Umberto Leonetti, artista partenopeo la cui indagine si è focalizzata in maniera trasversale sulla fenomenologia alchemica e filosofica, nel proprio lavoro rimanda a quella emersione che abita la ricostruzione interiore dell’uomo, mediante un approccio psicanalitico.
La sua lunga carriera, costellata di studio e sperimentazione ha fatto del medium espressivo, pittorico, grafico e fotografico, un varco con cui analizzare la relazione tra forma e contenuto in chiave ontologica, sino a giungere ad una concezione peculiare, quella che intende l’arte come fenomeno ‘sub-liminale’, in grado di imprimere sui processi inconsci una maggiore consapevolezza e una riconoscibile coscienza della dimensione dell’Assoluto, attraverso lo studio e la ricostruzione archetipica.
Piuttosto schivo, ha concesso a Segnonline una intervista ai lettori, in cui il racconto è costruito da una sorta di breve viaggio nel suo modus operandi.
Azzurra Immediato: Una domanda su tutte, prima di iniziare l’intervista. Cos’è per Lei l’Arte?
Umberto Leonetti: C’è un’arte che si manifesta nella creatività umana come tentativo di migliorare nel mondo fisico la propria materiale esperienza terrena con i principi morfologici dell’armonia e dell’estetica . Un’altra arte è quella di perfezionare la propria unità psicofisica modellandola secondo la intima concezione dellla sopravvivenza animica. La prima attinge alla conoscenza di leggi fisiche considerate come scienza; la seconda da leggi iperfisiche dalla maggioranza ritenute empiriche filosofiche e mistiche.
A.I.: La Sua carriera si è mossa seguendo i grandi classici delle arti visive e della letteratura. In che modo, soprattutto da giovane studente del suo tempo, riusciva a coniugare tali riferimenti con le inclinazioni rivoluzionarie che hanno caratterizzato gli anni a cavallo tra Sessanta e Settanta del ‘900?
U.L.: È vero che una vasta conoscenza deriva dalla informazione acquisita dallo studio, dalla ricerca e dallo sforzo di penetrare le leggi che regolano l’esistente, ma conoscere se stessi è un atto di introspezione profonda che può essere conseguito solo quando si è liberi da sovrastrutture, concetti e limiti che la educazione sociale, le religioni, i pretesi ammaestramenti di ogni ordine e grado cercano di condizionare la vita umana. Il cammino verso la conoscenza di se stessi inizia nel momento stesso che ci si sente prigionieri. Nel mio caso ho vissuto gli anni del ’68 in bilico tra la trasgressione e la consapevolezza del cambiamento a tutti i costi ma poi ha sempre prevalso l’equilibrio dato dalle domande: come dove e essenzialmente perchè. E’ iniziato così il progressivo isolamento e le dovute distanze tra i movimenti delle avanguardie artistiche e le necessarie posizioni critiche di insufficienza e inutilità dell’arte intesa come strumento di affermazione personale e di crescita economica. Ciò che oggi è sotto gli occhi di tutti è la degenerazione di un mondo che esprime pochi e insufficienti contenuti.
Come diceva un mio maestro dell’Istituto d’Arte a distruggere ci vuole poco, a ricostruire si fa molta fatica.
A.I.: Maturando, la Sua ricerca, si è sempre più distaccata da matrici pregresse per dar forma e nota di una fenomenologia differente. Quando e come è avvenuta la frattura tra un prima e un dopo o, in ogni caso, quando si è concretizzato un mutamento?
U.L.: Fin da ragazzo ero ossessionato dai miti che raccontavano della caduta degli angeli, e mi ponevo le stesse domande del come quando e perché. Poi considerando che i miti raccontavano simbolicamente la discesa dell’anima umana nella fisicità mi era parso un impegno importante cercare di liberare l’anima-angelo dalla schiavitù del mondo relativo e riportarla nell’assoluto delle essenze metafisiche. È iniziata così tutta la ricerca successiva.
A.I.: Gli Anni ’80 hanno rappresentato il punto di avvio prediletto di una nuova sperimentazione
nel Suo lavoro, già definita di stampo filosofico-alchemico. Ce ne parli.
