cervello invita a indagare l’esistenza esplorando e ascoltando frequenze spesso ermetiche, sottili e nascoste.  

A brain full of Empathy? 2014

Il percorso espositivo che Fabre propone è un gioco serio sul suono nel quale bisogna essere coinvolti, la possibilità di amplificare i sensi indagando il proprio cervello, coinvolgendolo a sentire nuove sonorità, a danzare metaforicamente andando al ritmo di una musica che sviluppi energie e ci connetta. In tal senso sentire con il cervello e pensare con il cuore assume valenza e diviene filo conduttore di una consapevolezza del pensiero, del sentire ed essere il ritmo del cervello.  Intelligenza emotiva e attiva, il cervello come centro della nostra anima che sente, cuore che vibra e rispecchia in quanto filtra l’esperienza emozionale, vive e archivia la memoria e trama i fili cerebrali. The rhytme of the brain, l’urgenza di un bisogno, quello di riconnettersi con la propria centralità, sentire il proprio ritmo e riscoprire parole d’azione vibranti verso l’Essere. Un tema, che Fabre affronta non solo come indagine scientifica ma antropologica, è l’uomo nella sua umanità, il ritorno al riconoscimento del proprio centro nell’ascolto di quella vibrazione iniziatica. Una responsabilità grande quella che dobbiamo assumere, in un mondo votato all’accelerazione dove fermarsi e sentire quasi non è permesso, ove scandire il tempo, andare al proprio ritmo, cerebrale o emozionale, risulta paradossalmente una perdita di tempo. 

Ma fermiamoci, prendiamoci il nostro tempo e riflettiamo. 

Senza un cervello vibrante, siamo davvero certi di essere ancora umani ___vivi? 

Jan Fabre. The Rhythm of the Brain
a cura di Melania Rossi e Achille Bonito Oliva
In collaborazione con Romaeuropa Festival
MAGAZZINO – Flanders State of Art 
fino al 9 febbraio 2020
Palazzo Merulana-Fondazione Elena e Claudio Cerasi
via Merulana, 131 – Roma
T. 06 39967800

photogallery by Amalia Di Lanno