Utah Monolith

I musei sono chiusi da mesi senza destare nessuno scalpore, la distruzione di un monolite nel deserto invece scatena l’opinione pubblica sui social

La scultura d’acciaio apparsa qualche giorno fa nel deserto dello Utah è scomparsa. Il fotografo Ross Bernards, che il 27 novembre si era recato sul posto, ha raccontato al “New York Times” di aver visto degli uomini scaraventarla a terra, smembrarla e portarne via i resti su una misera carriola. Bernards, da bravo fotografo, si è guardato bene dal filmare la scena: il coraggio di Brumotti è più unico che raro e la Banda Bassotti, sentendosi scoperta, avrebbe potuto infliggergli un brutto quarto d’ora.

In America, apportare modifiche di qualsiasi tipo al paesaggio – in guardia, Geco! – è punito dalla legge. Per fortuna, alquanto casualmente, un “amico” del fotografo è riuscito a rubare qualche scatto al cellulare; le immagini sono sgranate ma eloquenti: quattro operai in divisa, magari gli stessi che hanno lasciato al suo posto una goffa piramide di pietre, vi sono colti in fragrante distruzione del sogno proibito di migliaia di cretini, pronti a sfidare lockdown e segreti di stato – la posizione del manufatto non era stata rivelata per paura che i curiosi si perdessero – nella speranza di osservarlo da vicino. Siamo o non siamo primati?

Se adocchiamo un oggetto lungo e duro, tentiamo sempre di afferrarlo. Persino l’Adamo di Michelangelo fa lo stesso col dito dell’Altissimo. L’unica differenza risiede nel fatto che, in quel caso, la Montagna andava da Maometto, nel nostro per raggiungere il dolmen metallico, distante miglia dalla prima calpestabile, occorreva inoltrarsi nel nulla inospitale. Perciò, come è stato appurato dai rilievi satellitari, l’istallazione riposava indisturbata da almeno cinque anni.

Non so perché, ma al leggere di una simile panzana, la mia mente è volata a musei e gallerie. Sono chiusi ormai da mesi, lo vediamo, ma in pochi sembrano soffrirne la mancanza. Quando invece apre un nuovo centro commerciale o un bontempone gioca a fare il Kubrik, le antenne si drizzano neanche fossimo marziani. Indizio di demenza dilagante, non c’è dubbio. Ma pure di altre carenze alquanto gravi. Se tre lamiere imbullonate riempiono le cronache mondiali, ciò avviene perché, sfruttando uno scenario mozzafiato, romanzano una storia già narrata, hanno una parvenza tecnologica e insinuano suggestioni religiose.

Artisti e curatori, meditate.