U.L.: Negli anni Ottanta praticavo già da tempo gli insegnamenti dei maestri alchimisti filosofi napoletani e stranieri, del presente e del passato, anche il più antico, che hanno raccontato in scritti e mitografie le proprie esperienze e i tesori delle loro conoscenze. A sostegno di testimoniare e di tramandare la mia esperienza sono nate molteplici opere che senza esserne consapevole hanno raccontato come in un diario i vari passaggi, le tematiche approfondite e le modificazioni degli stati psicofisici. Tutto è avvenuto in modo naturale e senza premeditazione. Del resto è nella legge dell’evoluzione che le sperimentazioni e le conquiste individuali devono essere condivise.
A.I.: Il Suo fare arte si è tradotto in un viaggio di sperimentazioni continue, tanto che ogni diverso periodo della Sua carriera può dirsi legata ad una qualche peculiarità. In che maniera un artista deve sempre continuare a cercare e sperimentare? Lei, oggi, cosa sta ancora cercando attraverso la Sua arte?
U.L.: Non vi è una fine essendoci sempre qualcosa da modificare, da trasformare, da perfezionare in tutti i livelli. Nel mondo fisico alcune proiezioni si esprimono come oggettivazioni. Nel mondo iperfisico molti suoi aspetti appartengono al mondo archetipo. Oggettivazioni e archetipi sono entrambi perfettibili: le prime nel mondo sensibile i secondi nel mondo delle cause o essenze metafisiche.
A.I.: Qual è il ruolo, invece, che Lei affida alla parola? Ed al segno? In che modo li relaziona?
U.L.: La parola, il segno, il colore assumono in tutti gli aspetti del mondo che conosciamo messaggi di contenuti subliminali. Se chi produce arte è cosciente del valore di quello che propone come conoscenza il processo evolutivo si concretizza per se stesso e per gli altri. La differenza nelle diverse modalità del fare arte è nella coscienza dell’artista stesso che proietta oggettivando se stesso nella sua creazione.
A.I.: Il simbolo, all’interno della rappresentazione definisce una valenza metaforica per chi lo utilizza e per chi lo legge od interpreta. Qual è, secondo Lei, il punto di contatto più stretto, in tale dialogo,
tra l’artista e il pubblico o il fruitore dell’opera?
U.L.: La differenza è nella preparazione culturale di chi fruisce di un messaggio. Prendiamo ad esempio la mia personale esperienza in quella che era la concezione del primitivo angelo caduto. Il messaggio iniziale si è modificato nel tempo per uno sforzo di comprensione dovuto ad un arricchimento informazionale non casuale ma voluto con costante tenacia. I contenuti profondi nascosti all’interno del già noto devono essere conquistati con impegno, e per proprietà di omologia tra le varie stratificazioni della conoscenza, per qualsiasi domanda vi è una risposta.
A.I.: La cultura campana affonda radici ancestrali nella classicità e non solo. Per Lei, il suo lavoro e la sua poetica, le radici a cui appartiene quanto sono servite a comprendere ciò che è in superficie?
U.L.: Le informazioni che portiamo nel nostro patrimonio genetico rappresentano una ricchezza straordinaria che pochi riescono ad utilizzare perchè le stratificazioni recenti obliano il passato. Conoscere il patrimonio che ci portiamo dentro è il primo passo che ci avvicina ad una condizione divina.
A.I.: A cosa sta lavorando in questo ultimo periodo? Cosa pensa un artista come Lei di questo nostro tempo, che sembra vacillare sempre più, dai tempi della pandemia, in un continuo attraversamento di crisi umanitarie ed identitarie, del conseguente sprofondamento di alcune certezze che forse avevamo riposto nel futuro?
U.L.: Se cambiassero le motivazioni della nostra esistenza, le problematiche che affiorano dagli eventi che non possiamo controllare si annullerebbero automaticamente. Le condizioni fisiche che costringono a delle scelte sembra che non siano casuali ma oggettivazioni di limiti spirituali sia individuali che collettivi. Personalmente i limiti che ho dovuto superare nella vita mi hanno paradossalmente apportato molti benefici, soprattutto nella comprensione di molte dinamiche che regolano la vita individuale e collettiva.
A.I.: Se dovesse dare un consiglio ai giovani studenti d’arte o agli artisti emergenti, cosa direbbe loro?
U.L.: Di lavorare per se stessi e non essere schiavi di niente e di nessuno.
Umberto Leonetti
Courtesy immagini delle opere, l’artista